Così come nelle sue canzoni, anche nelle copertine degli album di Paul McCartney c’è tutto un mondo. Gli affetti e la trasgressione, lo humour e la nostalgia. Per realizzarle, l’ex Beatle si è avvalso, nel corso degli anni, di collaboratori che lo hanno aiutato a rappresentare questo mondo fatto di emozioni e spesso di ricordi. L’amata Linda su tutti, ma anche un artista come Eduardo Paolozzi, che sarebbe diventato lo scultore ufficiale di Sua Maestà britannica, o lo studio Hipgnosis, fondato da Storm Thorgerson e Aubrey Powell e noto per la sua collaborazione con decine di band tra cui i Pink Floyd (sua la copertina di The Dark Side of the Moon e di molti altri album della band).
Scorrere queste dieci copertine del McCartney post Beatles significa anche compiere un viaggio nella sua vita, partendo dal giovane di bellissime speranze nella natia Liverpool per arrivare alla superstar cui la vita stessa non ha risparmiato nulla.
“McCartney” (1970)
Che copertina si sceglie per il proprio debutto solista dopo aver fatto parte della più grande band della storia? Paul McCartney opta per una semplicità un po’ ermetica: uno scatto della moglie Linda che ritrae qualche decina di ciliegie sopra un muretto, accanto a una ciotola piena di un liquido rosso. La foto è intitolata Feeding the Birds in Antigua, 1969, e non è accompagnata né dal titolo dell’album né dal nome dell’autore, tanto che in molti pensano che quello con le ciliegie sia il retrocopertina, e che la vera copertina sia il retro. Su quest’ultimo c’è un altro scatto di Linda, con McCartney fotografato nel verde della grande fattoria scozzese di famiglia, e la neonata Mary infilata nel giubbotto del papà. Tutto all’insegna del basso profilo, almeno in apparenza. In realtà la bomba è contenuta nel comunicato stampa inviato ai giornalisti assieme alle prime copie del disco: vi si può leggere un’intervista con l’autore che dice che in futuro non lavorerà con i Beatles né scriverà altre canzoni con John Lennon. Altro che ciliegie e basso profilo: è la fine dei Fab Four.
“Ram” (1971)
Ram significa ariete, l’animale che Linda fotografa assieme a Paul per il secondo album del marito. L’ambientazione è sempre quella scozzese del buen retiro della famiglia McCartney, e ad accentuare il tono casereccio dell’artwork c’è la cornice disegnata a pennarello dall’ex Beatle. Che “firma” l’opera sul lato destro con quattro semplici lettere: “L.I.L.Y.”. Cosa significa questa sigla? Semplice: Linda, I Love You.
“Red Rose Speedway” (1973)
Delusa dalle scarse vendite di Wild Life (1971), il primo album dei Wings, la Apple spinge per attribuire l’opera seconda a McCartney, oltre che alla band, e per mettere il suo volto in primo piano in copertina, fotografato da Linda nello studio ospitato nel palazzo del Sunday Times a Londra. L’artwork è invece di Eduardo Paolozzi, nato a Edimburgo nel quartiere di Leith ma originario di Viticuso (in provincia di Frosinone), nei pressi di Cassino. Pioniere della pop art, è stato uno degli insegnanti di Stuart Sutcliffe, bassista della prima formazione dei Beatles. Nel retrocopertina c’è un messaggio in Braille indirizzato a Stevie Wonder: «We love you, baby!».
“Band on the Run” (1973)
Scattata a Londra a Osterley Park, la foto di copertina rappresenta una banda che viene beccata mentre sta cercando di fuggire di prigione. Paul, Linda e Danny Laine (chitarrista dei Wings e già fondatore dei Moody Blues) sono in compagnia degli attori James Coburn e Christopher Lee, del conduttore televisivo Michael Parkinson, di Clement Freud, nipote di Sigmund, conduttore radiofonico e membro del parlamento britannico, del cantante Kenny Lynch e di John Conteh, pugile di Liverpool che di lì a poco diventerà campione del mondo dei massimi leggeri. La foto sembra trattata con un filtro giallo poiché il fotografo Clive Arrowsmith ha sbagliato pellicola. Inoltre, ricorda lui, al momento di sviluppare si accorge che ci sono solo tre scatti utilizzabili, mentre nella maggior parte delle foto i soggetti sono girati di spalle o si impallano l’uno con l’altro. Anche perché è stato difficile farli stare fermi, dal momento che erano tutti su di giri dopo aver partecipato a un festino organizzato da McCartney durante il quale non tutte le sostanze consumate erano perfettamente legali.
