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È cominciato il lungo addio dei Genesis: la recensione del concerto di Birmingham

Ieri sera la band ha dato il via al The Last Domino? Tour mediando pop e prog. Phil Collins ha cantato da seduto, aiutato da due coristi. Ecco com'è andata, i video, la scaletta

Foto: Angie Martoccio per Rolling Stone

C’è trepidazione nell’aria quando le luci della Utilita Arena di Birmingham si spengono e i Genesis salgono sul palco per dare il via al tour della reunion The Last Domino?. Non suonano assieme da 14 lunghi anni. Nel frattempo Phil Collins ha avuto seri problemi di salute che l’hanno indebolito e gli impediscono di suonare la batteria o anche solo di stare in piedi per troppo tempo.

E così sta seduto su una sedia piazzata sul fonte del palco mentre la band, che comprende il figlio ventenne Nicholas alla batteria, apre lo show con lo strumentale del 1980 Duke’s End. Arrivati al primo verso di Turn It On Again, ogni dubbio sulla capacità di Collins di guidare la band viene sciolto. Non avrà più l’estensione vocale del 1987 o anche solo del 2007, ma le sue interpretazioni sono potenti e convincenti (cosa peraltro non facile cantando da seduto), il carisma è intatto.

Il resto della serata va avanti così, con un set in cui i desideri dei fan del periodo pop vengono mediati con quelli della minoranza – molto più rumorosa, però – di chi preferisce i pezzi più complessi e prog. Mica facile, giacché Invisible Touch e The Lamb Lies Down on Broadway sembrano figlie di due band diverse, eppure i Genesis riescono a farle convivere. Il risultato è una delle reunion migliori degli ultimi anni.

Non funzionerebbe se Nicholas Collins non fosse così bravo a replicare con precisione le parti di Phil. Ha la stessa età che aveva il padre quand’è entrato nella band e la combinazione di DNA e duro studio ha dato i frutti sperati. E così capita più volte che Phil s’avvicini alla batteria per vedere il figlio suonare da vicino. L’orgoglio paterno è percepibile da chilometri di distanza.

Nicholas Collins rappresenta la spinta dorsale di questa nuova incarnazione dei Genesis che comprende i membri storici Mike Rutherford e Tony Banks, e il chitarrista che affianca il gruppo in concerto da tempo Daryl Stuermer. Per la prima volta nella storia della band ci sono due coristi, Daniel Pearce e Patrick Smyth. Appaiono solo in alcune canzoni, sono una presenza discreta. Il loro compito è aiutare Collins con le note alte.

«Ne è passato di tempo», dice Collins a inizio serata. Il tour è statpo infatto rimandato due volte, doveva cominciare nel novembre 2020 e poi nell’aprile 2021. «Sono stati due anni difficili per chiunque sia qui e a casa. Ma ce l’abbiamo fatta e stasera ci divertiremo».

E ci si diverte davvero con hit arcinote come Land of Confusion, Invisible Touch, No Son of Mine, Throwing It All Away, Tonight, Tonight, Tonight, ma anche con cavalli di battaglia live tipo Home by the Sea e Domino. In più, qualche pezzo inatteso come Duchess dall’album Duke, che la band non suonava dal 1981, e un mini-set acustico – un’altra cosa mai vista prima a un concerto dei Genesis – comprendente That’s All, Follow You Follow Me e una The Lamb Lies Down on Broadway decisamente rimaneggiata e de-progghizzata. Una The Lamb buona per la filodiffusione di Starbucks, l’unico momento no della serata.

Come da tradizione, molti pezzi del periodo con Peter Gabriel vengono relegati all’interno di medley strumentali in frammenti che solo i veri fan riconoscono: The Cinema Show, Firth of Fifth. I Know What I Like (In Your Wardrobe) invece la fanno per intera, compreso il celebre balletto col tamburello, che Collins fa da seduto, però.

Fin dai tempi di Peter Gabriel, i Genesis sono sempre stati all’avanguardia dal punto di vista scenico. Anche questa volta non tradiscono le aspettative con un impianto luci semovente a forma di domino gigante e uno schermo con animazioni prodotte ad hoc per molte canzoni, tra cui un’orda di manifestanti incazzati durante Land of Confusion.

I bis si aprono con l’inevitabile I Can’t Dance seguita in modo decisamente stridente dal primo verso di Dancing With the Moonlit Knight del 1973 – è la prima volta che Collins la canta da fine anni ’70 – e da una versione corale di The Carpet Crawlers.

Strano a dirsi, ma non è il picco della serata, che arriva a metà concerto con Fading Lights. È la prima volta che la fanno dal 1992. È un pezzo poco noto che chiudeva We Can’t Dance ed era in pratica il modo con cui Collins diceva addio ai compagni dei Genesis e ai fan del gruppo: “Un’altra volta avrebbe potuto essere diverso / Se solo potessimo ricominciare daccapo / Ma ora non è che un ricordo sbiadito / Fuori fuoco, anche se i contorni restano vivi”.

Quando ha scritto queste parole, Collins aveva 40 anni. Ricantandole a 70, nello stato di salute attuale e accompagnato nel primo verso dai soli Banks e Rutherford, le carica d’un significato differente.

Ha detto Collins che non ha alcuna intenzione di continuare a suonare coi Genesis dopo la fine del tour. Significa che, a meno di un miracolo tipo il ritorno di Peter Gabriel, la band non avrà futuro dopo questa tournée. È un finale magnifico, ed è appena cominciato.

Foto: Angie Martoccio per Rolling Stone US


Set List

“Duke’s End”
“Turn It On Again”
“Mama”
“Land of Confusion”
“Home by the Sea”
“Second Home by the Sea”
“Fading Lights”
“The Cinema Show” (frammento strumentale)
“Afterflow”
“That’s All”
“The Lamb Lies Down on Broadway”
“Follow You Follow Me”
“Duchess”
“No Son of Mine”
“Fifth of Fifth” (frammento strumentale)
“I Know What I Like (In Your Wardrobe)”
“Domino”
“Throwing It All Away”
“Tonight, Tonight, Tonight”
“Invisible Touch”
“I Can’t Dance”
“Dancing With the Moonlit Knight” (primo verso)
“The Carper Crawlers”

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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