Il giorno che gli appassionati di vinile del mondo temevano alla fine è arrivato: questo mese la Apollo Masters Corp., una delle due aziende al mondo che produce dischi in acetato, una componente fondamentale della produzione di album in vinile, è stata distrutta da un incendio. Il rogo è durato tre ore e ci sono voluti 82 pompieri per spegnerlo. Non ci sono stati feriti, ma il fuoco ha completamente distrutto la fabbrica da cui escono, secondo le stime, dal 70 all’85 percento dei dischi in vinile del mondo.
«L’eventualità che accadesse ci ha sempre preoccupati», spiega Cash Carter, dirigente della Kindercore Vinyl Pressing di Athens, in Georgia. «In passato ci siamo riuniti con gli altri rappresentati delle aziende del settore e ci siamo chiesti: cosa succede se la MDC o la Apollo chiudono? Siamo fottuti. Temevamo che questo giorno arrivasse, ma non pensavamo che sarebbe davvero successo, pensavamo che qualcuno avrebbe fatto qualcosa prima. Il cielo ci è caduto in testa? No. Ma è comunque un disastro. Ci saranno aziende che chiuderanno per colpa di questa cosa. È anni che si parla della questione, ora dobbiamo occuparcene sul serio».
Il settore della produzione di vinili è molto piccolo e già nelle ore successive all’incendio i cellulari dei rappresentanti delle aziende coinvolte nei processi produttivi squillavano senza sosta, tra tentativi di rassicurare i clienti e posticipi degli ordini. Si è parlato anche di quello che succederà adesso. Non è stato ancora annunciato niente ma, secondo diverse persone del settore, ci sono già piani per riempire il vuoto lasciato dalla Apollo.
Tra la disperazione, il caos, la confusione e l’incertezza delle ultime settimane, c’è anche una cauta speranza che fa capolino. «È un colpo devastante, perché l’Apollo era parte della famiglia», spiega Sean Rutowski della Independent Record Pressing, azienda del New Jersey. «Ma sono ottimista per il futuro, sul lungo periodo. Supereremo questa tempesta, per forza».
La produzione di un disco in vinile comincia dai dischi di acetato che produceva la Apollo: un piatto levigato rivestito da una soluzione simile allo smalto per unghie e abbastanza morbido da essere inciso. I dischi di acetato vengono poi mandati a chi ci incide i solchi per fare il master, che viene poi usato come modello per gli impianti di pressa che producono i dischi veri e propri.
Di conseguenza l’incendio della Apollo avrà ripercussioni su tutta la filiera produttiva del vinile, ma è la fase dell’incisione quella più colpita. Welcome to 1979, una azienda e studio di registrazione di Nashville che si occupa anche di incidere i solchi e produrre master, si approvvigiona per i 12 pollici dalla MDC, ma si serviva della Apollo per i 7 pollici. Yoli Mara, la co-fondatrice, spiega di avere abbastanza acetati di scorta per qualche mese, ma di aver già detto ai clienti che smetterà di produrre le bozze per il controllo qualità che precede il master vero e proprio in modo da risparmiare.
«La preoccupazione principale è capire a cosa dare la priorità e cosa eliminare», spiega Mara. «Non penso che nessuno di noi in questo settore abbia mai detto di no a qualche offerta di lavoro, e quella sarà la parte difficile. Per fortuna molti di noi hanno anche altre attività, quindi si spera che per qualche mese riusciremo ad andare avanti».
Resta da vedere che impatto avrà sulla MDC l’incendio alla Apollo. L’azienda giapponese aveva già una lista di clienti molto più corta della Apollo e ci si aspetta che evada gli ordini normalmente. Ma se dovesse avere un qualsiasi problema, anche minimo, si produrrebbe un caos ancora maggiore, per non dire di cosa succederebbe se i clienti della Apollo negli Stati Uniti e in Europa cominciassero a rivolgersi alla MDC.
A breve termine c’è una soluzione ovvia, anche se controversa: cambiare metodo di mastering, utilizzando una tecnica chiamata direct metal mastering (DMM). È un processo che richiede un tipo molto specifico di testina che molti nel settore dicono produca frequenze più alte. Il DMM non ha una grande reputazione nel mondo del vinile. «Se ne è parlato malissimo per anni», ammette Carter ridendo. «Ma può anche funzione bene, se fatto nel modo giusto».
