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Di solstizi, crypto e grandi ritorni: cronaca del Festival di Rick Rubin in Toscana

Ricerca del centro e idee: l'edizione zero del secret festival di Casole d'Elsa è stata tante cose diverse ma ne è valsa la pena esserci

Foto: Stefano Mattea

Sotto i resti dell’affresco del Giudizio Universale nella Collegiata di Santa Maria Assunta di Casole d’Elsa alle 16:52 di venerdì 21 parte la più lunga acclamazione a Rama/Visnù che edificio cattolico consacrato abbia mai ospitato. In giornate di ritrovati delitti di scisma, ecco prendere forma quello di Rick Rubin, attraverso il kirtan di Krishna Das, superstar del mantra devozionale induista, già nominato ai Grammy una decina d’anni fa. Nell’ora di performance del maestro del Mantra Yoga americano, si troverà già un po’ tutto quello che rivedremo frazionato in pillole nella due giorni toscana del Festival of the Sun, opera prima – o numero zero – di una rassegna che il mitologico e mistico produttore americano ha messo in piedi nella sua Casole d’Elsa, già eletto a luogo sacro di migrazione musical-spirituale e buen retiro immobiliar-fondiario. Qui Rubin ha acquistato infatti, sotto diretta indicazione dell’amico Lorenzo Jovanotti, un rustico di 5mila metri quadrati nel 2019. Dopo aver risolto il problema hardware dei grigi, ovverosia quale fosse la tonalità di grigio più adatta alla ristrutturazione “organic” del casolare, dilemma di non semplice risoluzione dal momento che ha occupato, parole sue, “circa un anno e mezzo”, ecco materializzarsi la soluzione software che il nativo di Long Beach ha ideato per l’adorato borgo incantato dell’XI secolo nel cuore della provincia senese.

Un Festival che racchiuda il suo mondo, la musica, le danze estatiche, la spiritualità e le criptovalute, con ospiti eccezionali a far visita e rendere omaggio direttamente al Sun, che alla fine sembrerà una crasi tra il solstizio di cronaca astronomica e il Rick stesso. Quelli fermi, come fatti incontrovertibili, e tutto intorno ruota.

Foto: Kimberley Ross

La prima giornata fila via senza intoppi su questo saliscendi ad intensità variabile. La cosmologia dell’episodio uno annovererà, oltre allo scivaismo non tantrico di Krishna Das, una triplice che più diversa non si può: James Blake, i Gossip della formidabile Beth Ditto (qui la nostra cover story) e l’idolo nazionale nonché local superhero Lorenzo Jovanotti, al ritorno sul palco – seppur da seduto su seggiola – dopo il brutto incidente occorsogli in bicicletta l’anno passato. Se la posizione on stage sarà nuova – «Non mi è mai capitato di cantare due canzoni consecutive da seduto in vita mia» – la ferocia emozionale è la stessa di sempre. Sale, si accende, infiamma il pubblico, intona un gigantesco Om con la piazza in visibilio proprio in onore di Krishna Das, saluta Rick, scherza, suona e canta, accompagnato eccezionalmente dalla sempre santa corda di Adriano Viterbini. Il risultato entusiasma Casole e tutti gli invitati del Festival che lo osservano da backstage, e per questa volta è lui a tornare negli occhi ed è una bella sensazione rigenerativa: chi ha assistito sa.

D’altra parte siamo qui a celebrare la stella solare, la sua massima altezza e la relativa forza pacifica e ristoratrice, particolare plasticamente rappresentato dal tarocco simbolo del Festival che Rubin ha voluto apporre stampare e applicare a tutta la comunicazione dell’evento, cartellonistica, pass guest e tote bag comprese. L’operazione funziona, il Sole è riportato al centro del villaggio come arcano e potenza, calore ed energia positiva.

Si diceva gli ospiti del Festival, i 150 prescelti dalla macchina del Rubin tra artisti, musicisti, attori, registi, multidisciplinari rappresentanti highbrow dell’industry. Immediatamente si individua il socio numero uno, per contiguità fisica durante gli eventi e analogia di barba, ma su questo c’è ancora da lavorare. È Jack Dorsey, l’ex demiurgo di Twitter, già miliardario giubilato – ma scopriremo che non è così – a soli 47 solstizi d’estate di tachimetro biologico. Sarà proprio Dorsey, nell’episodio due del sabato, a rappresentare l’highlight filosofico e fondativo di tutto il giro di Rubin. In uno speech dai vaghi tratti “crypto, love e anarco-insurrezionalismo”, Dorsey tratteggerà un mondo utopistico di liberi e giusti, individui coscienti sciolti dal giogo di governi e corporation e diretti soltanto dalla propria illuminata responsabilità nei confronti di persone e cose. Per fare questo il superamento del sistema economico-finanziario vigente non è un obiettivo ma è già uno stato di cose irreversibile, essendo troppe le connessioni tecnologiche che lo sostengono. Nessuno lo smantellerà. Entro 5 anni però non si potrà più distinguere in assoluto il vero dal falso in rete. Starebbe quindi agli individui farsi portatori fin da subito di una dottrina di attenzione e verifica delle proprie infinite identità che a ogni scaricamento di app si moltiplicano fuori dal controllo personale. Lo scenario è piuttosto fosco ma la soluzione è primaria, anzi Primal: The Social Bitcoin Wallet, già scaricabile su tutti gli App Store. Il futuro è quindi dietro l’angolo e il suo esito positivo si fonda su un’immensa fiducia nel genere umano: con la deregolamentazione pressoché totale preconizzata e auspicata da Dorsey se avesse ragione sarebbe bellissimo.

Foto: Kimberley Ross e Stefano Mattea

Il Festival intanto continua, Casole si stipa in ogni ordine di vicolo e piazza ma per i possessori di braccialetto e pass è una pacchia: gli appuntamenti filano via lisci, l’hospitality è super attrezzata, il format è una bomba. Rubin passa avanti e indietro e non si perde uno spettacolo, a tutti dedicando medesime attenzioni e intensità. Rhye incanta Santa Maria Assunta con il suo pop etereo ed elegantissimo e ci si avvia verso il finale con la coppia di fatto e di Fire (Arcade) Win Butler e Régine Chassagne. La seconda apre intonando a cappella il Pie Jesu Domine, mentre il primo sorprenderà la Collegiata con un ingresso dal fondo della navata per una versione “camminata” e senza microfono di My Body Is a Cage. Le temperature, dentro e fuori la Chiesa, intanto salgono vertiginosamente. Ma se all’interno si tratta di un fatto quantificabile in Celsius, fuori è il paziente toscano a sobbollire e fumare, nel senso che la lunga attesa senza che nessuno si presenti sul Main Stage ha letteralmente sfinito l’amabile piazza del borgo. Ma proprio mentre pare avviarsi senza troppe speranze verso la ribollita umana, ecco che il Festival riesce a giocare il tarocco del Sole: sotto le sembianze di Lorenzo Jovanotti viene infatti calata la carta della salvazione. Lorenzo, in realtà per motu proprio, riguadagna il palco e lenisce gli spiriti: dapprima spiegando i motivi dei ritardi e poi imbracciando chitarra e microfono. La festa può continuare: gran finale sarabandiano con gli Arcade Fire open air finalmente per tutti, mezzo backstage invitato a ballare e cantare sul palco, del Sole più traccia, al prossimo solstizio tutti qua.

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