Sarà il lungo capello riccio a mascherare il giovane ma vissuto volto magro, quel look – camicia, cravatta, giubotto di pelle – volutamente androgino (“Sono così androgina che continuo a confonderli”, come canta in Lose My Cool) o quei tossici sbalzi d’umore tra momenti a cuore aperto e altri di pura e rabbiosa follia, ma dal palco la somiglianza tra 070 Shake e Rue Bennett, il personaggio interpretato da Zendaya in Euphoria, rasenta il ridicolo.
070 Shake, il cui nome d’arte è formato dal codice postale del New Jersey e dal soprannome guadagnato sui campi da basket ai tempi della North Bergen High School, ha proprio quel fisico da ribelle che nelle high school può far impazzire tutti, ragazzi e ragazze, professori e professoresse, con quel carisma magnetico con cui, anche non facendo (e dal vivo capita spesso) niente, riesce a monopolizzare l’attenzione collettiva. Gli occhi dei presenti la divorano, e lei ha quella spavalderia per reggere e contraccambiare ogni singolo sguardo.
Sarà il peso delle esperienze della vita, le pose menefreghiste da chissenefrega del mondo o l’atteggiamento da bad girl dal cuore d’oro, ma 070 Shake ha qualcosa che molte artiste e molti artisti si sognano: la gravitas.
Devi avere una certa e innata gravitas per convincere, a soli 19 anni, Kanye West a farti firmare per la sua etichetta, la GOOD Music. E devi avere delle spalle belle larghe per partecipare, a 21 anni, alle Wyoming sessions dello stesso West e tirare fuori una doppia partecipazione nel suo disco, Ye, nei due brani meglio riusciti (Ghost Town, Violent Crimes), un pezzo (Santeria) nel disco di Pusha T e un’altra doppia partecipazione (Not for Radio e Everything) in Nasir, il disco di Nas prodotto da West. Ma 070 Shake ha il dono di rendersi credibile in ogni testo, in ogni melodia, nell’uso sfrenato dell’Auto-Tune come mezzo per sottolineare la gravità e l’imminenza del proprio canto, nonostante lavori con un genere – l’emo trap – che spesso rischia di perdersi nell’autocompiacimento estetico. Qui però non c’è bluff, non c’è posa, non c’è filtro. Facile capire perché Kanye West se ne sia artisticamente innamorato.
Dai primi brani pubblicati su Soundcloud, passando per la strepitosa I Laugh When I’m With Friends But Sad When I’m Alone contenuta nell’EP del 2018 Glitter, ai due riuscitissimi dischi, Modus Vivendi del 2020 e You Can’t Kill Me del 2022, 070 Shake non ha mai avuto nessun timore a raccontare – con voce struggente che, passata attraverso l’Auto-Tune, acquista un ulteriore strato di sporco, stavolta digitale – i suoi rapporti con l’abuso di droghe, la sua sessualità e i problemi di autostima. In lei è tutto costantemente in bilico come il calice di vino rosso che impugna durante la performance e che sorvola la sua camicia bianca e le prime file con il rischio di rovesciarsi nel momento più inaspettato. Non a caso finirà in mille pezzi, sbattuto per terra dalla stessa artista in un momento di incontenibile eccitazione.
Ma è proprio a partire da questa fragilità che la ragazza ha costruito su di sé una corazza di specchi in cui il suo pubblico, che sia quello di ieri alla Santeria di Milano o quello che macina milioni di ascolti online, può rivedere le proprie debolezze e i propri dolori. Nella ipnotica sfacciataggine egotistica che domina la performance e l’estetica di 070 Shake, tutti noi presenti vorremo essere lei nello stesso modo per cui, tutti noi, segretamente, vorremo essere la Zendaya di Euphoria; un’adorata versione glamour e cinematografica delle nostre problematiche.
A 13 anni lottava contro una dipendenza da Adderall, a 25 è in un tour solista per l’Europa mentre si prende una pausa dal tour mondiale di Kid Cudi, di cui è uno degli opening: nel suo fragile equilibrio tra un passato di dipendenze e un futuro da popstar, 070 Shake è una luce che splende dalle rovine dell’adolescenza.