Diciotto anni fa, Kanye West era super orgoglioso di aver firmato con la Roc-A-Fella. La considerava «la migliore etichetta rap al mondo». All’epoca, West era un grande produttore, ma le sue doti da frontman era tutte da dimostrare. «Non ho una gran storia da rapper», ammetteva nel 2002 parlando con Complex. «Se solo sapesse rappare», aveva sentito dire da qualcuno della Capitol, «verrebbe messo sotto contratto dalla Def Jam o dalla Roc». Il contratto Roc-A-Fella era anche un modo per mettere a tacere gli hater. L’accordo prevedeva la cessione all’etichetta della proprietà dei master dei primi sei album, compreso il debutto del 2004 The College Dropout.
Una settimana fa, nel suo binge-tweeting contro l’industria discografica, West ha postato fotografie dei suoi contratti fra cui quello del 2005 dove si confermava che i suoi primi album erano «di esclusiva proprietà di Roc-A-Fella, in tutto il mondo e per sempre». West si è lamentato con il gruppo Universal, che nel 2004 ha acquisto Roc-A-Fella e che ha pubblicato i suoi primi sei album, e ha scritto che farà «tutto ciò che è in mio potere» e che userà la sua posizione per parlare del problema «finché tutti i contratti cambieranno e potrò lasciare i master ai miei figli».
Ora che Kanye West è una superstar miliardaria, e le etichette hanno bisogno di lui più di quanto lui abbia bisogno di loro, quei vecchi contratti non gli stanno più bene. Le sue tirate contro l’industria discografica, però, non dovrebbero sorprendere più di tanto. L’anno scorso West ha fatto causa a Roc-A-Fella, alla Universal e alla sua società di edizioni, la EMI. In quest’ultima causa, che è stata poi risolta, il rapper appariva come ricorrente al fianco della sua nuova compagnia, la Please Gimme My Publishing Inc. Oggi Kanye West sta combattendo la stessa battaglia con Universal per ottenere la restituzione dei master.
Non è detto che l’ultimatum lanciato da West su Twitter susciti grandi simpatie fra i colleghi artisti. I contratti postati da West rivelano che la Universal gli ha versato 8 milioni di dollari di anticipo solo per l’album del 2013 Yeezus, a cui vanno aggiunti altri 4 milioni per l’acquisizione dei diritti dei campionamenti e la produzione dell’album. Sempre la Universal ha pagato 4 milioni di dollari di anticipo, più altri 3 per campionamenti e produzione, per The Life of Pablo del 2016. Sono cifre che altre megastar si sognano.
Ci sono però ragioni che spingono a pensare che Kanye potrebbe ottenere la proprietà dei master. Eccone tre, ognuna legata a una superstar.
1Potrebbe sfruttare l’effetto leva (vedi Michael Jackson)
Una delle affermazioni più sorprendenti contenute nel tweetstorm di Kanye West è quella secondo cui il gruppo Universal Music si sarebbe rifiutato di dare un prezzo ai master del rapper, «perché sanno che me li posso permettere». West ha notato che per la fine del 2020 nel mondo ci saranno 460 milioni di utenti a pagamenti dei servizi di streaming. Nel giro di una decina d’anni potrebbero essere 2 miliardi. Non sono informazioni slegate al problema posto dal rapper.
Il valore complessivo globale degli utenti dei servizi di streaming ha infatti un impatto diretto sul valore monetario del catalogo degli artisti più popolari, e quindi delle aziende che li possiedono. Ecco perché la Universal oggi non vuole dare un prezzo al catalogo di Kanye West: se dovesse sottostimarlo, nei prossimi anni potrebbe perdere una quantità immensa di denaro. Inoltre, Vivendi intende mettere sul mercato le azioni di Universal prima del 2023. Più artisti forti avrà in catalogo, più alto sarà il prezzo di vendita.
West deve capire quali leve usare nella negoziazione. Quali altre carte può giocarsi, oltre ai soldi, per portare a casa i master? Sicuramente la Universal non vuole che West si accasi con un’etichetta rivale. Questa cosa la danneggerebbe in special modo se West centrasse altre grandi hit. Ma attualmente il rapper è tutto preso dal suo trip gospel e il suo ultimo album secolare, Ye del 2018, non è stato certo un successo commerciale.
