E il secondo giorno il Primavera tornò a essere il Primavera. Dopo una giornata inaugurale che, tra disservizi e affollamento, aveva lasciato molti con l’amaro in bocca, al Parc del Fòrum di Barcellona si è tornati a respirare l’atmosfera delle edizioni migliori del festival. Quali siano stati i correttivi apportati dagli organizzatori al momento non è dato sapere. Quel che è certo è che le code erano molto più rapide e soprattutto c’era molto meno affollamento nella zona dei due palchi principali, che nella giornata di giovedì era decisamente congestionata.
In attesa che i live di oggi concludano il primo weekend del Primavera, si può quindi tornare a parlare solo di musica, per raccontare una giornata in cui le esibizioni degne di nota non sono mancate. A partire da quella dei Low, che hanno portato i pezzi del loro Hey What sul palco del bellissimo auditorium al chiuso, che già nelle passate edizioni del festival aveva ospitato concerti interamente dedicati a singoli album, sia del passato (come Odessey and Oracle degli Zombies) sia contemporanei (come One Day I’m Going to Soar dei Dexy’s Midnight Runners e 50 Song Memoir dei Magnetic Fields). I profili di Alan Sparhawk e Mimi Parker sono avvolti dal buio davanti a una sceneggiatura disturbante ed efficace, e si svelano solo al termine dell’esecuzione dell’album. «Questa è l’ultima canzone», dice lui. «L’ultima dell’album», specifica concedendosi una battuta quando parte un timido coro di protesta. I pezzi in aggiunta sono però solo due (No Comprende e Sunflower), ma va bene così perché l’intensità dell’esecuzione dell’ultimo album della band di Duluth non ammette variazioni, e quando si esce di nuovo all’aperto si ha la sensazione di tornare a respirare un po’ di spensieratezza.
Niente di meglio, allora, del live delle Wet Leg, in un contrasto tipico del Primavera e dei suoi accostamenti di proposte diversissime tra loro. Acclamate da un pubblico in prevalenza di giovanissimi, Rhian Teasdale e Hester Chambers hanno confermato l’esattezza dell’analisi di Rob Sheffield, che su Rolling Stone ha scritto che il loro esordio è l’album di cui il mondo aveva bisogno. Sono grandi musiciste? No. Sanno stare sul palco? Non più di tanto, anche perché spesso Chambers ha l’espressione di chi non sa perché si trova lì ma in ogni caso si degna di restarci. Hanno però le canzoni giuste per un festival che torna dopo i due anni che abbiamo passato, e la conclusiva esecuzione di Chaise Longue si candida a diventare uno degli inni di questo Primavera.
Il tempo di tornare davanti ai due palchi principali e arriva la conferma che il caos della prima giornata è probabilmente stato un incidente di percorso. Anche senza partire con ore di anticipo è possibile godersi al meglio nomi di grande richiamo come Beck e National. Il primo ci tiene a far sapere che sta ancora rodando la band che lo accompagna, ma quella vista al Primavera è una macchina che corre già a pieni giri. Basso pompatissimo e poco spazio per raffinatezze o caratterizzazioni di sound. I pezzi sfociano l’uno dentro l’altro senza interruzioni, una scelta decisamente appropriata quando ci si deve esibire a un festival davanti a un pubblico così numeroso, che infatti balla per quasi tutta la durata del concerto, durante il quale un Beck princiano dà la sua versione della storia della musica americana, dal blues ai “two turntables and a microphone” della conclusiva Where It’s At.
I National offrono più certezze che sorprese, regalando al pubblico i loro pezzi più noti, con un Matt Berninger un po’ rigido nelle movenze ma con un carisma assimilabile a quello del Michael Stipe anni ’90. Il cantante trova il tempo di elogiare i Fontaines DC, che poche ore prima si sono esibiti sullo stesso palco davanti a un pubblico numeroso ed entusiasta. Lo so grazie al passaparola, dato che ho optato per il live delle Wet Leg rinunciando a quello della band dublinese, vittima di uno dei problemi più frequenti fra quelli che colpiscono gli spettatori del Primavera: la sovrapposizione degli orari.
Tra gli altri trionfatori di giornata possiamo senz’altro inserire Iosonouncane, esibitosi su uno dei palchi secondari davanti a un pubblico notevole nei numeri e decisamente internazionale nella composizione, e Caribou, la cui Can’t Do Without You è stata finalmente eseguita dal vivo davanti al pubblico del festival dopo esserne stata l’inno durante i mesi del lockdown. Bello che sia accaduto proprio nel giorno in cui il Primavera ha fatto pace col pubblico.