C’è chi ha gridato al tradimento, chi non si è mai ripreso dalla sbornia post britpop dei primi lavori, mentre sullo sfondo la solita nenia che da anni ormai circonda gli Arctic Monkeys, “non sono più quelli di una volta”, “Alex Turner si crede John Lennon”, e compagnia cantante. Diciamocelo, la nostalgia ha anche rotto le palle, soprattutto quando si parla di una band che ha costruito la propria carriera sui continui cambi di rotta con Tranquility Base Hotel & Casino che rappresenta la sterzata più importante nella carriera dei quattro di Sheffield.
Alex Turner ha trascorso gli ultimi dieci anni nel tentativo oltreumano di rinnegare acne giovanile, capelli mods e le chitarre a palla di cannone con cui i suoi Monkeys conquistarono il mondo mentre facevano l’esame di maturità. Impresa sicuramente ammirevole ma a tratti artificiosa, talvolta anche oltre i limiti del credibile perché, se AM era una sintesi perfetta del cammino fatto dalla band, dai riff techno fino ai falsetti di scuola Josh Homme, il chanteur visto sul Palco del Mediolanum Forum sembrava uscito da una pubblicità di Gucci o Dior: l’inquadratura in bianco e nero che parte dal fondo del salone, verso il pianoforte, dove il fascinoso Alex con una sigaretta in bocca sfodera uno sguardo da “ciao piccola, ti farò mia”… Insomma, la camicia lavanda e i pantaloni a zampa di elefante sfoggiati ieri sera dal frontman hanno avuto il loro effetto e, contando anche gli occhiali scuri vendittiani, il personaggio messo in scena da Turner era una miscela tra un viveur fashonista, un wannabe Steve McQueen magrolino e un musicista che la chitarra se la mangia, quando e come vuole, con buona pace di chi lamenta proprio l’assenza delle sei corde nell’ultimo album.
Il concerto parte esattamente come ci si aspettava, dal bar del Tranquility Base Hotel & Casino, con l’ultimo singolo Four Out of Five e un ancheggiante Turner accompagnato dalla versione espansa dei Monkeys, con sei, sette, otto musicisti ad alternarsi sul palco. Tutti elegantissimi. Il pubblico non sembra particolarmente entusiasta del Turner – Serge Gainsbourg seduto al piano: parafrasando Carl Brave, diciamo che l’audience è più “da Campari”, mentre Alex ormai è più un tipo da “oliva nel Manhattan”. Purtroppo per il barbuto cantante, c’è una folla pagante da accontentare con la cavalleria: Brianstorm, Crying Lightning, Do I Wanna Know? e Why’d You Only Call Me When You’re High? scatenano una gamma emotiva che va dal coro sul riff al sing along, in mezzo un “ciao Milano” un po’ sofferto di Turner. Panem et circenses dicevano gli antichi romani, e gli Arctic Monkey questo lo sanno più che bene; non è un caso, infatti, che in una scaletta di venti brani, appena cinque siano tratti dal Casinò decadente immaginato da Alex.
L’inno 505 viene rivisitato magistralmente in modo che lo scivolo verso One Point Perspective non sia troppo brusco, ma non c’è niente da fare: basta un accenno agli Arctic che furono per scatenare una psicosi collettiva, massa appena ondeggiante quando, al contrario, si tratta di farsi accompagnare nel salone da ballo languido del Tranquility Base Hotel & Casino. Il compromesso è ormai evidente, quattro/cinque hit per il volgo e un brano per l’ancheggiare di Alex, che quando può cerca l’ammicco con non si sa bene chi, di sicuro non con il pubblico. Qualche “ciao”, “grazie mille” buttato lì e, per carità, non macchiatemi la camicia.
Il concerto procede regolare, con la suddetta scansione di un brano nuovo su cinque, ma il risultato ricorda più un accenno di greatest hits che il tour per presentare il sesto album in studio. Tutto viene eseguito perfettamente, fin troppo, tanto che sembra di assistere allo show di un cantante che ha ormai salutato la grinta di un tempo e, stanco del carrozzone showbiz, si limita a qualche concerto luccicante a Las Vegas. Se l’obbiettivo sottaciuto è fare il verso a Nick Cave con i Bad Seeds, bisognerebbe quanto meno notare che mentre il primo trascina letteralmente il pubblico sul palco – come avvenuto di recente al Primavera Sound – Alex & The Monkeys, con trent’anni in meno sulle spalle, cercano disperatamente un vissuto che non hanno, per quanto il suono vintage esibito dal vivo sia impeccabile. Il manierismo, per quanto strabiliante, rimane pur sempre manierismo.
Il risultato finale è uno spettacolo prevedibilmente piatto, che manca di mordente. Certamente ci troviamo davanti a canzoni grandiose, alcune epocali, ma quando la ricerca estetica – talvolta forzatamente agguantata – domina incontrastata, allora si ha la sensazione di trovarsi davvero difronte a un artista senza dubbio tra i migliori della nostra epoca, ma che di band, tour e rock & roll sembra averne abbastanza. “This is a song from MY new album”, diceva Alex dal palco del Primavera appena qualche giorno fa, e chissà che il voglino solista non sia dietro l’angolo, d’altronde capita anche ai migliori e questo il frontman degli Arctic Monkeys lo sa bene.
PS: Curioso notare come, nell’intera scaletta, ci sia un solo brano tratto da Suck It and See. All’epoca l’album fu accolto non proprio alla grande dai fan che ancora speravano in un ritorno ai tuoni in stile When the sun goes down: troppo lontano il pop vintage sfoggiato dai Monkeys dal suono ‘tradizionale’ poi ripreso per AM. Per certi versi, infatti, Suck It and See almeno inizialmente riscosse le stesse critiche riservate all’ultimo Tranquility Base Hotel & Casino, ottimo album ma che, almeno per ora, non ha attecchito come si sperava. Il timore, quindi, è che in futuro Tranquility Base Hotel & Casino seguirà lo stesso destino di Suck It and See, prima orgogliosamente sbandierato dai Monkeys, messo da parte appena qualche anno dopo.