Hanno scatenato rivolte da Boston a Milano, hanno fatto sold out da Hong Kong ad Amburgo. Ognuno dei loro cinque album precedenti è diventato disco di platino, vendendo più di un milione di copie; uno in particolare, Led Zeppelin IV, ha superato i tre milioni di copie. Hanno stabilito nuovi record di paganti negli Stati Uniti, con 56.800 spettatori per un singolo concerto a Tampa, in Florida, nel 1973 e le 120.000 persone accorse per i sei concerti a New York del 1975. Almeno sulla carta, i Led Zeppelin sono senza dubbio la rock band più popolare del mondo.
Sì, ma sono anche la migliore rock band del mondo? La domanda non riguarda questa singola band, ma spinge a riflettere sullo stato attuale della musica. Quali sono, infatti, le band in circolazione che possono fare concorrenza ai Led Zeppelin? I Rolling Stones. Gli Who. E poi?
La domanda è ancora più rilevante dopo l’uscita del sesto lavoro in studio della band, intitolato Physical Graffiti. Doppio album frutto di quasi due anni di lavoro, il disco è il Tommy, il Beggar’s Banquet e il Sgt. Pepper dei Led Zeppelin, tutti in uno; è il disco con cui Page e soci si guadagneranno la definitiva rispettabilità artistica agli occhi di pubblico e critica.
Physical Graffiti ricapitola la carriera della band. C’è un blues (In My Time of Dying), una ballata cosmica (In the Light), un intermezzo acustico (Bron-Y-Aur) e tanto hard rock, il lato forte dei Led Zeppelin (Houses of the Holy, The Wanton Song). Ci sono anche richiami alla musica di Bo Diddley (Custard Pie), Burt Bacharach (Down by the Seaside) e Kool and the Gang (Trampled under Foot). Se non altro, Physical Graffiti è un tour de force.
Il motore dell’album e della band è Jimmy Page, chitarrista straordinario. È stato lui a formare i Led Zeppelin nel 1968, ispirandosi a band blues-rock come i Cream, il Jeff Beck Group e gli Yardbirds, dove lui stessa, ex turnista, si era fatto notare. Sette anni dopo, Page continua a tracciare il percorso degli Zeppelin, non solo come chitarrista ma anche come produttore.
Il suo principale interesse, sia come chitarrista che come produttore, è il sound. Nel suo modo di suonare, infatti, manca il lirismo di Eric Clapton, il funk di Jimi Hendrix, l’estro ritmico di Peter Townshend; tuttavia, tra tutti i chitarristi virtuosi degli anni ’60, Page è quello che, insieme a Hendrix, ha sviluppato maggiormente il vocabolario sonoro dello strumento.
Ha sempre dimostrato di essere un grande musicista da studio. Infatti, a differenza di molti coetanei, raramente esagera, soprattutto sugli album – e i Led Zeppelin, almeno per ora, non hanno mai registrato un LP dal vivo. La principale caratteristica del suo modo di suonare è appunto la sobrietà e l’eleganza con cui riesce a mettere insieme le sue influenze: le linee blues ragionate di Otis Rush, le forme acustiche di Bert Jansch, gli accompagnamenti subliminali di Scotty Moore (con Elvis Costello) o James Burton (con Ricky Nelson) nei primi dischi rockabilly.
Decisamente portato per gli assoli, Page eccelle nei fill, negli obbligato e nell’utilizzo degli effetti. Lontano da riff banali, riesce a modulare le sonorità e a sviluppare la tensione del brano modificando i colori della parte strumentale. Per riuscirci utilizza una vasta gamma di effetti: su Physical Graffiti, in particolare, ne usa svariati tra cui una slide con l’echo (Time of Dying), un vibrato country (Seaside), persino un suono riverberato e sognante che ricorda Lonnie Mack (il solo in Rover). Il suo marchio di fabbrica rimane la distorsione. Evitando timbriche pulite, solitamente Page mischia armoniche piene di fuzz dentro sfondi molto pesanti, facendo apparire e sparire la chitarra dal mix, a volte mimando le urla contorte di Robert Plant, altre inseguendo i ritmi secchi della batteria.
La coorte sonora di Page è completata da John Paul Jones e John Bonham. Jones, un altro veterano dello studio, suona sia le tastiere che il basso e, attraverso l’uso che fa del sintetizzatore, riesce a dare pienezza e funk al suono della band. Bonham, invece, è un batterista ruvido, scelto proprio per la sua capacità di dare agli Zeppelin un fondo solido come una roccia.
Sul palco, a fianco dei musicisti e a condividere i riflettori con Page, c’è il cantante Robert Plant. Come Roger Daltrey degli Who, Plant riesce a trasmettere solo una determinata gamma di sentimenti, ma riesce a farlo con un estro incontenibile. Le sue acrobazie vocali sono complementari al lavoro in studio di Page. Non si limita a urlare e cantare in modo squillante, ma riesce a rendere il suono più grezzo. È la controparte vocale delle distorsioni della chitarra di Page.
Anche se all’inizio i Led Zeppelin hanno adottato il formato standard del rock-blues di fine anni ’60, hanno abbandonato in fretta il blues per concentrarsi sull’hard rock, diventato il loro marchio di fabbrica. Il primo album del gruppo, Led Zeppelin, già conteneva i primi indizi di questo cambiamento, come Dazed and Confused, un muro di suoni roventi che ha poi ispirato una generazione di rocker heavy metal. Communication Breakdown, dallo stesso LP, metteva in evidenza il lato uptempo degli Zeppelin, con Page che si scatenava in una tempesta di accordi spezzati. La ritmica convulsa e l’attacco crudo sono fra le tecniche preferite dal chitarrista.
