C’è un festival in Arabia che vuole cambiare le regole del gioco | Rolling Stone Italia
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C’è un festival in Arabia che vuole cambiare le regole del gioco

Siamo stati al Balad Beast a Gedda, in Arabia Saudita, un festival di due giorni tra hip hop, techno, EDM, indie in un sito UNESCO. Non c’era alcool, ma abbiamo trovato tanto altro

C’è un festival in Arabia che vuole cambiare le regole del gioco

Balad Beast

Foto: press

Il Balad Beast di Gedda in Arabia Saudita è il festival più profumato al mondo. Questa è la mia hot take, come direbbero gli americani, la mia opinione forte. E se, chiudendo gli occhi, pensate all’odore di un generico festival musicale in Italia e in Europa capirete ben presto quanto possa essere la differenza tra un festival da noi e il Medio Oriente.

Sarà l’odore delle spezie che si alza per le strade di Al-Balad, la città antica di Gedda patrimonio UNESCO dal 2014, dove si dislocano i palchi che per due giornate daranno anima al quartiere, sarà la cultura araba per cui le persone qui tendono a prediligere un’eleganza anche olfattiva nella scelta dei propri outfit e fragranze, ma anche solo un respiro al Beast può portarti già in un’altra dimensione. Aiuta anche la location, unica nel suo genere, in cui il pubblico si ritrova a camminare all’interno dei vicoli di Al-Balad, illuminata da proiezioni e videomapping che colorano gli antichi palazzi. Scordatevi infatti i maxischermi a lato palco, qui gli schermi sono storici palazzi di 8 piani con qualche centinaio di storia in cui alle immagini riprese dal palco si mischiano giochi grafici elaborati principalmente da video artist locali.

Il Balad Beast è una due giorni di concerti (preferibilmente hip hop) e dj set (tendenzialmente EDM) all’interno della città antica di Al-Balad a Gedda, in Arabia Saudita. 6 ore dall’Italia con tanto di passaggio aereo su località sacre scandite da un continuo pregare dei passeggeri in volo che utilizzano la tratta per andare in pellegrinaggio a La Mecca. Per noi europei qualcosa che ci riporta magari a pratiche lontanissine, ma che in Medio Oriente è pratica quotidiana. La religione, infatti, è parte anche del Balad Beast; lo si nota ad esempio quando alle 19.40 la musica si ferma per dieci minuti per rispettare il momento della preghiera; o quando si prova a ordinare da bere e ci si prende un due di picche perché ci si è dimenticati di essere in uno stato dove l’alcool non è consentito.

Il main stage di giorno. Foto: press

Foto: press

L’alcool, e qui lo sappiamo forse fin troppo bene, è uno dei motori dei festival. Non solo un motore economico, capace di genere grandi guadagni (anche grazie a prezzi spesso folli e sfalsati), ma anche un lubrificante sociale capace di sciogliere presto il pubblico pagante per la gioia degli artisti in line up. La differenza, sarà per abitudine, novità, o meraviglia, è che il pubblico principalmente arabo del Balad Beast non sembra risentire minimamente di questa mancanza. Infoiati come raramente ho visto accadere per l’hip hop (il piccolo terremoto generato a Roma durante il concerto di Travis Scott di qualche estate fa pare una sciocchezza in confronto), i giovani del posto rispondono all’unisono alle rime degli headliner Wiz Khalifa e 21 Savage, trasformando il set di Metro Boomin’ in un karaoke rap in cui non c’è nemmeno bisogno di trasmettere i testi sugli schermi per ricevere la risposta adeguata. E mentre il main stage macinata hip hop, con escursioni in altri territori altri affidati alla classe di artisti come Ghostly Kisses e Michael Kiwanuka, negli altri 4 palchi ha dominare è il mondo del djing, spesso in chiave EDM, con alcune piacevoli sorprese techno, house e garage. E si balla, ci si lascia andare e ci si scioglie comunque.

Ma la musica è solo una piccola parte dell’esperienza. Essendo il Balad Beast inserito in un contesto reale, la comunità locale è concreta e presente. Ci sono dei negozi (botteghe vere, non truck food) aperti pronti a dispensare cibo locale e bibite colorate iper-zuccherate, ma anche gallerie d’arte e case da cui gli abitanti del luogo semplicemente assistono o invitano i passanti a visitare. E soprattutto tantissimi gatti; Al-Balad è infatti celebre per la sua comunità felina qui accudita probabilmente al pari delle superstar del mainstage. L’educazione e il rispetto qua non sono infatti quelli affannati e fisici dei festival per come li conosciamo, ma si mostrano in inviti, omaggi e rispetto delle distanze, soprattutto tra uomini e donne. Seppur la presenza maschile sia dominante, si è piacevolmente colpiti nel vedere anche tante giovani ragazze perdere la testa per i loro idoli musicali, mischiando outfit più severi tipici del Golfo a quelli più contemporanei e occidentali. Non è raro vedere ragazze in sportwear e hijab, o uomini in tunica, sneakers firmate e ghutra. Perché, sappiatelo, andare in un festival in Arabia Saudita significa anche trovarsi in un luogo dove tutti vogliono indossare gli abiti più fighi del loro guardaroba; niente scarpe vecchie o pantaloncini rammendati per la sopravvivenza in campeggio, ma abiti alla moda e giacconi trendy anche a 25/30 gradi. Preparatevi bene nel caso.

Foto: press

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Ancor più che rispetto ai festival europei è inoltre l’attenzione risposta alle vip area, qui davvero valorizzata dalla produzione (dovrebbero fare un case study su come questo festival è costruito in questo contesto). Non semplicemente rampe rialzate per godersi i concerti da una migliore posizione, ma rooftop con skyline mozzafiato su Gedda e personale che ti accudisce come nei migliori hotel di zona. A distrarsi è un attimo, come usciti da una spa e con il rischio di perdersi qualche ora di concerto tra caffè arabi e dolciumi vari. Inoltre, per il festival in sé, questo diventa un metodo (molto apprezzato dal pubblico presente) piuttosto remunerativo per recuperare gli introiti limitati dalla questione beverage.

Il punto è che l’esperienza Balad Beast parte da presupposti culturali differenti da quelli a cui siamo abituati. Con una line up puntellata attorno a pochi nomi noti e molti artisti locali, non viene ad esempio a generarsi quell’effetto da ansia collettiva che possiamo ritrovare in un evento come il Primavera. Inoltre le dimensioni ridotte (parliamo di 30 mila presenze), la produzione al dettaglio e le incredibili location del centro storico permettono un’esperienza con un altro ritmo, in cui la socialità predomina sulla fruizione tout court dei concerti. Il risultato è che si guarda al palco senza paraocchi, senza fanatismi, lasciando che lo sguardo possa aggirarsi libero e scoprire, interessato, il luogo in cui ci troviamo nella trasformazione pensata da MDLBEAST, l’organizzazione che lo produce (e che produce anche gli altri due grandi eventi sauditi come Soundstorm e XP Music Futures).

In un mondo che ci costringe a fruire della musica in modo ossessivo, motivati più dall’hype social che dalla voglia di stare insieme, assistere a una realtà con un altro ritmo e un’altra convivialità è una possibilità rinfrescante. Che possa essere un’occasione per ripensare anche il nostro modo di partecipare ai grandi eventi?