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Andrea Laszlo De Simone e l’arte di dirsi addio (anzi, arrivederci)

Il cantautore si ferma a tempo indeterminato, ma non smette di fare musica. Ieri sera abbiamo visto uno dei suoi ultimi concerti: è uno dei pochi in grado di riproporre in modo creativo la nostra tradizione

Foto: Daniele Baldi

Il post che Andrea Laszlo De Simone ha pubblicato sulla sua pagina Facebook lo scorso 19 agosto non lascia molto spazio alle interpretazioni. In sintesi: «Sento il bisogno di fermarmi a tempo indeterminato». Vuole dedicarsi alla famiglia, ai due figli piccoli, e la musica sembra essere diventata un impegno troppo gravoso e ingombrante per trovare lo spazio che merita. Di conseguenza, il concerto di ieri sera al TOdays, il primo di tre spettacoli in Italia e di altri due in Francia, era una sorta di commiato dal pubblico di casa, un’ultima occasione di vedere in azione l’artista prima di una sospensione di durata indefinita.

Siamo talmente abituati a vedere concerti che celebrano ritorni, accoglienze trionfali per le reunion di gruppi che decidono di riprendere a suonare insieme dopo chissà quanto tempo che quando ce n’è uno che significa un addio siamo spiazzati. Tuttavia, De Simone da parte sua non fa nulla per dare allo show un mood particolarmente sentimentale; al contrario, appare di una professionalità impeccabile. Probabilmente tra il pubblico c’erano parecchie persone che lo avevano visto esibirsi su questo stesso palco al festival del 2017; era appena stato pubblicato Uomo donna e Andrea lo presentava dal vivo in una delle prime uscite pubbliche. Ai tempi il suo aspetto era quello di un personaggio che sembrava vivere la musica come un dopolavoro: dimesso, mal vestito, la sigaretta perennemente pendente dalle labbra, e un atteggiamento distaccato, quasi noncurante. Le canzoni c’erano, e già apparivano piene di personalità, ma francamente in pochi avrebbero scommesso sull’esplosione dell’autore.

Nel 2021 Andrea Laszlo De Simone è invece un artista di tutt’altra caratura, e se si pensa che nel frattempo ha inciso soltanto qualche singolo e un solo disco, Immensità, che non ha neanche la durata di un vero album, la trasformazione è stupefacente. Sul palco, con un’orchestra che prende il nome dal suddetto disco, ci sono 13 persone, tra sezione archi, coriste e percussionisti. Andrea, di bianco vestito, a contrastare le tinte scure degli altri musicisti, guida il gruppo con la disinvoltura di un professionista maturo. Il sound è splendido, ricco, luminoso, denso di dettagli e di suggestioni, ma non appare mai tronfio o inutilmente pomposo; si è detto varie volte delle influenze progressive in questa musica, e certo non si possono negare alla luce di questo live, ma di quel genere De Simone prende il gusto per la scrittura orchestrale raffinata, e certo non la magniloquenza fastidiosa e ostentata. Al contrario, le canzoni si susseguono in grande scioltezza, e dopo un inizio in cui sono privilegiate quelle di Immensità, il repertorio si diversifica fino al culmine di Vieni a salvarmi, uno zenit di intensità che conclude il concerto nell’apoteosi.

Il TOdays ha quindi confermato non solo l’unicità del personaggio Andrea Laszlo, ma anche la sua statura artistica di valore assoluto. Non è difficilissimo trovare un cantautore che esordisce con uno stile peculiare che lo distingue dalla media imperante; molto più raro è vedere questo stile maturare, crescere con convinzione, e imporsi come un modello di alto profilo. Ora, è evidentemente ancora presto per dire che De Simone sarà un parametro di riferimento per la musica italiana dei prossimi anni; ma certamente ne costituisce una realtà solida e identitaria – per questo il suo ritiro dalle scene, che sembra quello di un atleta giunto al punto più alto della sua carriera, fa ancora più male. I nomi che hanno ispirato questo stile, Battisti, Rocchi, il primo Alan Sorrenti, Enzo Carella, si sentono ancora tutti; ma sono giustamente delle influenze, e quello che fa Andrea è rielaborarle (e superarle) in un processo di attualizzazione. Per farlo, adotta gli stessi strumenti, classici, del caso: la melodia, le orchestrazioni d’archi, i cori. In tal senso, la sua è una musica trascendente. Molto poco rock, peraltro; anche se a tratti rimanda a certo pop psichedelico, dai Mercury Rev ai Flaming Lips ai Radiohead, rimane agganciata soprattutto al cantautorato orchestrale di autori atipici come Sufjan Stevens o Rufus Wainwright, oltre che, naturalmente, alla tradizione della musica leggera italiana.

Foto: Daniele Baldi

Paradossalmente, proprio quando l’Italia musicale che conta è rappresentata dai Måneskin e dalla loro rilettura di un genere, il rock, che non fa parte del DNA del nostro Paese, De Simone mostra che esiste una via per non negare le radici del sound italico e per riproporlo in modo evoluto e creativo. E nel risultato, per stile, raffinatezza ed eleganza, potremmo addirittura azzardare un paragone, fatte le debite proporzioni, con il Maestro Ennio Morricone.

Non siamo riusciti, purtroppo, ad approfondire con Andrea questi aspetti di sostanza musicale, ma incontrandolo brevemente abbiamo parlato della sua decisione di ritirarsi dalle scene. «Forse sono stato un po’ frainteso… non è certamente un addio, è proprio una decisione necessaria per la mia attuale condizione. Ma anche se ancora non so quando, certamente tornerò a scrivere canzoni e suonare». Sospiro di sollievo. Sarebbe stato davvero un peccato perdere un personaggio di questo spessore. Ma fortunatamente, ce n’est qu’un au revoir.

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