Secondo Chris Muth, ex direttore tecnico di uno studio di registrazione e guru del vinile, la cattiva fama di cui gode il DMM è immeritata (e il nome stesso è sbagliato: il procedimento, creato e brevettato dalla Teldec, tecnicamente ha smesso di esistere quando l’azienda è andata in bancarotta). Ciò a cui la gente si riferisce quando parla di DMM, in pratica, è incidere i solchi nel rame invece che nel disco di acetato, e secondo Muth questo processo può produrre vinili di qualità eccellente. Ma, aggiunge, i macchinari devono essere in ottimo stato e il procedimento deve essere fatto per bene. Molti impianti che incidono i solchi sul rame oggi non sono all’altezza.
La paura, dice Muth, è che l’incendio alla Apollo spinga le etichette ad affidarsi esclusivamente a questi impianti, la maggior parte dei quali si trova in Europa. «Il problema principale per l’industria del vinile americana è che ci sono aziende dall’altra parte dell’Atlantico che possono evadere gli ordini adesso», spiega Muth. «Sarebbe molto facile per una casa discografica dire, “Bene, ci servono 2 milioni di dischi, andiamo in Europa a farceli fare”. È stato difficile conquistarsi i clienti e mantenerli, perché i costi qui negli Stati Uniti sono più alti che nell’Europa dell’est. Tutto il lavoro degli ultimi anni rischia di finire buttato via se non risolviamo il problema immediatamente».
Anche prima dell’incendio alla Apollo, si sentiva parlare di altre aziende intenzionate a entrare nel business dei dischi in acetato per risolvere il problema dell’avere solo due fonti di approvvigionamento. Oggi, queste conversazioni si sentono molto più spesso. Muth dice di aver già tre viaggi in programma nelle prossime settimane per incontrare persone intenzionate ad aprire nuovi impianti. Un’altra fonte nel mondo del vinile, che ha richiesto di rimanere anonima, ha detto di poter «confermare al 100 percento» che c’è un’azienda intenzionata ad entrare nella produzione di dischi in acetato entro la fine dell’anno, o addirittura entro i prossimi sei mesi.
Che tipo di ruolo rimarrà per la Apollo, se ne rimarrà uno, nel caso in cui il mercato cambi? È tutto da vedere. L’azienda potrebbe vendere la sua formula chimica o venire coinvolta nel lavoro di qualunque nuova azienda arrivi. Ma dopo l’incendio, la Apollo ha pubblicato sul suo sito questa dichiarazione: «non sappiamo quale sarà il nostro futuro a questo punto e stiamo valutando le opzioni che abbiamo per superare questo momento difficile». Terry Carlson, co-proprietario di Apollo, non ha risposto a una richiesta di commento da parte di Rolling Stone.
«Su internet vedi persone che la fanno facile», dice Muth, «ma chiunque sappia di cosa parla sa che non è così. Terry Carlson ci ha messo anni e un sacco di soldi per sviluppare il sistema che usava la Apollo: comprare strumentazione vecchia, ricostruirla, diventare l’unica azienda americana a produrre dischi in acetato».
Dato che produrre i dischi in acetato è un processo chimico, una nuova azienda che vuole entrare nel settore dovrebbe ottenere un sacco di permessi e rispettare molte regolamenti ambientali. Ed è anche la parte meno interessante del processo di produzione dei vinili, oltre a non produrre enormi profitti. In più c’è da considerare il capitale che serve per costruire un impianto da zero. Ma dato che la domanda per i dischi in acetato è così alta il settore è disposto a stringersi intorno al progetto giusto, spiega Jessa Zapor-Gray, un’esperta di vinile che aiuta le band e le etichette a produrre album speciali.
«Gli stampatori saranno sicuramente disposti a investire in qualcosa appena vedranno che quel qualcosa offre una soluzione», spiega. «E poi ci saranno anche le persone coi soldi che amano i vinili, perché grazie a Dio esistono anche loro».
C’è una buona ragione per fidarsi delle capacità di risolvere i problemi da parte della comunità del vinile. Dopotutto i produttori, a tutti i livelli della filiera, sono già riusciti a riportare in vita un formato che era definitivamente morto, e ce l’hanno fatta usando tecnologia che non viene più sviluppata dagli anni ’60. Ma anche se c’è speranza, ciò non vuol dire che i prossimi mesi non saranno molto difficili per il settore.
«Non tutti i dischi sono fatti allo stesso modo e non tutte le persone che fanno dischi li fanno allo stesso modo», spiega Zapor-Gray. «Le etichette discografiche non avranno alcun problema. Ora si stanno spaventando, ma troveranno un modo per evitare il problema. Le persone che avranno problemi sono quelle che lavorano nelle presse, nell’incisione e nel mastering. Ma questa può anche essere un’opportunità per far vedere alla gente che i dischi vengono fatti da persone e che è il momento di sostenerle».