Un tipo sui cinquanta che alza al cielo pollice e indice della mano destra mimando il grammo di gioia di quel sorriso lì, e un altro che si lancia in air guitar sul riff di Come stavamo ieri. Il primo accenno di pogo mentre il sole scaglia la sua gloria, e l’effetto fontana delle birre lanciate in aria su so-so-Sonicaaa. La bellezza di una coppia che ondeggia tenendosi per mano, cullata dal violino di Davide Arneodo.
Sono immagini randomiche del concerto dei Marlene Kuntz giovedì sera a Milano, in un Alcatraz tutto esaurito per la seconda data del tour celebrativo di Catartica, il loro album d’esordio che compie 30 anni tondi tondi in questo 2024. Durante le due ore piene di live, suonano compatti quasi tutte le canzoni del disco festeggiato, un bel po’ di pezzi de Il vile e Ho ucciso paranoia, concedendosi giusto un paio di sconfinamenti nel XXI secolo.
«Io li ho scoperti grazie a mio cugino più grande, proprio ai tempi di Catartica», racconta un ragazzone tra il pubblico. Un’altra fan ricorda quando «li ho visti al Babylonia di Biella, erano i tempi di Marlene, Afterhours e Subsonica», e un altro invece tira fuori «quella volta assurda a Cernobbio, prima dei Cure». C’è chi non li vede dagli anni ’90 e chi invece se li è goduti sotto palco anche l’anno scorso, a Ponte di Legno o al Montagna Molise Festival.
Prima del concerto, in un’atmosfera da pizzata con gli ex compagni di classe delle scuole superiori, trent’anni dopo, partono i dibattiti su canzoni preferite e toto-scaletta: «Ma come, è il tour di Catartica e non fanno Merry Xmas?!». «Io se penso ai Marlene la prima canzone che mi viene in mente è Serrande alzate», «per me Che cosa vedi è pure meglio di Catartica», «io vorrei ascoltare tre animali così volgari e neppure pari-i».
Dopo i live d’apertura di Speakeasy e Umberto Maria Giardini, su sfondo rosso compaiono le ombre di Cristiano Godano, Riccardo Tesio, Luca Lagash, Davide Arneodo e Sergio Carnevale. È un’immagine essenziale, elegante – un po’ Velvet Underground, un po’ Jesus and Mary Chain – e attaccano con la musica: Trasudamerica, Canzone di domani e Gioia (che mi do), gioia infinita per tutti i presenti.
L’acustica dell’Alcatraz, soprattutto a inizio show, lascia molto a desiderare: appoggiati alla parete del bar in fondo al locale, il suono è ovattato e carico di bassi, mentre cambia radicalmente, in meglio, spostandosi a destra del palco, sulla pedana riservata alla stampa, dove comunque i professionisti in lista si lasciano andare a canti sognanti su Lieve e accenni di headbanging con Festa mesta.
A un certo punto della serata, Godano spiega che la maggior parte della scaletta, pezzi di Catartica a parte, è incentrata ovviamente sul periodo pre-Duemila dei Marlene, quello delimitato dal recinto chitarra-basso-batteria. Ma è Ti voglio dire la canzone che dedica alla persona senza la quale questa band non sarebbe mai esistita, e dunque tutto il tour celebrativo è per lui: Luca Bergia, salutato anche da un cartello alzato tra la folla.
È un tour amarcord, anche per questo motivo nove date su undici hanno registrato sold out quasi immediato e la stessa cosa accadrà probabilmente con i concerti estivi che saranno annunciati a breve, ma i Marlene Kuntz sono allergici alla nostalgia, sanno come tenere a debita distanza gli anni andati ormai: canzoni di 30 anni fa, riarrangiate, suonano potenti, coinvolgenti, contemporanee, e l’onda di parole è vomitata con catartica consapevolezza.
Finito il concerto, fuori dall’Alcatraz, una donna mostra agli amici due foto dal cellulare, è lei con Godano: la prima scattata negli anni ’90 a Bologna, lui scamiciato e bottiglia Beck’s in mano, la seconda ben più recente, fatta durante il tour di Karma Clima, maglione a collo alto e sobrio sorriso compiaciuto. «È da quando ho 15 anni che sono innamorata di Cristiano», la sentenza finale incassata con un’alzata di spalle dal marito che le sta accanto.