Storie di solitudini e favole surreali, canzoni sexy e lied austeri, discese nell’abisso e dialoghi coi figli, casse dritte e chitarre glam, urban e ritornelli ultrapop. Le 15 canzoni che abbiamo inserito in questa classifica, cercando di selezionare le migliori dell’anno che si sta per chiudere, sono solo una frazione dell’enorme produzione italiana, ma danno un’idea di quanto vario e interessante e per certi versi imprevedibile sia diventato il panorama musicale nel nostro Paese. Cosicché se qualcuno ci chiedesse dov’è andata la canzone italiana negli ultimi 12 mesi, non potremmo che rispondere: un po’ dappertutto.
Che siano raffinate o tamarre, giocose o riflessive, semplici o complesse, tradizionali o audaci, queste 15 canzoni ci dicono un’altra cosa rassicurante: nonostante il virus e i problemi che ha creato, nonostante la mancanza di concerti e il senso di spaesamento sentito da molti cantanti, la musica italiana è viva.
15. “Discipline of Enthusiasm” Lorenzo Senni
Lorenzo Senni ha creato un suono così peculiare che ha condizionato l’ambiente elettronico circostante. Ha riportato in auge la musica trance, o almeno una parte della sua struttura, accelerandone l’emotività. Nella sua musica si è nel freddo glaciale del suono digitale della Roland JP-8000 quanto nel cuore caldo dell’emozione. Ascoltare Lorenzo Senni è come intraprendere quei percorsi benessere in cui si forza il corpo a passare dal gelo al calore più estremi: solo accettando lo shock iniziale se ne uscirà rinvigoriti. (Mattia Barro)
14. “Superclassico” Ernia
Anche se all’interno del testo il riferimento è a un derby di coppa che incendia gli animi come l’amore tra i due protagonisti, ormai questo brano un Superclassico lo è diventato davvero, di nome e di fatto: uno dei singoli più suonati dell’estate, è già arrivato al triplo disco di platino. Che Ernia, uno dei rapper più complessi e intellettuali della sua generazione, riuscisse a sfornare un pezzo pop di questa portata, in grado di conquistare allo stesso modo il pubblico dei duri e puri e quello delle ragazzine romantiche, non era affatto scontato. Prevediamo che si canterà ancora a squarciagola anche per buona parte del 2021 (speriamo in coro, in qualche assembramento finalmente non clandestino). (Marta Blumi Tripodi)
13. “Baby” Madame
Spesso la classificano come una rapper, ma a torto: Madame è una categoria a sé stante e l’ha dimostrato una volta di più con Baby, che non è né un brano hip hop, né una canzone in senso stretto. E se esattamente vent’anni fa toccava alla francese Alizée raccontare cosa significa rivendicare il proprio diritto ad essere giovani e spensierate con la sua – musicalmente piuttosto dimenticabile, nonostante i risultati nelle classifiche di mezza Europa – Moi, Lolita, stavolta è il turno di Baby. Che è senz’altro una traccia molto più riuscita e chissà, magari potrà eguagliare i traguardi internazionali di chi l’ha preceduta. (M.B.T.)
12. “Luna araba” ColapesceDimartino & Carmen Consoli
Impossibile non sentire un po’ le influenze di un Franco Battiato d’annata, in questo brano. Nel senso migliore del termine: in un cantautorato contemporaneo che ormai pesca a piene mani le sue metafore da una vita quotidiana quasi del tutto priva di poesia – nomi di brand, non luoghi, farmaci, drink, cibo e chi più ne ha più ne metta – è bello ritrovare versi surreali e ben poco prosaici come “i normanni storditi da pozioni africane”, una volta ogni tanto. Soprattutto se lo scopo ultimo è descrivere la magia di un’estate in Sicilia, terra d’origine di questi tre gioielli della musica italiana. (M.B.T.)
11. “Good Times” Ghali
A questo punto dell’anno, molti di noi saranno arrivati a non tollerare più questa canzone, che ormai ci ha bombardato a ripetizione in tutte le salse: in radio (è stato il brano più trasmesso dalle emittenti italiane negli ultimi 12 mesi), nei jingle pubblicitari, nelle cover acustiche su YouTube. Indipendentemente dai gusti personali, però, è il perfetto tormentone pop di questi neo-inaugurati anni ’20: semplice, conciso, senza troppi fronzoli, con un ritornello in grado di piantartisi in testa al primo ascolto e non muoversi più da lì, che tu lo voglia o no. Ci sono artisti che darebbero un braccio per poter fare altrettanto. (M.B.T.)
