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Allora, com’è stato questo Primavera Sound?

Un salto di scala nella produzione, ma anche i soliti problemi, dal suono dei palchi che si sovrappongono ai prezzi e alle code. Una riflessione su dove sta andando il festival da parte di chi ci va da più di 15 anni

Foto: Eric Pamies

È iniziata giovedì scorso con una sessione di ascolto di To All Trains, il nuovo album degli Shellac di Steve Albini, sul nuovo palco dedicato a Steve Albini. Un mazzo di fiori e gli strumenti preparati come se qualcuno li avesse dovuti suonare davvero. Ed è terminato con Kathleen Hanna delle Bikini Kill che esortava il pubblico a darsi da fare, una volta uscito dal Parc Del Fòrum: «Il punk non deve essere perfetto. Formate la vostra band. Potete partire dai basement party e arrivare a suonare ai festival».

L’edizione 2024 del Primavera Sound di Barcellona ci ha detto che il festival nato nel 2001, e diventato nel corso degli anni uno dei più seguiti d’Europa, non ha dimenticato il proprio spirito e i propri affetti. Dei concerti delle tre giornate principali ve ne abbiamo già parlato su queste stesse pagine (day 1, day 2 e day 3). Qui cercheremo invece di capire cosa il Primavera è diventato, alla luce dei cambiamenti (di dimensioni, di cartellone, di pubblico e di molte altre cose) di cui siamo stati osservatori negli ultimi quindici anni.

Il cartellone, innanzitutto. Fra le critiche più frequenti all’edizione di quest’anno c’era quella di non aver presentato una proposta all’altezza delle più ricche tra quelle delle passate edizioni. Anche quest’anno, però, solo per fare tre esempi, al Primavera c’erano la reunion più attesa (Pulp), il live di band che in Italia difficilmente vedremo (Vampire Weekend e Deftones, per fare solo due nomi) e una proposta super pop come Lana Del Rey, in grado di richiamare un pubblico in arrivo appositamente per quel concerto, e che magari al Primavera non tornerà mai più, se non per proposte analoghe. Fino a qualche anno fa, un concerto con scenografie e coreografie come quello della diva statunitense non sarebbe stato pensabile, e questo è uno dei grandi cambiamenti che gli organizzatori del Primavera hanno deciso di introdurre. Ricordando però che la legge è uguale per tutti, e che se – come Lana – ti presenti sul palco con 20 minuti di ritardo il tuo concerto durerà 20 minuti in meno del previsto.

Lana Del Rey headliner al Primavera può far storcere il naso a chi in quel ruolo ha visto i Pavement, i Cure o gli Strokes, però a un festival con otto palchi di grandi dimensioni il vero cartellone è quello che ciascuno si fa nella propria testa, e della presenza di Lana Del Rey ci si può anche tranquillamente dimenticare. E incazzarsi perché l’attesissimo live di Beth Gibbons è stato funestato da un notevole inquinamento sonoro proveniente da altri palchi, uno scivolone (fin troppo ricorrente) su cui gli organizzatori dovranno riflettere per le prossime edizioni.

Quella di quest’anno, in compenso, è stata decisamente vivibile, e non solo in confronto al sovraffollamento e alle code di quella drammatica del 2022. Gli organizzatori hanno lavorato, e bene, sulla gestione degli spazi. Un’ottima notizia anche in prospettiva futura, con qualche aspetto che comunque potrebbe essere migliorato. Il Fòrum di per sé è brutto, questo non può essere cambiato, però ci sono più palchi che fontane. Da queste esce un rigagnolo d’acqua che rende lente le code, con il risultato che si fa prima a spendere 4 euro per un bicchiere d’acqua nei vari bar. Certo, una maglietta dei Pulp ne costava 40, forse un prezzo ancora più difficile da calmierare. Ma un investimento sul confort, a partire dall’acqua, si potrebbe fare.

Nel corso degli ultimi 15 anni, iniziative come quella del Primmmavera (ristoranti pseudostellati prenotabili durante il festival e non troppo lontani dai palchi) sono tramontate di fronte ai costi (per lo spettatore) e alla difficile convivenza con il festival vero e proprio. E non sono state sostituite da soluzioni più semplici per permettere al pubblico di riposarsi. Sabato è venuto giù un diluvio, il primo dopo tanti anni, e vedere migliaia di persone accampate per terra nell’area food è stato un po’ sconfortante, oltre che scomodo e potenzialmente un po’ pericoloso. Così come sconfortante è vedere che i pochi stand dedicati al merchandising, aspetto non secondario a un festival musicale, propongono da anni sempre le stesse cose (la maglietta con scritto “Morrissey Is Murder” è l’equivalente della Luisona del Bar Sport di Stefano Benni). Inoltre l’unico stand con le magliette delle band presenti al festival aveva anche quest’anno una scelta decisamente limitata.

Il pubblico, infine, la cosa più difficile da analizzare. Ormai il Primavera è da anni un grande festival, e richiama, più che legittimamente, anche chi non vive per la musica. Vedere influencer o presunti tali che si fanno le foto nei punti più instagrammabili del Fòrum può strappare un sorriso, ma dà anche da pensare. Sul fatto che la musica per molti sia ormai solo una cornice di questo genere di esperienze ne abbiamo scritto anche qui su Rolling Stone e la cosa vale anche per il Primavera, festival per il quale questa tendenza sembra irreversibile. È successo al Coachella e sta succedendo, succede già, anche a Barcellona. Ma le giacche di pelle dei rocker possono serenamente convivere con gli hashtag del momento. O, al limite, ignorarsi reciprocamente.

Abbiamo visto centinaia di giovanissimi che, dopo essersi entusiasmati per Lana Del Rey, non si sono persi il concerto dei National in programma subito dopo nel palco accanto. Il Primavera ormai è questo e, c’è da scommetterci, sarà così anche nelle prossime edizioni.

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