Una nebbia bianca e densa avvolge le lapidi del cimitero di Feriköy, quartiere popolare del centro di Istanbul. Non è la foschia di una giornata grigia, ma gas lacrimogeno sparato dalla polizia contro la folla che si è radunata per il funerale di Helin Bölek, cantante turca morta prematuramente all’età di 28 anni. Helin si era spenta il giorno prima dopo uno sciopero della fame durato 288 giorni. In centinaia sono accorsi per l’ultimo saluto all’artista, le forze dell’ordine hanno impedito a molti di loro di raggiungere il cimitero. Otto gli arresti, tra cui l’autista del carro funebre.
«È una giornata storica per il mondo intero. Un’artista ha perso la vita mentre metteva in scena la sua arte. Hanno ucciso un’artista». İbrahim Gökçek pronuncia queste parole poche ore dopo la morte di Helin Bölek, il 3 aprile. Avvolto da una coperta su una sedia a rotelle, chino sul microfono parla accanto alla bara aperta con il corpo esangue della giovane cantante turca coperto da una bandiera rossa. È magrissimo, il volto pare già un teschio. Anche lui è in sciopero della fame da quasi 300 giorni, anche lui è un musicista. Suona il basso nella formazione dove cantava Helin, il Grup Yorum, uno dei nomi più noti della tradizione musicale turca contemporanea. “Yorum” in turco significa “commento” e sono infatti le opinioni, espresse in forma poetica ma taglienti e corrosive, ad aver scolpito la storia ultratrentennale di questo gruppo. È una critica sociale molto forte quella del Grup Yorum, pervasa dagli ideali della sinistra comunista ed espressa attraverso una musica popolare ispirata, anche idealmente, alla nueva canción chilena di Víctor Jara e degli Inti-Illimani.
Grup Yorum üyesi #HelinBölek‘in cenazesi için Feriköy Mezarlığı’nda bulunanlara polis gaz bombası ile saldırdı!https://t.co/gUWqBlfHHr pic.twitter.com/P8FNmoR96X
— Gazete Yolculuk (@gazeteyolculuk) April 4, 2020
Lo sciopero della fame che ha portato alla morte Helin Bölek fa direttamente parte di questa poetica. È stato concepito come una forma d’arte ma anche di lotta politica, soprattutto per continuare a esprimere quello che con la musica, da ormai diversi anni, il Grup Yorum non può più fare. Dal 2016 infatti i loro concerti sono proibiti in Turchia e alcuni membri del gruppo sono in carcere con l’accusa di far parte del Fronte Popolare di Liberazione Rivoluzionario (DHKP-C), un’organizzazione armata di estrema sinistra con una lunga storia di omicidi politici, sequestri e attentati suicidi. Il DHKP-C è un’organizzazione considerata terrorista non solo dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Se i valori che il Grup Yorum esprime con le sue canzoni sono indubbiamente legati alla sinistra rivoluzionaria, la partecipazione dei membri del gruppo musicale agli atti terroristici del DHKP-C non è mai stata chiaramente provata. Alcuni dei musicisti si trovano però in carcere, da anni, accusati di aver fatto con le loro canzoni da cassa di risonanza per il gruppo armato. Helin Bölek era finita in prigione già nel 2016 insieme ad altri membri del Grup Yorum proprio con l’accusa di fare parte dell’organizzazione terroristica DHKP-C.
Da anni, Helin e altri membri del gruppo entrano ed escono di prigione regolarmente. La scelta dello sciopero della fame risale al maggio 2019. Alcuni musicisti del gruppo decidono di intraprendere questa strada assieme seguendo le orme di centinaia di militanti dell’estrema sinistra turca che già dai primi anni del 2000 scelsero il digiuno forzato come forma di protesta per denunciare ingiustizie politiche e le terribili condizioni di detenzione nelle carceri in Turchia. L’idea di mettere a rischio la propria vita in questo modo è vissuta come una forma di lotta politica e allo stesso tempo artistica. La richiesta in questo caso è il rilascio dei musicisti ancora incarcerati, il ritiro delle accuse per terrorismo e la possibilità che il Grup Yorum possa tornare ancora a suonare in Turchia, legalmente. Nulla di tutto ciò è stato per ora ottenuto. Anche se, secondo alcuni media turchi, il ministro degli Interni aveva recentemente acconsentito al rilascio di alcuni musicisti imprigionati a patto che fosse stato prima interrotto lo sciopero della fame.
Helin Bölek e İbrahim Gökçek erano stati portati all’ospedale con la forza, per ordine delle autorità, l’11 marzo scorso quando le loro condizioni erano già estremamente critiche. Hanno rifiutato le cure mediche e, dimessi dall’ospedale, hanno deciso di continuare a oltranza lo sciopero della fame nelle loro abitazioni, ribattezzate da loro stessi “case della Resistenza”. Meno di un mese dopo Helin Bölek è morta. «Era chiaro che questo destino sarebbe toccato prima o poi a me o a lei», ha commentato Gökçek.