10. “Canzone per un amico” Venerus & Mace
Una canzone perfetta per consolare e consolarsi, soprattutto in un periodo come questo. Il distanziamento sociale ci impone una separazione fisica quasi insopportabile dalle persone a noi più care, che nella solitudine delle nostre quattro mura ci sembrano più lontane che mai, ma la musica avvicina. L’arpeggio di una chitarra da primi anni ’00, un assolo di sassofono da fine anni ’80, un Venerus sempre più intimo ed essenziale e un Mace che recupera tutte le influenze soul delle sue origini danno vita a un ottimo esperimento di progressive R&B italiano. (M.B.T.)
9. “Rapide” Mahmood
Dopo il trionfo a Sanremo e le hit Barrio e Calipso, questo brano per Mahmood è stata la prova del nove. Il primo singolo ballad, in cui dimostrare che, oltre a Soldi, c’era dell’altro. Missione compiuta, tra ricordi di un amore finito e lacrime, tante lacrime. Rapide, appunto. (Filippo Ferrari)
8. “Per due che come noi” Brunori Sas
Brunori Sas ha lavorato a Cip! con un approccio diverso alla scrittura, con quella che ha definito «la sindrome da visione d’insieme». L’idea era di raccontarsi «come una creatura a tempo, uno su sette miliardi», di scrivere «canzoni che comunicassero una visione corale, un noi». Non è un caso allora che Per due come noi parli di piccole cose accumulate, lunghe attese. È una ballata classica per pianoforte, voce o orchestra, più cantata rispetto a quanto ci ha abituato Brunori, con un testo senza cinismo o disincanto it-pop che parla di «non confondere l’amore con l’innamoramento». (Andrea Coclite)
7. “Abracadabra” Sfera Ebbasta feat. Future
L’inglese e l’italiano sono due lingue dalle sonorità profondamente diverse, cosa che appare fin troppo evidente nella musica hip hop: è difficilissimo mettere due rapper appartenenti al rispettivo idioma nella stessa traccia e ottenere un risultato convincente e credibile. A meno che non si tratti di Sfera Ebbasta e Future, che (pur avendola registrata in remoto causa pandemia) sono riusciti nella quasi impossibile impresa di creare un amalgama perfetto, tanto che non si percepisce quasi lo stacco tra l’uno e l’altro. Un brano che, pur non dicendo niente di particolare nel testo, trasmette un senso di unità e coesione mondiale sotto l’egida dello stesso suono d’avanguardia. (M.B.T.)
6. “Sincero” Bugo & Morgan
Una delle poche certezze di questo folle 2020 è che Sincero verrà ricordato per sempre per la lite che ha coinvolto i suoi due autori sul palco dell’Ariston. Peccato, perché senza quella pantomima e senza il dramma Covid giunto appena dopo, Sincero avrebbe potuto ottenere ciò che meritava. Il suo sound volutamente anni ’80, paraculo quanto basta per renderlo catchy e al contempo nostalgico, non avrebbe certo vinto il festival, ma ne sarebbe uscito a testa altissima. Sembrano passati dieci anni dalla sua uscita, ma la nostalgia resta. Quella per l’ultimo momento in cui la nostra unica preoccupazione poteva essere quella di che parte prendere nello scontro tra i due. (Luca Garrò)
5. “Dal giorno in cui sei nato tu” Andrea Laszlo De Simone
Forse ai cantautori consegnano un manuale su cui c’è scritto che prima o poi tocca dedicare una canzone ai figli. Nel farlo, è facile cadere nella retorica e nella banalità. È un pericolo che Andrea Laszlo De Simone evita in un pezzo dotato d’un candore e di un senso d’incanto che sono rari nel mondo della canzone italiana. L’autore l’ha definita «una dichiarazione d’amore formulata con parole semplici, che suggerisce una visione positiva della realtà. In questo piccolo “discorso” cerco di fornire a loro tre chiavi fondamentali per approcciarsi alla vita: la fantasia, la musica e l’ironia». E lo fa con una voce che sembra venire da un altro tempo, da un’altra dimensione, da un mondo migliore. (Claudio Todesco)
4. “Bando” Anna
Il pezzo trap dell’anno. Uno dei pezzi italiani dell’anno. Nato quasi per caso su un type beat recuperato su internet, Bando è il guilty pleasure di una nazione a cui la cassa dritta un po’ tamarra piace e dà gusto. Figlio della generazione TikTok, ha condotto Anna su tutti i dischi che contano, proclamandola come next big thing. Bando è appiccicoso come gomma da masticare e violentemente paraculo. Un brano che ha stracciato i record e ci ha ridotto in pappa il cervello. (M.B.)
