Non è da tutti fare due date da 250 mila spettatori totali quando soltanto due anni prima il tuo album d’esordio non era ancora uscito. Ma nell’agosto del 1996 agli Oasis riusciva tutto. Stravinta quanto a copie vendute la guerra del Brit pop combattuta contro i Blur, i fratelli Gallagher erano passati dai club ai palazzetti e poi agli stadi. A fine aprile avevano suonato a Maine Road, la casa del loro Manchester City. Il passo successivo sarebbe stato Knebworth Park, area verde nell’Hertfordshire che aveva ospitato i concerti di Pink Floyd e Led Zeppelin ed era stata teatro dell’ultima esibizione di Freddie Mercury con i Queen. In virtù di soli due album, Definitely Maybe (1994) e (What’s The Story) Morning Glory (1995), i Sex Beatles giocavano ormai nello stesso campionato di quelle band da grandi numeri, e i concerti organizzati per il 10 e 11 agosto furono la celebrazione dello status raggiunto.
Oggi, venticinque anni dopo, sono quei due concerti a essere a loro volta celebrati in Oasis Knebworth 1996, documentario diretto da Jake Scott (figlio di Ridley, autore tra le altre cose del video di Everybody Hurts dei R.E.M.) con i due fratelli Gallagher nelle vesti di produttori esecutivi, in programma nelle sale italiane dal 27 al 29 settembre.
«È un’istantanea della band al suo punto più alto», ha detto Noel presentando il film in una sala di Londra, «e grazie al cielo abbiamo avuto la lungimiranza di filmare tutto». È lo stesso chitarrista e songwriter, insomma, ad ammettere che a partire da Be Here Now, uscito un anno dopo Knebworth, la band ha iniziato la sua parabola discendente. Per i fan di allora e per quelli che non hanno mai smesso di esserlo vale quindi la pena di immergersi in un film girato senza troppi sfizi tecnici (le immagini sono un po’ sgranate, il suono così così) e senza grandi trovate (ci sono la musica e i voiceover dei fan, con qualche incursione soprattutto di Noel e di Bonehead Arthurs).
La scelta riguardo alla narrazione è precisa. Sul palco c’è la band più famosa del Regno Unito (e quindi una delle più famose del mondo), a guardarla ci sono 125 mila fan che la adorano. Venticinque anni dopo c’è un anniversario da festeggiare. Tutto molto semplice, e lo scopo viene raggiunto.
Osservando il documentario e confrontandolo con i ricordi e le fonti dell’epoca, però, qualche perplessità c’è. Una cosa che salta subito all’occhio è la pressoché totale assenza dalle immagini di Paul Guigsy McGuigan, membro fondatore che tre anni dopo avrebbe lasciato la band assieme a Bonehead. «Guigsy is Oasis», aveva detto Noel Gallagher al New Musical Express quando il bassista, vittima di un esaurimento, aveva lasciato la band per la prima volta qualche mese prima di Knebworth, per poi farvi ritorno. Nel film invece non lo si vede quasi, e non si può dire che lo stesso Bonehead e il batterista Alan White siano molto più presenti.
Knebworth, inoltre, fu anche una celebrazione rock britannico nelle sue varie sfaccettature, tutte più o meno di successo in quel 1996: nelle due giornate, infatti, prima degli Oasis si esibirono Chemical Brothers, Ocean Colour Scene, Manic Street Preachers, Charlatans, Kula Shaker, Cast e Prodigy. Nel film si vedono solo questi ultimi, o meglio: si vede Keith Flint che si getta nel pubblico, per pochi secondi e senza nessuno sfondo musicale.
L’unico musicista extra-Oasis che si prende un po’ di applausi è John Squire degli Stone Roses, ospite in Champagne Supernova. Ma anche in questo caso tutto è funzionale alla celebrazione dei Gallagher. «È stato il passaggio di testimone dagli Stone Roses agli Oasis», commenta venticinque anni dopo un ragazzo presente nel pubblico. «Il testimone ce lo eravamo preso noi nel ‘94», puntualizza Noel.
Pochi giorni prima di Knebworth, Rob Collins dei Charlatans era morto in un incidente d’auto. La cosa viene citata ma inspiegabilmente non si vede il momento in cui Liam gli dedicò Live Forever. «It’s fucking Altamont», disse Noel di fronte ai giornalisti dello stesso New Musical Express inviati a Loch Lomond, in Scozia, per le prove generali di Knebworth in programma ai primi di agosto, riferendosi alla morte di Collins e a quella di Jim Hunter, roadie della band che perse la vita durante la preparazione del palco. Il riferimento al concerto dei Rolling Stones in cui un loro fan venne accoltellato a morte dagli Hell’s Angels era ovviamente eccessivo, ma è certo che in Oasis Knebworth 1996 ci sono solo luci, e le ombre sono state decisamente cancellate.
Scelta legittima, ovviamente. «Stiamo facendo la storia», dice a un certo punto Noel dal palco di fronte a 125mila persone. Oggi, con questo documentario hanno deciso di scriverla, a modo loro e per i loro fan.