Bob Geldof ha organizzato alcuni fra i concerti all-star più incredibili della storia del rock come il Live Aid del 1985 e il Live 8 del 2005. Ma persino l’uomo che ha convinto Pink Floyd, Led Zeppelin e Who a riunirsi è sembrato colpito da quel che ha visto nel finale dello show per il trentesimo anniversario del Rainforest Fund organizzato da Sting e Trudie Styler al Beacon Theater di New York lunedì 9 dicembre. Gli Eurthymics avevano appena finito una delle loro rarissime reunion quando Bruce Springsteen è salito sul palco e ha invitato John Mellencamp a raggiungerlo per cantare Glory Days.
Mentre i due, vere icone degli anni ’80, si alternavano al microfono, cantando a volte abbracciati, Geldof era seduto sul bordo del palco con il suo iPhone puntato sui due e un’espressione di pura gioia il viso. Il presentatore della serata Robert Downey Jr. aveva invitato più volte il pubblico a mettere via gli smartphone e godersi lo spettacolo, ma Geldof era una delle 2000 persone che hanno ignorato il consiglio pur essendo seduto a un metro e mezzo di distanza da Iron Man in persona.
Il duetto fra Springsteen e Mellencamp è uno dei tanti momenti indimenticabili del Rainforest Fund a cui hanno partecipato anche James Taylor, Debbie Harry, Shaggy, DMC, Ricky Martin, MJ Rodriguez, H.E.R., Joe Sumner, Adrienne Warren e Zucchero insieme alla band formidabile che comprendeva il direttore musicale Narada Michael Walden, il bassista Will Lee, la chitarrista Felicia Collins e l’ex corista dei Rolling Stones Lisa Fischer.
Ecco i 13 momenti migliori della serata.
Robert Downey Jr. evoca Robert Palmer
Il tema della serata era apparentemente la musica anni ’80 e ’90, e Robert Downey Jr. (che ha pubblicato un album sottovalutato nel 2004) ha aperto le danze cantando il classico di Robert Palmer del 1986 Addicted to Love. Accanto a lui c’erano coriste che ricreavano perfettamente l’aspetto e le mosse delle modelle del video originale, dalla tinta rosso vivo del rossetto all’ondeggiamento robotico dei corpi. Downey non era nell’elenco dei performer, ma a quanto pare non è stato in grado di resistere alla tentazione di divertirsi sul palco.
Pronto, parlano gli anni ’80?
Nel monologo di apertura, Downey Jr. ha fatto finta di affrontare la crisi della foresta pluviale nel modo più noioso possibile ricevendo una chiamata su un enorme telefono, chiamata che, ha detto, arrivava dagli anni ’80. “Vi godete la Reaganomics, eh?”, ha detto. “Sì, so che verrò licenziato da SNL. Ma non preoccupatevi, va tutto bene. E visto che fai l’intelligentone, chi è il presidente adesso? Clint Eastwood? Prova ancora… Ok, forse è il caso che ti occupi dei tuoi problemi mentre noi ci occupiamo delle conseguenze del tuo modo di fare. Ok, fratellino? Devo andare”.
James Taylor ci riporta ai ’70
James Taylor non ha centrato grandi successi negli anni ’80 e perciò nessuno si è sorpreso quando ha suonato i suoi pezzi anni ’70, Your Smiling Faces, Up on the Roof, Secret o’ Life. “Ora farò per voi la canzone newyorchese per eccellenza”, ha detto prima di Up on the Roof . “È una canzone scritta da Carole King e Gerry Goffin per i Drifters. Non è tecnicamente degli anni ’80 o ’90. In realtà è dei primi anni ’60, ma io l’ho registrata negli ’80”. Il risultato era magnifico, specialmente abbinato alle immagini dello skyline di New York che scorrevano sugli schermi, e perciò gli si perdona l’errore nel datare la canzone (la sua versione è uscita nel 1979 su Flag).
Bob Geldof invoca la pace
Bob Geldof è salito sul palco con l’aspetto di una controfigura anziana di Jon Bon Jovi, ma ha attaccato una potente interpretazione del classico dei Boomtown Rats del 1979 I Don’t Like Mondays prima di dire a tutti che “mi sono rotto le palle di suonare sto pezzo” (non traspariva dall’interpretazione, anzi). “Benvenuti a Boomerstock”, ha detto poi. “Siamo vecchi ragazzi e ragazze con chitarre e tastiere che pensano ancora che sia possibile cambiare le cose”. Ha chiuso il set con una cover appassionata dell’inno di Nick Lowe del 1974 (What’s So Funny ‘Bout) Peace, Love, and Understanding e un appello a mandare a casa Donald Trump l’anno prossimo. È stata la dichiarazione politica più diretta della serata e anche una delle migliori performance.
Shaggy porta tutti su ‘Electric Avenue’
Shaggy avrebbe potuto tirare fuori il suo classico Boombastic del 1995 per conquistare il pubblico e invece ha optato per l’hit di Eddy Grant del 1982 Electric Avenue. Ha fatto alzare tutti, compresi David Geffen in prima fila e Julie Chen Moonves una fila dietro di lui, che sembrava conoscere ogni singola parola della canzone. “Provenendo dai Caraibi, Eddy Grant era un artista a cui guardavo”, ha spiegato, “è stato uno dei primi a farcela. E questo è stato un successo pazzesco negli anni ’80”.
