Willie Nelson: «Fumare erba mi ha salvato la vita»
65 anni dopo la sua prima volta, il fattone più leggendario d’America è il testamento vivente del potere della marijuana: «Ho sempre saputo di avere ragione. Non è una droga che uccide, è una medicina»
Foto: James Minchin III per Rolling Stone USA
Willie Nelson è seduto sul divano di casa, un’umile baita che sovrasta i 700 acri della sua proprietà nella contea texana di Hill Country. Affonda le mani nella felpa, dove trova un piccolo vaporizzatore quadrato. Fa un tiro ed espira lentamente. «Vuoi una botta?», chiede.
Annie, sua moglie, poggia una tazza di caffé sulla scatola di un vecchio DVD adattato a sottobicchiere, poi prende la parola. «Fai attenzione con quello, baby», dice. «Stasera devi cantare».
Nelson annuisce e mette via tutto. In primavera ha compiuto 86 anni, e nell’ultimo periodo ha sofferto per un enfisema polmonare. Per questo Annie, che è al suo fianco da 33 anni, vuole che si preoccupi per lo stato dei suoi polmoni, soprattutto quando deve suonare. Il fumo potrebbe essere un problema. «Lui è super-generoso», dice. «Se c’è qualcuno in casa offre sempre da fumare, e farlo insieme mette tutti a proprio agio».
Nelson dice che è strafatto «la maggior parte del tempo». («Al mattino cerco di aspettare almeno 10 minuti», disse una volta Keith Richards»). La sua routine, spiega Annie, consiste nel «fare un paio di boccate di vaporizzatore e poi, una o due ore dopo, mangiare un pezzo di cioccolata. Il resto della giornata va avanti così. Non è tantissima erba… ma lui è Willie Nelson». Di recente, Annie gli ha regalato la versione di lusso di un bong ad acqua – un classico dei festini del college, capace di spararti una manciata d’erba nei polmoni con un solo tiro. «Puoi usare il ghiaccio, che lo rende più sopportabile», dice Annie. «Non fumare la carta, comunque, aiuta».
Oltre a essere il musicista country più importante del mondo, Willie Nelson è anche un fumatore leggendario. Prima di Snoop o Woody Harrelson, c’era Willie. Per l’erba è finito in carcere, ma guardatelo adesso: suona 100 concerti all’anno, scrive canzoni, guarda il mondo con curiosità. «Mi sento un po’ come il canarino nella miniera», dice. «Sai, se inizio a tremare o cose del genere, non darmi più erba. Ma finché mi sento in forma…».
Prima che la cannabis diventasse legale in alcuni stati, Nelson si è speso molto per spiegare i benefici medici ed economici della sostanza, così come gli eventuali profitti della tassazione. «È bello vedere come tutti abbiano accettato queste cose – io ho sempre saputo di avere ragione: non è una droga che uccide», dice. «È una medicina».
La casa di Willie Nelson è una baita di cedro a circa 60km da Austin con una straordinaria vista panoramica su Hill Country. Ha scelto quel posto alla fine degli anni ‘70, quando posò quattro pietre nel punto in cui voleva sorgessero le fondamenta. Lì vicino, in fondo a una vecchia strada, c’è un vecchio villaggio stile Far West che costruì per il suo film del 1986 Red Headed Stranger. Il suo campo da golf, Pedernales Cut ‘N Putt («Niente scarpe, niente maglietta, niente problemi») è da quelle parti. Dopo questa intervista suonerà un concerto di beneficienza per 300 finanziatori di Farm Aid. Domani, invece, al Luck Ranch arriveranno 3mila persone: l’occasione è la Luck Reunion, un concerto annuale inserito nel cartellone di South by Southwest. Ieri notte una tempesta ha danneggiato gran parte la proprietà, e un gruppo di operai sta lavorando senza sosta per mettere tutto a posto. Niente di tutto questo sembra preoccupare Nelson, che si è appena svegliato. «Oh, è divertente», dice quando gli chiedo cosa pensa di tutto il fermento. («Willie sa che tutto sarà ok», dice il suo amico Steve Earle. «È un tipo piuttosto sereno, e tutti attorno a lui si danno da fare per evitare drammi. Qui funziona così»).
Parlando con Nelson ci si abitua in fretta ai lunghi silenzi. «Oh, mi occupo un po’ del raccolto», dice quando gli chiedo a cosa sta lavorando. Ha anche finito un album, Ride Me Back Home. La prima canzone parla dei 60 cavalli che abitano la sua proprietà, animali destinati al macello che ha comprato a un’asta. L’ultima volta che sono stato qui, cinque anni fa, me ne aveva presentati un po’. «Billy Boy è ancora qui». dice. «Abbiamo perso Roll Em Up Jack. Wilhelmena non c’è più, morso da un serpente a sonagli». Poi guarda la moglie: «Baby, è rimasto un po’ di quel caffè al CBD?».
Nelson consuma solo erba dal 1978, quando decise di abbandonare sia le sigarette che il whiskey. Ha avuto la polmonite quattro volte, e le sbronze erano una peggio dell’altra. In più, era un ubriaco crudele. «Fumavo un pacchetto di 20 Chesterfield, poi un giorno le ho buttate via e le ho sostituite con 20 grosse canne», dice. «Non ho mai più toccato una sigaretta. Da allora non ho nemmeno bevuto granché, perché una cosa chiamava l’altra – una sigaretta, un whiskey. Un whiskey, una sigaretta. Questo ero io, non posso parlare per nessun altro».
Se gli chiedi dove sarebbe senza marijuana, risponde senza l’ombra di un dubbio. «Sarei morto. Mi ha salvato la vita, davvero. Non sarei qui a 86 anni se avessi continuato a bere e fumare come facevo a 30 o 40 anni. Credo anche che l’erba mi abbia impedito di uccidere qualcuno. E forse ha impedito a un sacco di gente di uccidere me».
L’intervista completa a Willie Nelson è disponibile su Rolling Stone USA.