3. “Freccia Bianca” Lucio Corsi
Lucio Corsi affronta uno dei grandi archetipi dell’uomo, il viaggio, e lo fa con la consueta vena a metà tra il cantastorie poetico e stralunato e il Bowie del periodo Ziggy Stardust. Una miscela vincente, che unisce parti chitarristiche che rimandano non poco all’immaginario glam a un testo ricco di immagini e metafore, la migliore delle quali è capace di trasformare un banale treno Freccia Bianca in un grande capo indiano, in grado di lenire la paura per il viaggio dal noto all’ignoto. Un vero e proprio romanzo di formazione, un gioiellino pop surreale sulle paure dell’uomo e sulla capacità di elaborarle. (L.G.)
2. “Novembre” Iosonouncane
A cinque anni da DIE, dieci da La Macarena su Roma, Iosonouncane è tornato con un valzer spettrale e inquieto, una canzone grande e inaspettata, cinematografica, uscita insieme a una cover di Vedrai, vedrai di Luigi Tenco e con il compito di accompagnare la rinascita di Numero Uno. E in Novembre c’è la tradizione, un modo di scrivere antico, un’apertura orchestrale da vertigini, un testo suggestivo e cinematografico. Farà parte di IRA? Non è chiaro, ma il terzo disco è pronto ed è già tra i più attesi del 2021. (A.C.)
1. “L’abisso” Francesco Bianconi
Francesco Bianconi l’ha pubblicata nell’anno in cui tanta gente s’è ritrovata a pensare all’abisso, ma l’ha scritta prima, al termine di un periodo di autoanalisi. Non ha a che fare con noi, con la nostra insignificanza, col nostro abitare “un fondale di paura”. Ha a che fare col mestiere di Bianconi, col suo essere uomo, col suo rapporto con la morte. È una confessione privata e per certi versi spietata. In un mondo in cui i cantanti fanno grandi proclami sulla sovrapponibilità fra arte e vita, in un teatro autoassolutorio in cui essere sé stessi è sempre l’opzione preferibile, Bianconi dice un’altra cosa. Dice: io fingo. Quando sono me stesso e seguo le mie inclinazioni sono pavido, scrivo degli altri per non scrivere di me stesso, ho paura di raccontare il nulla, la morte, i miei orizzonti di paura e perciò mi nascondo. Indossando questa maschera faccio bella figura in società.
L’abisso è una delle canzoni meno sexy dell’anno, ma ha una sua notevole solennità. Inizia con una parte di pianoforte molto classica, una sorta di carillon, una piccola cellula sonora la cui leggerezza non fa presagire le parole che seguiranno, ma che evoca un movimento, un’ascesa piena di grazia – la reference parrebbe Schumann, le sue Scene infantili. L’eloquio limpido di Bianconi evoca il De André maturo, la compostezza rimanda ai lied, con un paio d’interessanti digressioni sonore. Ci si aspetta che dopo il verso “e stanotte tu sei mia” Bianconi continui a cantare e invece tace e lascia spazio a una coda strumentale a cui è affidato il compito d’evocare una discesa nell’abisso che diventa accettazione della vita, del meglio e del peggio, senza più nascondersi. Sono pochi secondi arrangiati da Alexander Balanescu, ma riescono a trasformare i temi e i sentimenti evocati dalla canzone in una piccola fantasia sonora. E forse nel 2020 questa cosa è un po’ mancata nella conversazione sul pop incentrata com’è sulla contabilità del successo, sui risultati, sui numeri. È mancata la musica. (C.T.)