Sono innumerevoli i processi che hanno accompagnato la lunga storia del Grup Yorum. In 35 anni di attività, e sotto governi di diverso orientamento politico, la formazione musicale è stata al centro di oltre 400 azioni legali ma negli ultimi sette anni la pressione sui musicisti si è fatta più forte. Oltre agli arresti, si contano decine di incursioni della polizia presso il centro culturale İdil a Istanbul, considerato il quartier generale del Grup Yorum. Durante i ripetuti raid delle forze dell’ordine, oltre a regolari arresti sono stati anche danneggiati molti degli strumenti musicali del gruppo. La formazione ha reagito a questa violenza ancora una volta con un messaggio artistico: il loro ultimo disco uscito nel 2017, İlle Kavga (in turco “lotta ad ogni costo”), presenta in copertina una fotografia degli strumenti musicali sfasciati durante le operazioni di polizia nel centro culturale. Una delle chitarre distrutte dalla polizia in questi raid è stata simbolicamente regalata a Joan Baez. La stella del folk di protesta americano ha infatti partecipato nel 2015 a un concerto del Grup Yorum davanti al tribunale di Istanbul che aveva messo sotto accusa i musicisti turchi. Brandendo la chitarra spezzata davanti a migliaia di presenti in delirio, Joan Baez ha invitato a ricomporne i pezzi “con amore, gentilezza e non violenza”.
Lontano anni luce dal glamour del mondo dello spettacolo, il Grup Yorum non ha mai cercato di scalare le classifiche strizzando l’occhio alle tendenze del momento. Ispirati dal leggendario cantore popolare turco Ruhi Su, le loro canzoni parlano di guerriglia, descrivono romanticamente le gesta di ribelli e lavoratori oppressi o fanno riferimento alla causa palestinese. L’antifascismo è uno dei loro valori fondanti cantati in una loro famosissima versione, in turco, di Bella ciao. Anche la causa della minoranza curda di Turchia ha trovato spesso spazio tra i testi del Grup Yorum mentre molti membri del gruppo sono alevi, una comunità musulmana sciita minoritaria presente in Turchia e storicamente vista con sospetto dalle autorità. Alcuni dei musicisti del gruppo provengono da quartieri di Istanbul roccaforte della sinistra, come Küçük Armutlu o Okmeydanı, luoghi strettamente sorvegliati dalla polizia e nel recente passato talvolta anche teatro di aspre battaglie a colpi di arma da fuoco tra forze dell’ordine e popolazione locale.
Sebbene il punto di vista di questi artisti abbia una rappresentanza minoritaria o marginale nei partiti del parlamento turco, la loro popolarità in Turchia è straordinaria. Con più di 20 album prodotti e oltre 2 milioni di copie vendute, il Grup Yorum è una delle realtà musicali di maggiore successo in Turchia, capace di riempire stadi con concerti dove hanno partecipato decine di migliaia di spettatori. Più che di un gruppo musicale, sarebbe corretto parlare di un collettivo. Sui poster dei loro concerti appaiono sagome senza nome, raccontano di una band che in 35 anni di carriera ha contato decine e decine di membri, interscambiabili tra loro. Helin Bölek, una delle loro cantanti, era entrata nel gruppo di recente, nel 2015.
Nella storia della musica pop non è così raro il legame tra musica e politica, anche quando quest’ultima non si lega esplicitamente alla protesta di piazza. Pensiamo al gruppo post punk inglese Cabaret Voltaire che in un brano intitolato Baader-Meinhoff senza muovere critiche pone invece questioni rilevanti riguardo alla Rote Armee Fraktion – RAF, il noto gruppo armato di estrema sinistra tedesco macchiatosi di numerosi atti terroristici dagli anni ’70 fino alla fine degli anni ’90. Dopo la registrazione di una cronaca radiofonica in tedesco che descrive l’uccisione di alcuni membri delle RAF, il testo del brano si innesta su una base noise: “International loudspeakers that told the world of their exploits / stay silent about the legal mass murder known as war […] Are these the heroes or the villains of the modern world?”. Parole talmente dure da rendere quasi irreperibile on line il testo del brano, pubblicato nel 1978 in una compilation della Factory Records. Il Grup Yorum, lontano da questa dimensione riflessiva profonda, è forse più vicino alla carica eversiva ed esplicita che ha reso noti i Clash con Sandinista! negli stessi anni in cui il leader del gruppo Joe Strummer salì sul palco indossando una maglietta con la scritta “Brigate Rosse” e al centro il simbolo delle RAF. Guardando all’Italia, se i riferimenti più chiari dal punto di vista musicale e ideologico fanno pensare alla canzone popolare di Giovanna Marini o al cosiddetto combat folk dei Modena City Ramblers, per i loro testi il gruppo turco potrebbe essere associato alla storica formazione punk romana Banda Bassotti o, per le posizioni politiche più che per lo stile, agli Area degli anni ’70 con la sagoma di cartone di una pistola che evoca gli anni di piombo allegata al primo LP del gruppo guidato dalla voce di Demetrio Stratos.
Nessun gruppo musicale rilevante della scena italiana contemporanea incarna, però, quello che il Grup Yorum significa per la Turchia. Per questo non stupisce che gli omaggi dall’Italia per la morte della giovane cantante Helin Bölek siano arrivati soprattutto da attivisti politici che da sempre seguono l’attività della formazione turca e non dai gruppi musicali italiani oggi più noti. Per quanto riguarda la Turchia, alcuni artisti, anche molto celebri, hanno manifestato vicinanza al Grup Yorum. Tanti altri hanno ignorato il tragico evento forse considerandolo soltanto un gesto estremo di una causa politica che non sentono propria. Ciò che colpisce di più è però il silenzio dei principali mezzi di comunicazione. Fatta eccezione per qualche quotidiano di opposizione che ha dato spazio all’evento, il giorno della morte i siti e i canali televisivi più seguiti hanno completamente ignorato la notizia, mentre su Twitter il nome di Helin Bölek diventava in breve tempo uno dei termini più ricercati.