Clara Luciani, la popstar a cui non importa di esserlo | Rolling Stone Italia
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Clara Luciani, la popstar a cui non importa di esserlo

Siamo stati al concerto della cantautrice a Bordeaux e abbiamo visto il live di un'artista che tra dischi, cinema e attivisimo non è mai stata così sincera, con sé stessa e con gli altri. Tra Beatles e Françoise Hardy

Clara Luciani, la popstar a cui non importa di esserlo

Foto: Ilaria Potenza

Il merch di Clara Luciani è un feticcio all’ingresso dell’Arkea Arena, una struttura tutta plexiglass e neon per concerti che guarda Bordeaux da una delle sponde del fiume Garonna. Ci sono le spillette, le t-shirt, i vinili. Da una settimana è iniziato il suo nuovo tour dopo l’uscita del terzo album Mon sang, che arriva dopo un quadruplo disco di platino con Sainte-Victoire (2018) e Coeur (2021). È sempre difficile credere a quella storia dei concerti che mettono insieme le generazioni, ma tant’è. Ci divertiamo allora a guardare l’anatomia del pubblico di Clara Luciani, cantautrice francese che ha debuttato anche al cinema lo scorso dicembre in Joli Joli: c’è una mamma che fotografa il figlio con un poster della cantante, ci sono due ragazze che hanno scritto su un cartone, uno di quelli da imballaggio, un messaggio di benvenuto (e di fangirling, ça va sans dire), e poi due innamorati che si tengono in equilibrio poggiando le teste una vicina a l’altra. L’arena è enorme, ed è sold out.

Ma la tenda che copre la scena è quella tipica dei teatri. Il palcoscenico è vestito con una tripla fila di luci in stile toeletta su cui penzola una cornice ovale circondata da perle che è una specie di occhio da cui guardare nei testi di Clara. Seguono Courage, Nue, Amour toujours, Tout le monde (sauf toi): brani che la fanno sentire a casa e che, nonostante una forte popolarità in Francia, le permettono di rimanere un’outsider, e non del tutto scontenta di esserlo. Il suo stile non è solo nella rosa all’occhiello, gli stivali neri, i pantaloni di pelle, il frac che ha presto abbandonato per lasciare spazio a una t-shirt bianca e a un gilet dai motivi brillanti.

Ma è nell’idea di pensare che su quel palco tutto sia così Beatles. Paul McCartney, che Clara ha recentemente applaudito a Parigi, è infatti una delle influenze capace di diventare persino ingombrante nell’ultimo album. La sua trama si muove in verticale, è introspettiva e sembra quasi prendere le distanze dalle atmosfere disco di Cœur. Ci si affeziona così a un suono più intimo, che ha immaginato e poi registrato interamente durante la gravidanza. «Non sapevo assolutamente come sarebbe stato percepito dalla gente Mon sang» – dichiara a Rolling Stone Clara Luciani – «Non riesco a mettere una distanza tra me e questo disco. Racconta così tanto di ciò che sono. La famiglia è sempre stata molto importante per me. Ma quando ero incinta, ho sentito il bisogno di tornare indietro nel tempo, di frugare tra le scatole di foto dei miei genitori. Ho notato che i cugini siciliani di mia madre mi somigliano tantissimo. Questa gravidanza ha rappresentato nove mesi di ricerca per scoprire chi fossi veramente, chi c’era prima di me. Ho sempre raccontato storie nelle canzoni ed è così che è nato questo disco». Sul palco riscopre inoltre le sue radici rock in Roule, pezzo brit-pop in cui si accompagna con un tamburello, o nel folk malinconico di Chagrin d’ami, o ancora in Allez, il brano più grunge di Mon sang, dove riprende in mano la chitarra elettrica come non faceva da tempo.

Viene naturale pensare a Chrissie Hynde, a Joan Jett, ed è abbastanza persino per inserirsi nel solco di Françoise Hardy, a cui dedica Comme toi. Lo spazio poi è tutto di La Grenade, più rabbiosa e insolente che mai. E come darle torto? Questo pezzo femminista è tutto bassi e laser stroboscopici, utili a ricordare che la lotta all’autoaffermazione di genere è un’urgenza e ha un ritmo che pulsa e non ammette pause. Clara spiega che è per questo che scrive canzoni: è una questione di coraggio. Quando ci troviamo in situazioni difficili, capita di cantare, fischiare. Ci permettiamo di lasciare il nostro corpo. «All’inizio della mia carriera ero una hostess e le giornate erano lunghe, canticchiavo tra me canzoni e motivetti. Da allora non mi sono più fermata, finché non sono stata convinta di quello che stavo cantando». E la sua convinzione l’ha resa alla fine una vera e propria popstar.

Eppure esserlo in Francia è tutta un’altra storia che diventarlo in America per esempio. Come commenta sui suoi canali social Khal Ali, content creator e cultore della cultura pop, in Francia c’è questa idea che gli ascoltatori siano più sedotti dai testi e dalla potenza della voce che da tutto il resto, come la danza, per esempio. «Qui ci aspettiamo che le popstar si impegnino, si schierino su alcune questioni sociali», ammette Khal Ali. «Essere una popstar significa anche mettere la propria popolarità al servizio di una causa». Se questo altrove quindi accade per scelta, si pensi a Beyoncé e Taylor Swift, nel mondo francofono è quasi un passaggio obbligato: Angèle, con la sua hit femminista Balance ton quoi, ne è l’esempio perfetto, così come Clara Luciani, appunto, con Cœur e Zaho de Sagazan con Dormantes contro la violenza domestica. Entrambe si sono poi recentemente schierate anche contro la destra del Rassemblement national.

Clara Luciani è quindi una popstar, ma non le importa di ricordarlo al suo pubblico. I suoi sono passi di danza, non coreografie. Sul palco non ci sono cambi d’abito d’effetto. Resta lei, col racconto della sua gravidanza, delle amicizie a cui non appertenere più e della capacità di ascoltarsi meglio, perché corpo e mente hanno una salute tutta loro. Clara nel suo nuovo tour si rimpicciolisce e incontra le vite degli altri, che anche stavolta escono dal concerto intonando ancora le sue canzoni.

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