La canzone è sempre la stessa, letteralmente. Oggi, 8 marzo, l’Annenberg Institute della University of South California ha pubblicato il suo ultimo report sui dati demografici di chi crea musica, scoprendo che le donne rappresentano ancora un’esigua minoranza fra chi crea musica che va in classifica e che riceve una nomination importante ai Grammy. Non solo: nell’arco di un decennio, o quasi, «non c’è stato alcun aumento significativo e costante» del numero di musiciste donne presenti in un business musicale gestito tradizionalmente da uomini.
Il quarto rapporto annuale, preparato nel quadro della Annenberg Inclusion Initiative della USC col finanziamento di Spotify, ha esaminato genere ed etnie di artisti, autori, produttori e altri creatori delle 900 canzoni di maggior successo degli ultimi nove anni. Tra il 2012 e il 2020, le donne hanno rappresentato il 21,6% di tutti gli artisti, il 12,6% degli autori e il 2,6% dei produttori. I dati sono stati raccolti dai ricercatori Stacy Smith, Katherine Pieper, Marc Choueiti, Karla Hernandez e Kevin Yao analizzando le classifiche Billboard Hot 100 di fine anno e le principali nomination ai Grammy Awards.
A fronte del continuo richiamo da parte dell’industria musicale alla riforma di un sistema distorto, nel 2020 il numero di donne coinvolte nella creazione delle canzoni di maggiore successo è sceso a un livello persino inferiore rispetto a quello del 2019: la quota di artiste femminili è passata dal 22,5% al 20,2%; le autrici dal 14,4% al 12,9%; le produttrici dal 5% a un misero 2%. Quando poi si cercano produttrici di sesso femminile e nere, il rapporto coi colleghi maschi bianchi è di 1 a 180.
«È la Giornata internazionale della donna ovunque, tranne che nella discografica, dove le voci femminili vengono represse», scrive in un documento che accompagna il report Stacy Smith, professoressa di comunicazione e fondatrice dieci anni fa della Annenberg Initiative. «Le donne produttrici, e in particolare quelle nere, sono sostanzialmente cancellate dall’industria musicale».
L’analisi dei dati e del contesto storico smentisce l’idea che molto semplicemente le creatrici di musica siano meno qualificate o produttive dei colleghi maschi. In gioco c’è una dinamica escludente. Intanto, ci sono artiste di sesso femminile come Nicki Minaj e Rihanna che hanno inciso un numero di canzoni di successo superiore a quello di uomini come Justin Bieber e Ed Sheeran. Ma in un’industria controllata da dirigenti di sesso maschile, gli uomini che creano musica tendono a lavorare con collaboratori del loro stesso sesso. Delle 900 canzoni del campione preso in considerazione, il 57,3% porta la firma di autori di sesso solo maschile contro un 1% scarso di autrici di sesso solo femminile. Considerando gli stili, nei nove anni analizzati nel report la presenza di donne è relativamente più consistente nel pop (32%) e meno nel rap (12,3%).
In compenso, è in aumento il numero di donne a cui è andata una nomination nelle cinque categorie più importanti dei Grammy Awards, ovvero Registrazione dell’anno, Album dell’anno, Canzone dell’anno, Miglior artista esordiente e Produttore dell’anno. Dal 7,9% nel 2013 e dal 6,4% nel 2017 si è passati al 28,1% nel 2021. Anche se nell’ultima lista di nomination c’è la rappresentanza femminile più ampia di sempre, artiste, cantautrici e produttrici sono pure sempre in media, nel periodo 2013-2021, il 13,4% del totale contro l’86,6% di uomini.
Ci sarà mai un bilanciamento fra sessi nel music business? E come può essere raggiunto? Non c’è una soluzione facile, ma secondo i ricercatori della USC lo squilibrio può essere sanato solo «con impegno e assunzione di responsabilità, cose che finora l’industria musicale ha evitato».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.