Grazie alla produzione di Page, inoltre, i Led Zeppelin hanno rapidamente superato predecessori come Cream o Yardbirds. Non soltanto Plant è un cantante più forte di quanto non lo fosse Keith Relf degli Yardbirds, ma Page, al contrario di Clapton, Bruce e Baker, è riuscito a capire l’importanza di trovare un’unità sonora coerente tra gli strumenti. Prendendo spunto dai vecchi album della Sun o della Chess, Page ha usato il riverbero e l’eco per amalgamare i suoni tra loro, accentuando sempre il fondo ritmico basso-batteria e puntando sempre ad avere un suono il più grosso possibile. Il risultato è che i primi dischi degli Zeppelin suonano ancora potenti, mentre brani dei Cream come White Room sembrano oggi pallidi e disarticolati. Su classici come Whole Lotta Love, ad esempio, la produzione di Page ha fissato nuovi standard per le tecniche di registrazione dell’hard rock.
Nel 1971, con l’uscita del loro quarto album, i Led Zeppelin hanno ampliato i confini del loro suono includendo ballate acustiche e ispirazioni folk, un lato della band già introdotto con Led Zeppelin III. Stairway to Heaven , la loro canzone più famosa, miscela delicatamente elementi acustici ed elettrici, prima di esplodere in un devastante attacco di fuzz. Il canto sempre controllato di Page e lo sviluppo delle texture di Page sono parte fondamentale di questo brano e smentiscono chi ha cercato di denigrare gli Zeppelin definendoli come una band dedita solo all’arte dell’eccesso.
L’attenzione per i dettagli e il senso dell’economia e delle sfumature sono diventati i segni distintivi dello stile Zeppelin. Per fare un esempio banale, Four Sticks, da Led Zeppelin IV, mantiene continuamente alta la tensione alternando riff distorti di chitarra elettrica a progressioni acustiche raddoppiate con la tastiera. La batteria ricorda più Mystery Train di Elvis che Sunshine of Your Love dei Cream, aggiungendo il giusto tocco di eleganza ad un momento altrimenti elementare.
Physical Graffiti semplicemente conferma la superiorità dei Led Zeppelin tra le band hard rock. Sebbene non contenga grandi novità, offre una visione d’insieme delle impressionanti capacità della band. Su Houses of the Holy, i testi di Plant si integrano perfettamente con i lick singhiozzanti di Page. Anche in questo caso, i dettagli solo la parte più interessante del brano: Bonham dà il tiro al brano con il campanaccio, mentre i due versi finali aggiungono una sorta di squittio che si nasconde dietro la voci; le sovraincisioni di Plant sul ritornello centrale, quasi impercettibili, riescono tuttavia a sottolineare la frase “let the music be your master”.
In tutto l’album, Page e la band si rifanno alle fonti più varie e strane, eppure il risultato è sempre in puro stile Zeppelin. In Ten Years Gone, una progressione molto simile a Dear Prudence dei Beatles si trasforma in un ritornello ondeggiante, con Page che si mette a suonare dietro a Plant, qui molto simile a Rod Stewart. In altri momenti, la band incontra l’Orchestra Sinfonica di Marrakech (Kashmir), il pianoforte di Ian Stewart e persino un mandolino (entrambi in Boogie with Stu). Una bazzecola: Jimmy Page potrebbe arrangiare un quartetto di cimbalini a dita e far uscire dagli altoparlanti un suono perfettamente Zeppelin.
Naturalmente anche Graffiti ha qualche difetto: gli Zeppelin sono una band troppo impulsiva per pubblicare un album impeccabile. Nonostante l’attacco irruento di The Rover, questa traccia, come molte altre, viene penalizzata dall’intonazione indecisa di Plant. Altri momenti, come i 10 minuti di Kashmir e In My Time of Dying, finiscono per diventare monotoni. In the Light, uno dei brani più ambiziosi dell’album, finisce per avere lo stesso problema anche se qui non si tratta di noia, piuttosto di una composizione frammentaria che non riesce mai del tutto a unirsi: quando nella parte finale Page suona una parte che dovrebbe dare un senso di grandiosità, l’effetto è più traballante che imponente.
Nonostante queste lacune, Physical Graffiti testimonia il gusto di Page e la versatilità dei Led Zeppelin. Nel suo complesso, l’album offre una sorprendente varietà sonora, prodotta in maniera impeccabile da Page. Forse l’album non convincerà i dubbiosi. Chiunque abbia in antipatia le pose di Plant o la batteria pestata di Bonham deve sapere che i Led Zeppelin rimangono i Led Zeppelin.
Rimarranno delusi anche coloro che preferivano il loro rock affiancato a testi significativi: qui i Led Zeppelin esprimono una visione del mondo non più articolata di quella di Little Richard (o dei Cream). Eppure, se la capacità dei Led Zeppelin di diventare culturalmente rilevanti può essere messa in discussione, la loro capacità di musicisti rock è fuori fuori da ogni dubbio. È vero, ai Led Zeppelin mancano la spavalderia degli Stones e l’energia degli Who. Ma con Physical Graffiti i Led Zeppelin interpretano il rock con creatività, arguzia e un innegabile impatto.
La band è riuscita a forgiare uno stile originale, crescendo insieme ad esso: hanno messo le radici nel rock’n’roll più duro, riuscendo tuttavia a superarlo. Forse non saranno la più grande rock band degli anni ’70, ma dopo sette anni, cinque album e ora Physical Graffiti di sicuro sono una delle migliori.