Tutti ricordano il maglione, ma io ricordo soprattutto il silenzio.
30 anni fa, l’MTV Unplugged dei Nirvana arrivò in CD, cassetta e VHS. All’epoca Kurt Cobain era morto da quasi sette mesi, e l’apparizione di questa performance in larga parte acustica, registrata quasi un anno prima, aveva tutta l’aria di una veglia. L’atmosfera non era riflessa solo dalla scenografia – che, con tutti quei fiori e le candele, evocava lo scenario “funereo” desiderato da Cobain – ma soprattutto dalle performance sommesse di All Apologies, Come As You Are e le cover di Meat Puppets, Vaselines e Lead Belly.
In quei giorni, prima dell’era dei social media, chi di noi era stato abbastanza fortunato da accaparrarsi i biglietti per la registrazione dello show pensava di sapere cosa aspettarsi dal concerto nel Sony Studio, gli studi televisivi a nord di Times Square. Eravamo consapevoli che Cobain non era così entusiasta del suo status di rock star, e sapevamo che i Nirvana consideravano quello show come un modo per quietare i diktat dell’industria discografica. Nell’autunno del 1993, inoltre, Unplugged non era solo uno dei franchise più importanti di MTV ma, soprattutto, un elemento decisivo dei piani di marketing di qualunque musicista del pianeta. Paul McCartney, Eric Clapton, LL Cool J, Rod Stewart, Neil Young e gli Aerosmith, tra gli altri, avevano già registrato episodi dello show per promuovere i loro album. Per questo, la maggior parte di noi era sicura che al centro del live acustico dei Nirvana ci sarebbero state le canzoni di In Utero, album uscito circa un mese prima della performance.
Grazie ai resoconti pubblicati negli ultimi anni, ora sappiamo quello che è successo nei giorni precedenti alle registrazioni. I Nirvana non avevano mai suonato in acustico, e le prove erano piuttosto tese. I dirigenti di MTV non erano entusiasti per la presenza dei Meat Puppets come ospiti al posto di, per esempio, uno dei membri dei Pearl Jam. La mattina del concerto, Cobain era in crisi d’astinenza. La band e il network, inoltre, litigavano per la scelta delle canzoni in scaletta. Nessuno di noi sapeva che Cobain non lavava i capelli da più di una settimana.
Eppure, mentre tutti eravamo inchiodati alle sedie – fan, celebrità (Kate Moss), rockstar (membri dei Sonic Youth), personaggi dei media e dell’industria – la sensazione nell’aria era di grande mistero. Prima degli altri concerti della serie, tutti potevano grossomodo immaginare gli arrangiamenti che avrebbero ascoltato (era facile, insomma, pensare a Dream On con solo pianoforte, chitarra acustica e batteria leggera). Ma cosa sarebbe successo con le canzoni di Cobain? Pochi avevano sentito i Nirvana suonare senza un volume esagerato – pochi giorni prima la band aveva suonato uno show rozzo e violento in una location triste e ricoperta di un cemento che cancellava ogni suono, il New York Coliseum, fortunatamente demolito. Come sarebbe stato l’unplugged dei Nirvana? Nessuno aveva ripreso le prove, non c’erano leak da recuperare online. Nel 1993 nessuno aveva un telefono cellulare.
All’epoca lavoravo per Entertainment Weekly, e insieme ad alcuni colleghi mi sono seduto nell’angolo lontano dell’ultima fila di poltrone (come ha detto Bruce Fretts, uno dei colleghi, “Probabilmente quelli del network volevano che i più fichi fossero nelle prime file, a favore di telecamera”. Avevano ragione). Tutti abbiamo scritto sui nostri appunti del palco, cupo e meraviglioso, tutti ci siamo fermati a osservare gli aggiustamenti dell’ultimo minuto, e tutti abbiamo visto Cobain emergere dall’altro lato della sala e parlare con alcuni fan. Poco dopo, un applauso ha accompagnato Cobain, Dave Grohl e Kris Novoselic, insieme al nuovo chitarrista Pat Smear (e in alcune canzoni alla violoncellista Lori Goldston) mentre si sistemavano dietro agli strumenti. Poi la sala si è quietata in attesa di capire cosa esattamente avremmo ascoltato – era un po’ l’equivalente nel 1993 dell’uscita a sorpresa di un nuovo album, magari a mezzanotte e senza nessun singolo.
