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Doja Cat, la wet v@gina dell’urban ha conquistato Milano

Per la prima volta in Italia, la rapper e cantante americana ha messo in piedi agli I-Days una specie di grande peep show musicale. Diverte, provoca, eccita. In una parola, spacca

Foto: I-Days

C’è chi dice che ieri sera a Milano si è innamorato di Doja Cat e chi mente spudoratamente. Arrivata sul palco degli I-Days poco dopo le 21.30, la rapper e cantante americana ci ha messo davvero poco a conquistare ogni singola persona del pubblico presente all’ippodromo di San Siro per la sua prima volta in Italia. Pubblico non numeroso come altri appuntamenti della rassegna meneghina, c’è da dire, ma sicuramente caldo e reattivo come merita una big internazionale come Doja.

Rimanere freddi e impassabili davanti all’esplosività di Doja Cat, inoltre, pare impresa pressoché impossibile. Doja, infatti, il palco se lo divora. Il suo carisma è manipolatorio, calamita imperterrito l’attenzione del pubblico, in un’ora e mezza tirata in cui Doja non prende mai pause (o fiato) e in cui ogni orpello è stato eliminato.La nostra rappa e canta (qui accompagnata da tre coristi), twerka, si lancia in spaccate stile ballroom, flirtando sempre con il pubblico che risponde a ogni provocazione corporale con boati sonori. Le parole più ripetute sono bitch, pussy, (wet) vagina, ma c’è spazio anche per un po’ di emotion (“Play with my pussy, but don’t play with my emotions”, “Gioca con la mia figa, non con le mie emozioni”, da Rules). Doja il suo lavoro da entertainer lo compie a dovere: diverte, provoca, eccita. In una parola, spacca.

Credit: I-Days

L’approccio di Doja, per citare Myss Keta che nell’apertura ha raggiunto Big Mama sul palco degli I-Days, è tutto in capslock. Dalla scelta dell’outfit – un minimale bikini dorato che non lascia molto all’immaginazione a cui si aggiungono stivale bianco, occhiale da vista e cappello – ai capelli e make up – parrucca nera liscia lunga e occhi immersi in un azzurro spiritato -, al palco che richiama l’estetica fluffy della deluxe versione di Scarlet, Scarlet 2 Claude, dalla scelta di una band (con outfit matchati alla scenografia) che spazia con vigore tra r&b e sferzate rock alla scelta di portare in scaletta tutto – sì, TUTTO – il suo ultimo album, Scarlet che, diciamolo tranquillamente, non è un capolavoro assoluto da meritarsi di essere suonato per intero in un tour. Ma Doja, che a livello di self confidence potrebbe essere la Cristiano Ronaldo della scena urban, ha un’altra idea sul disco in questione. Ce lo spara così tutto in faccia, per un totale di 17 brani. Il risultato? Tutt’altro che monotono; bisogna ammettere che ha avuto ragione lei. Questa è Doja Cat, prendere o lasciare.

Niente fan service, un po’ come una novella Billy Corgan, con una scaletta scelta per raccontarci il presente dell’artista e poco più. Fuori rimangono, ad esempio, due dei brani più conosciuti di Doja come Woman e Kiss Me More (solo su Spotify, sommati, contano più di due miliardi e mezzo di ascolti), sostituiti ad esempio dalla spregiudicata Tia Tamera, la collaborazione con Rico Nasty (il cui verso non viene suonato) contenuta nella deluxe version dell’album d’esordio Amala. Anche il dialogo con il pubblico è praticamente azzerato durante tutta la performance. A parlare sono le rime, sputate al microfono, sempre con quel fare unico da mean girl, intervallate da ritornelli appiccicosi come quello di Paint the Town Red. Il centro di gravità della performance però resta il corpo di Doja.

La capacità dell’artista losangelina di controllare e gestire il corpo in scena è la sua vera arte performativa. Arte che sfocia in magnetismo estremo, un voyerismo condiviso tra artista e pubblico che diventa il filo conduttore per tutto il live, come fossimo tutti seduti in uno strip club vagamente tarantiniano. Immaginiamo che a fine concerto molti dei profili Instagram che hanno pubblicato storie e post della performance di Doja siano stati segnalati per nudità e pornografia. Non siamo a quel livello, Meta è più bigotta della maggioranza di noi, ma se l’estate milanese tardava ad arrivare la prima e vera botta di calore è stata Doja Cat.

Doja infatti porta sul palco sensualità e sessualità, erotismo e provocazione, mentre colpisce il pubblico con rime al fulmicotone e ironia ego-riferita (“Non sei stupido, ma probabilmente non sei intelligente come me” come chiarisce subito nel primo brano in scaletta, Acknowledge Me). Sui megaschermi il suo culo è il vero protagonista della serata, e Doja lo mostra e lo lancia nell’aria senza parsimonia, alzando la temperatura. Mentre tutt’attorno il pubblico cerca di riprodurre le sue movenze erotiche, la band non molla un colpo, creando un sound tridimensionale rispetto a quanto siamo abituati sul disco. Anche il momento trash della serata – l’assolo del chitarrista dedicato al culo twerkante di Doja – funziona alla perfezione nel climax della scaletta. È trash, trashissimo anzi, uno schiaffo all’estetica roc, ma anche questo fa parte del culto di Doja Cat.

Credit: I-Days

Un culto che la stessa artista ha più volte cercato di spegnere passando gli ultimi mesi a litigare e criticare parte del suo pubblico (arrivando a dire ai propri fan più accaniti di «spegnere il computer e andare a farsi un giro»). Questa ostilità ieri sera è stata messa da parte, ma il distacco tra artista e pubblico è rimasto evidente. Doja Cat conferma di essere la bitch per eccellenza della scena, la rockstar dell’urban americano, la ragazza del night club per cui indebitarsi pur di non far terminare mai questo peep show. Ed è giusto che sia questo, e non il prodotto di quello che il pubblico vuole. Se la grandezza di una artista la si misura dai live, Doja Cat ha tutto il necessario per essere una grande. Ci ha stupiti, ci ha sedotti, ci ha scopati.

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