Con addosso un mantello rosso con la frase “Stop Fucking the Planet” scritta sul retro, Debbie Harry ha aperto il set con la hit dei Blondie del 1980 Call Me, seguita dalla pionieristica canzone hip hop Rapture. Ha rappato lei stessa la frase “Fab Five Freddy told me everybody’s fly”, poi DMC l’ha raggiunta sul palco per un freestyle sul tema della foresta pluviale. I due hanno giocato un ruolo fondamentale nell’introdurre l’hip hop negli anni ’80 e perciò vederli anche solo brevemente assieme è stato grandioso.
DMC fa ‘Walk This Way’ con James Taylor
Pur non avendo gli Aerosmith o Reverend Run al suo fianco, DMC ha comunque tirato fuori una versione stellare di Walk This Way che ha fatto agitare le mani in aria a tutto il Beacon. Sul lato del palco, James Taylor era così preso che DMC gli ha messo il microfono vicino alla bocca per un incredibile momento in cui le loro voci hanno detto assieme “walk this way”. Forse è il primo atto di un nuovo supergruppo rap: JT DMC.
Sting canta ‘We’ll Be Together’ con Lisa Fischer
Lisa Fischer, che non si esibisce più con i Rolling Stones dal 2015 per ragioni non del tutto chiare, è una delle più grandi coriste viventi. Lo ha dimostrato duettando con Sting nella hit del 1987 We’ll Be Together, e l’ha quasi messo in ombra. Annie Lennox ha cantato il remake della canzone del 2004 e nel loro tour di quell’anno interpretava il pezzo ogni sera con Sting, ma l’inglese l’ha saggiamente tenuta nel backstage in modo che potesse prepararsi per il grande momento che sarebbe arrivato più tardi nel corso dello show.
Per Ricky Martin è sempre il 1999
Magari Ricky Martin è stufo di The Cup of Life e Livin’ La Vida Loca tanto quanto Bob Geldof lo è di I Don’t Like Mondays, ma ha cantato quei pezzi con gioia ed energia. Ha poi trascorso il resto dello spettacolo sul lato del palco cantando i pezzi degli altri, anche non era nemmeno lontanamente vicino a un microfono. Vent’anni dopo, Martin sembra ancora godersi la fama.
Springsteen duetta con Mellencamp
John Mellencamp ha avuto la sfortuna di sfondare nel mainstream giusto qualche anno prima di Springsteen, e così molti giornalisti musicali pigri non facevano altro che paragonarli l’uno all’altro, dando l’impressione che fossero rivali. Chiunque sia convinto che fosse davvero così è stato smentito quando Mellencamp ha chiesto a Springsteen di duettare su Pink Houses. C’è ancora chi pensa che sia stato il Boss a scrivere quel pezzo, quindi guardarli mentre lo cantano a pochi centimetri di distanza, alternandosi nell’interpretazione dei versi, è stato incredibile.
Con l’eccezione della performance di Fool on the Hill al concerto tributo per i Beatles del 2014, gli Eurythmics sono fermi dal 2005. Ma in un modo o nell’altro, Annie Lennox e Dave Stewart hanno rubato la scena a tutti, anche Bruce Springsteen, con un set di tre canzoni: Would I Lie to You?, Here Comes the Rain Again e, ovviamente, Sweet Dreams (Are Made of This). La voce di Lennox era priva di ogni tipo di fatica, e Stewart ha azzeccato ogni parte di chitarra nella tenera e straordinaria Here Comes the Rain Again. Nonostante abbia ricevuto due nomination, la band non è ancora entrata nella Rock and Roll Hall of Fame e questa performance ha ricordato a tutti che questo torto va riparato al più presto. Gli Eurythmics, invece, dovrebbero prendere seriamente in considerazione l’idea di tornare in tour.
Springsteen suona le hit
Al Rainforest Fund del 2010, sempre dedicato agli anni ’80, Springsteen suonò una versione soul di un classico di Bryan Adams, Cuts Like a Knife. Questa volta, invece, il Boss ha duettato con Mellencamp in Glory Days, poi ha guidato la band attraverso un’epica Dancing in the Dark. Tutti saremmo stati felici di sentirgli suonare qualcosa dei Duran Duran o dei Toto, ma queste due canzoni andavano benissimo lo stesso.
Bruce alle prese coi Journey, controvoglia
Come nel 2010, tutti i musicisti coinvolti nello show hanno chiuso la serata con una cover collettiva di Don’t Stop Believin’ dei Journey. Il palco era pieno di cantanti, ma Springsteen non sembrava tanto eccitato dalla cosa. Non sembrava nemmeno conoscere le parole del brano, a parte il ritornello. Forse, come tutti noi del pubblico, avrà sentito quel pezzo troppe volte per apprezzarlo ancora. Forse era stanco, oppure non aveva più voglia di rivivere gli anni ’80. Qualunque sia la verità, gli altri musicisti hanno compensato la sua mancanza di entusiasmo, chiudendo alla perfezione una serata di surreale nostalgia anni ’80. Cosa faranno la prossima volta?