Emily Warren è un’autrice pop d’élite, una di quelle abituate ai primi posti in classifica. Ha contribuito a comporre pezzi come Don’t Start Now di Dua Lipa che hanno superato ognuno il miliardo di stream solo su Spotify, eppure l’anno corso si è trovata a vivere un’esperienza spiacevole. Un importante cantante le ha detto che avrebbe interpretato una sua composizione solo in cambio di una percentuale «irragionevole» sui diritti che gli autori percepiscono per avere scritto melodia e testo, e questo pur non avendo contribuito in alcun modo alla stesura del pezzo.
Warren ha cercato di contrattare un accordo migliore. L’artista l’ha rifiutato e anzi ha messo in campo quelle che Warren chiama tattiche intimidatorie e minacce. «Del resto, se non difendo io la mia posizione, come possono farlo gli autori alle prime armi?».
La brutta esperienza ha contribuito a dare vita a un appello all’azione collettiva che ha preso la forma di una lettera aperta firmata da membri della comunità di autori americani. Hanno chiamato il documento The Pact, il Patto. Prevede che i firmatari «non cedano diritti editoriali o d’altro tipo a chi non ha creato o cambiato il testo o la melodia, o non ha in alcun modo contribuito alla composizione, senza che vi sia una contropartita ragionevole, equivalente e significativa per tutti gli autori della canzone». Warren compare tra i firmatari, così come Justin Tranter, Victoria Monet, Ross Golan, Tayla Parx, Savan Kotecha, Amy Allen e altri.
«Solo unendoci abbiamo a disposizione una leva economica e possiamo evitare il ricatto per cui se non siamo d’accordo con le loro condizioni, possono rivolgersi a un altro autore», spiega Warren.
«Ok, questo è un business», dice Golan, «ma non vuol dire che puoi permetterti di estorcere dei soldi ai colleghi. È ora che gli autori proteggano il loro lavoro, sennò ci restano solo rabbia e protesta».
Il Patto non è che l’ultima richiesta di giustizia economica avanzata dagli autori di canzoni in un mondo in cui lo streaming, per dirla con Tranter, «ha decimato la classe media» dei songwriter che incassano quote molto basse. Il sistema dello streaming è stato progettato affinché etichette e artisti facciano più soldi degli autori. In più, gli artisti possono integrare quell’entrata esibendosi dal vivo, vendendo merchandise o facendo pubblicità ai brand, tutte cose che la stragrande maggioranza degli autori professionisti non può fare giacché lavora dietro le quinte.
«Tra meno di cinque anni la figura dell’autore di canzoni professioniste che non è anche performer potrebbero sparire del tutto», dice Alastair Webber, co-fondatore dell’etichetta indipendente e casa editrice The Other Songs, che paga i suoi autori più dello standard di mercato. «E questo perché non saranno in grado di guadagnare a sufficienza per sostentarsi».
Nonostante l’esistenza di questo squilibrio tra artisti e compositori, i primi continuano a attingere dai portafogli dei secondi, una pratica vecchia quanto l’industria musicale moderna. «Oramai è quasi uno standard», dice un A&R di una publishing company che preferisce restare anonimo. «Quasi tutti gli artisti richiedono una parte di diritti agli autori e non è giusto perché il lavoro non lo fanno loro». Warren, che opera principalmente nel pop, è convinta che negli ultimi anni le cose siano persino peggiorate. Poiché gli autori hanno fatto di tutto per far conoscere il loro lavoro, «la gente ha iniziato a controllare i nomi dei songwriter su Wikipedia o nella funzione dei credits su Spotify [che è stata inaugurata nel 2018]. Non appena è nato questo fenomeno, gli artisti hanno iniziato a pretendere di essere accreditati anche come autori».
Secondo i dirigenti che si occupano di edizioni, i grossi artisti possono arrivare a chiedere anche il 20% o addirittura il 35% delle quote di una canzone che non hanno contribuito a scrivere. Un A&R dice che è una specie di tassa da pagare affinché le proprie composizioni vengano registrate. Shy Martin, autrice svedese le cui creazioni hanno totalizzato oltre tre milioni di stream, ha incontrato artisti che le hanno chiesto il 50% delle sue canzoni.
È difficile trovare un solo autore professionista che non abbia ricevuto una richiesta del genere. «Quando sei all’inizio tendi a dire sempre di sì perché temi di perdere delle opportunità», spiega Martin. «In più, non sapevo di avere la possibilità di dire no. Ti dicono: “dovresti ringraziarci perché abbiamo scelto un tuo pezzo e se non ci stai allora non lo pubblicheremo”».
In un’industria che gioca su ricatti del genere, gli autori di serie A che hanno firmato il Patto sperando di aiutare i colleghi più giovani. «Molti autori di canzoni [che hanno già firmato il documento] hanno le spalle sufficientemente larghe per non avere paura» di ritorsioni per aver parlato, dice Tranter. «Ci stiamo mettendo in gioco con passione e col dito medio alzato».
Anche i firmatari del Patto camminano su un confine sottile: da una parte cercano di difendere i propri diritti, dall’altra si guardano bene dal nominare artisti che si sono comportati in modo scorretto, sapendo che non devono pestare i piedi a una categoria potente.
Lucas Keller, manager tramite Milk & Honey di un’ottantina di autori e produttori, dice che è «al 100% a favore del Patto» se questo non svantaggia la categoria dei produttori, che è pagata seguendo altre regole. «Gli artisti che non scrivono non devono avere diritti editoriali», dice, però poi nota che la maggior parte degli introiti va alle etichette. «Il punto è convincere le etichette a sborsare più soldi».
L’idea degli autori di canzoni intervistati per questo articolo è che non ci dovrebbe essere alcun braccio di ferro con altre potenti categorie dell’industria musicale. Il Patto non esclude che si continui a lavorare con artisti che hanno chiesto indebitamente dei crediti per canzoni che non hanno composto. Gli autori chiedono solo una forma di compensazione nel caso decidano di sacrificare una percentuale della loro fonte di reddito principale. «Se vuoi prendere una cosa che è mia», dice Tranter, «devi darmi qualcosa in cambio».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.