Come sanno tutti, Cobain indossava un maglione Fred Rogers e, imbracciando la chitarra acustica, ha aperto il set con About a Girl, presentata come un brano estratto da un album (Bleach) sconosciuto a tutti. (Non so quanto fosse vero, Nevermind aveva convinto i fan ad ascoltare gli album precedenti… ma non importa). La canzone era più silenziosa della versione in studio – tutti potevamo vedere le bacchette di Dave Grohl, pochissimi sono riusciti a sentirle –, ma talmente coinvolgente da farci pensare: sì, può funzionare.
Il brano successivo, Come As You Are, ricreava lo stesso groove sottomarino dell’originale e le altre canzoni all’inizio della scaletta – On a Plain, Something in the Way – erano meravigliosamente disordinate. Quello che è venuto dopo, però, era diverso dal solito Unplugged. Come hanno scoperto tutti qualche mese dopo, quella sera abbiamo ascoltato poche delle canzoni più conosciute dei Nirvana e molti commenti autoironici di Cobain (come quando ha detto che “avrebbe incasinato” la cover di The Man Who Sold the World di Bowie). Ogni canzone era accompagnata da un gigantesco applauso, a cui seguiva un silenzio da messa grunge-folk. L’atmosfera nello studio non era certo “rilassata” – con i capelli sporchi e lo sguardo ferale, Cobain non aveva affatto l’aria del cantastorie –, ma innegabilmente intima.
La maggior parte di quello che abbiamo visto è stata pubblicata in video, come il momento, poco prima di Pennyroyal Tea, in cui Cobain dice: “Okay, ma ora c’è un altro pezzo che potrei sbagliare”. Nonostante il fascino sgangherato del concerto, tutti eravamo colpiti da quanto la performance fosse coesa, da come la scaletta si muovesse con sicurezza da una canzone all’altra. Ero già stato a diverse registrazioni di programmi per la tv e gli errori erano parte integrante del processo. Ma come ha raccontato l’ex dirigente di MTV Alex Coletti, l’Unplugged dei Nirvana era uno dei tre episodi registrati in una volta sola – gli altri sono i Live e Crosby, Stills & Nash. (Due registrazioni delle prove, Polly e The Man Who Sold the World, documentano quanto sia stato difficile per i musicisti lavorare ai nuovi arrangiamenti).
Poi, quando i Meat Puppets sono saliti sul palco per suonare non una, ma ben tre canzoni del loro repertorio, il concerto è diventato un tour guidato nei recessi della mente di Kurt Cobain. Quando la band ha attaccato All Apologies, tutti pensavamo che lo show fosse arrivato alla fine; il ritorno al materiale più familiare al pubblico sembrava il modo giusto per chiudere il cerchio aperto da Come As You Are. Eravamo convinti, insomma, che fosse finita lì. Poi, ovviamente, è arrivata Where Did You Sleep Last Night? di Lead Belly. L’arrangiamento in stile marcia funebre era diverso da tutto quello che avevamo sentito quella sera, e il momento che tutti ricordiamo – quando Cobain, spingendo la sua voce su un registro più alto, lacera la parola “shiver” nell’ultimo ritornello – rimane una delle cose più sconvolgenti che io abbia mai visto durante un concerto rock.
Il modo in cui l’arrangiamento si evolveva, dall’essenziale fino al maestoso, non era approssimativo o confusionario, ma il risultato di lavoro strutturato con cura, in cui l’intensità aumentava strumento per strumento. Non so quali demoni infestassero Cobain, ma quella sera sembrava controllare la sua arte, e Where Did You Sleep Last Night? dimostrava quanto fosse esperto di arrangiamenti e dinamiche. Sapeva come calmare ed eccitare il pubblico, e non risultava mai falso o calcolatore.
È in quel momento che tutti siamo riusciti ad ammirare la grandezza di Cobain, insieme al possibile futuro della sua carriera, sia dentro che fuori i Nirvana: tutti i dubbi sui limiti della sua musica svanirono in un istante.
Non c’è stato, come sapete tutti, nessun bis, e ricordo che uscendo dallo studio tutti ci sentivamo tanto entusiasti quanto prosciugati. La performance dava l’impressione che Cobain sarebbe sopravvissuto – forse quel musicista così tormentato e carismatico era più forte dei rumors che lo circondavano, forse ce l’avrebbe fatta. Ma tutti sappiamo cosa sarebbe successo cinque mesi più tardi. Quel silenzio sembrava la sua salvezza, poi non lo è stato più.