Eppure, se è dell’umore giusto, West può ancora spaccare. la puerile I Love It con Lil Pulp (2018) sembrava una parodia dei successi ipersessualizzati che vanno oggi in classifica, ma è andata al numero uno in molti Paesi totalizzando finora oltre 500 milioni si stream solo su Spotify. Se West dimostrasse di essere in grado di sfornare altri successi del genere, la Universal sarebbe più incline a negoziare una roadmap per l’acquisto dei master.
È quel che ha fatto Michael Jackson. Dopo il boom di Thriller, il suo avvocato John Branca ha negoziato con Sony Music l’acquisizione dei master. Oggi le incisioni soliste più importanti di Jackson, come Off the Wall, Thriller e Bad, sono in mano alla MJJ Productions, società controllata dagli eredi del cantante, e solo distribuite dalla Sony.
2La legge potrebbe essere dalla sua parte (vedi Prince)
La polemica della scorsa settimana ha sollevato paragoni tra Kanye e Prince che, dopo non essere riuscito a recuperare la proprietà dei suoi master dalla Warner Bros, a metà anni ’90 si è scritto “SLAVE” sulla guancia. Non tutti però ricordano perché Prince ha poi vinto la sua battaglia nel 2014, quando ha recuperato la proprietà dei master e li ha dati in licenza a Warner per gli anni a venire.
Nel 2014 sarebbero caduti i 35 anni dall’uscita del primo album classico del musicista, Prince. Secondo la Sezione 203 dell’US Copyright Act, gli artisti possono, in determinate circostanze, chiedere alle etichette di riavere il controllo delle loro opere 35 anni dopo la pubblicazione. Voci nell’industria suggeriscono che Warner aveva davanti una scelta difficile: combattere in tribunale con Prince, magari vincendo e mantenendo la proprietà dei master, oppure perdendo e stabilendo un precedente pericoloso per tutto il settore, o trovare un accordo immediato. L’etichetta ha scelto quest’ultima opzione.
In che modo tutto questo ha a che fare con Kanye? Al momento negli Stati Uniti ci sono due class action collegate alla Section 203, una contro Universal Music Group (organizzata dall’artista John Waite, tra gli altri) e un’altra contro Sony Music (guidata da David Johansen dei New York Dolls, tra gli altri). Lo studio che rappresenta i musicisti in entrambi i casi – Blank Rome – ha scritto, in una nota diffusa alla stampa, che la norma dei 35 anni della Section 203 «rappresenta un problema per i guadagni dallo streaming delle etichette discografiche».
Anche applicando la regola dei 35 anni,West non potrebbe chiedere i master fino al 2039 (cioè a 35 anni dall’uscita di The College Dropout). Ma se i suoi avvocati dovessero andare fino in fondo, non è detto che Universal non drizzi le orecchie.
3L’accordo proposto da Kanye esiste già (vedi Taylor Swift)
La missione di Kanye non c’entra solo con Kanye, lo sapete? Domenica 20 settembre il rapper ha scritto su Twitter: «Questa è una chiamata per unire tutti gli artisti… riconquisterò i miei master, ho gli avvocati più potenti dell’industria e posso permettermeli. Tutti gli artisti vanno liberati e trattati giustamente».
In più, West ha pubblicato delle “linee guida” per i contratti di incisione e pubblicazione che vorrebbe fossero adottate da tutta l’industria. Queste linee guida prevedono che: 1) i diritti d’autore restino agli artisti, che possono darli in concessione alle etichette per un breve periodo di tempo; 2) i guadagni siano divisi 80/20 (se non di più), con la quota maggiore a favore degli artisti.
Non solo West sembra già possedere il copyright dei suoi ultimi master, ma le sue linee guida somigliano non poco all’accordo firmato tra Taylor Swift e la sua etichetta. Nel 2018 la popstar ha annunciato di aver siglato un nuovo accordo con Universal e Republic Records con cui si riprendeva «la proprietà di tutti i futuri master». Quelli precedenti a Lover, infatti, sono notoriamente nelle mani di Scooter Braun. Nonostante la lunga storia di conflitti fra i due, Kanye ha promesso di aiutare Swift a recuperare il resto dei suoi master.
C’è un’altra cosa che rende le linee guida di Kanye interessanti per l’industria: è l’idea che gli artisti che lavorano per etichette che detengono quote di Spotify ricevano parte dei guadagni attraverso la loro quota di royalties.
Gli artisti ingaggiati da Universal aspettano il giorno in cui UMG venderà le sue quote di Spotify, quote che secondo West valgono più di due miliardi di dollari. Quando l’affare si farà, come faranno gli artisti ad assicurarsi una fetta dei guadagni?
Taylor Swift aveva capito tutto.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.