“Tug of War” (1982)
La copertina del terzo album solista accreditato a Paul McCartney, realizzata dallo studio Hipgnosis, vede l’inizio della collaborazione dell’ex Beatle e della moglie con l’artista britannico Brian Clarke, noto per l’utilizzo del vetro colorato e del mosaico, che in questo caso utilizza i colori a olio su uno scatto di Linda. Sette anni più tardi, l’artista lavorerà alla copertina di Flowers in the Dirt e alle scenografie del successivo tour di McCartney.
“Give My Regards to Broad Street” (1984)
Un pensieroso Paul McCartney è il protagonista della copertina molto anni ’80 della colonna sonora dell’omonimo, trascurabile film di Peter Webb, uscito anche in Italia con il titolo di Broad Street. Il ladro stilizzato è quello comparso in sogno all’ex Beatle, protagonista della pellicola nei panni di se stesso, che al risveglio pensa di essere davvero stato derubato del master del suo ultimo album e si lancia in una caccia al malvivente per le vie di Londra. Fra i coprotagonisti del film, un flop anche al botteghino, Linda e Ringo Starr.
“Off the Ground” (1993)
L’idea di McCartney è semplice: una foto che richiami quelle in cui un fotografo maldestro, magari un passante recuperato per scattare una foto di gruppo, taglia via per errore tutte le teste dei presenti. In questo caso restano solo i piedi dei membri della band (quelli di Paul sono i terzi da sinistra, accanto a quelli di Linda). Per realizzare lo scatto, tutti i musicisti si siedono con le gambe a penzoloni su una panca sistemata davanti a uno sfondo blu. Per questa copertina, McCartney si avvale della collaborazione di artisti che già hanno lavorato ai suoi precedenti album. Il fotografo è Clive Arrowsmith, quello di Band on the Run, il booklet interno è di Eduardo Paolozzi, già al lavoro in Red Rose Speedway, mentre il design è dello studio Hipgnosis.
“Paul Is Live” (1993)
Per la copertina del suo album dal vivo del 1993, Paul McCartney gioca con quella iconica (in questo caso si può ben dire) di Abbey Road (1969) e con le presunte prove della propria morte in essa contenute. Titolo a parte, la targa del Maggiolino posteggiato sulla sinistra non è più LMW281F, il cui significato, secondo la teoria del “Paul is dead”, sarebbe stato: Paul McCartney avrebbe 28 anni se fosse vivo, ma 51IS, ossia: ha 51 anni (l’età di McCartney nel 1993). Paul indossa le scarpe e mette avanti il suo piede sinistro, laddove su Abbey Road i suoi piedi scalzi e il suo piede destro in avanti (al contrario degli altri Beatles) sarebbero stati un’altra prova della sua morte. Il mancino McCartney tiene il guinzaglio del cane con la sinistra, mentre la sigaretta tenuta con la destra su Abbey Road avrebbe provato che quello ritratto nella foto era un impostore. Ci sarebbero altre decine di osservazioni fatte nel ’69 e nel ’93 da complottisti di ogni risma, qui preferiamo ricordare che il cane della copertina è un discendente diretto di Martha, la Martha My Dear del doppio bianco.
“Driving Rain” (2001)
La copertina del primo album uscito dopo la scomparsa di Linda vede McCartney ritratto in maniera decisamente low-fi. La foto in realtà è un selfie ante litteram, scattato con un orologio Casio con macchina fotografica integrata, la stessa dai cui provengono le altre immagini dell’artwork. Il risultato finale ricorda un po’ la copertina di Silver and Gold di Neil Young, uscito l’anno precedente, sulla quale il musicista canadese era stato ritratto da sua figlia con la macchina fotografica integrata nel suo Game Boy.
“Chaos and Creation in the Backyard” (2005)
La foto per la copertina del disco uscito nel 2005 è stata scattata nel 1962 da Mike McCartney, fratello minore di Paul, e lo ritrae ventenne mentre suona la chitarra nel piccolo giardino della casa della sua infanzia, al 20 di Forthlin Road, ovviamente a Liverpool. La stessa casa, oggi gestita dal National Trust (ente per la salvaguardia del patrimonio culturale del Regno Unito), in cui McCartney è tornato di recente durante una memorabile puntata del Carpool Karaoke di James Corden. «Tornando là», ha detto, «ho capito quanto è stato lungo finora il mio viaggio».