È il tempo dei rendiconti per Giovanni Lindo Ferretti | Rolling Stone Italia
La linea alla fine c’è

È il tempo dei rendiconti per Giovanni Lindo Ferretti

È andata in scena ieri sera al Teatro Olimpico di Vicenza la prima assoluta di ‘Moltitudine in cadenza, percuotendo’, lo spettacolo con Simone Beneventi che è il riassunto poetico di una vita, ma anche una riflessione sulla «incerta ora» che ci tocca vivere

È il tempo dei rendiconti per Giovanni Lindo Ferretti

Giovanni Lindo Ferretti al Teatro Olimpico di Vicenza

Foto: Roberto De Biasio

S’alza in piedi, accarezza con dolcezza il teschio del suo amato cavallo Tancredi, lo bacia come si bacia il capo d’un bambino, lo solleva al finto cielo di uno dei teatri più belli d’Italia: «Essere non essere, comparire scomparire, anime animali». Per Giovanni Lindo Ferretti è tempo di rendiconti, tra il fonte battesimale e la pietra tombale. Lo dice lui in Moltitudine in cadenza, percuotendo, lo spettacolo di cui è andata in scena la prima ieri sera all’Olimpico di Vicenza. Ultimo appuntamento del 77esimo ciclo di spettacoli classici con la direzione artistica di Ermanna Montanari e Marco Martinelli che è stato aperto da Meredith Monk, è il riassunto poetico di una vita singolare che si è svolta in modo imprevedibile, ma anche il rimuginio «sull’umano vivere» e una riflessione sulla «incerta ora» che ci tocca vivere, dove i morti non sono così morti come sembra e i vivi non sono così vivi come vorrebbero.

Nessuno sapeva cosa aspettarsi dalla rappresentazione che vede Ferretti a recitare e cantare accompagnato da Simone Beneventi. L’impressione è che non lo sapessero manco loro quando lo spettacolo è stato annunciato mesi fa. Del resto a una rappresentazione del genere vai per vedere Ferretti, qualunque cosa faccia, a scatola chiusa. Sai che ti racconterà qualcosa d’interessante, che lo farà con lo suo registro e i suoi modi, che prenderà il suo repertorio e lo mescolerà con nuove letture e litanie. «Non potete far altro che fidarvi», scriveva tempo fa a proposito di questa prima. La gente s’è fidata e ha fatto bene.

Eccolo allora sul palco dell’Olimpico, teatro di bellezza indicibile come scriveva Goethe. Da una parte lui, il non-musicista italiano per eccellenza, uno che le canzoni le salmodia e che si porta dietro qualunque cosa faccia la sua storia e il suo mistero. Dall’altra parte c’è un musicista vero, Beneventi, uno che passa dalle grandi orchestre ai palchi della reunion dei CCCP fino alle aule del conservatorio di Reggio Emilia, dove insegna. È un fantasista che usa percussioni a suono determinato e indeterminato, metalli, legni, strumenti costruiti artigianalmente. Alle loro spalle le aperture nel proscenio che rappresentano le sette vie di Tebe con le visioni prospettiche realizzate per l’Edipo Re di Sofocle. Di fronte, la cavea lignea col pubblico. Il colpo d’occhio è fenomenale.

Moltitudine in cadenza, percuotendo nasce dall’esperienza della reunion dei CCCP, che è raccontata da Ferretti coi modi e il registro di quando narrava cronache montane e metteva in scena opere equestri. Lo si va a vedere anche per questo: è una voce singolare, ti dà l’impressione che osservi le cose da un diverso punto di vista, da fuori, un montanaro punk-con-la-u un po’ saggio e un po’ contrarian che ogni tanto appare e ti dice che la vita che facciamo è una follia, un conservatore dal pensiero non univoco, per quanti sforzi facciano alcuni per definirlo bigotto, meloniano, politicamente ondivago, dopo la reunion persino avido. «Sempre e solo soldi, ma non avete altro per la testa?», risponde lui nello spettacolo. È chiaro che non rappresenta nessuno, nonostante la moltitudine raccolta nelle piazze coi CCCP. Rappresenta solo sé stesso, un disertore dell’ideologia del moderno. È un dissenziente, qualche volta anche da sé stesso.

Foto: Roberto De Biasio

Foto: Roberto De Biasio

Il racconto è denso, magnificamente “ferrettiano”, inframmezzato dalle esecuzioni di canzoni come A tratti, Nel mondo, Contatto, Cronaca montana, Cavalli e cavalle, Cadevo, Pons tremolans, non le più note, ma le più adatte a raccontare questa storia e soprattutto ad essere eseguite così. Ferretti parte dal 21 maggio 2024, il concerto dei CCCP a Bologna, le motivazioni che l’hanno spinto ad accettare d’imbarcasi in quell’impresa folle e improbabile, «sfacelo di pance e chiappe con facoltà di cadenze ammalianti». Continua col racconto d’infanzia, quando col fratello s’improvvisa fungaio e canta Il mondo di Jimmy Fontana andando per boschi. La scoperta del canto, i viaggi, un riassunto da capogiro di mille esperienze, l’infarto che lo ha quasi ucciso. «Fossi stato a casa mi sarei sdraiato aspettando che il dolore passasse, era già successo, sarei morto». E poi gli amati cavalli, tra cui Tre, 28 anni, in cui rivedersi.

È lo spettacolo poco spettacolare ma intenso, con qualche piccolo tocco d’ironia, della vita d’un 71enne mai sintonizzato con questo tempo. Ferretti canta e recita di connessioni, dei limiti alle scelte che facciamo, del tempo che passa, del significato di libertà e dell’accettazione a cuor contento di quel che ci è stato dato. È l’autoritratto musicale forse definitivo di un conservatore illuminato che canta tra le alte cose contro la radicalità, che è «contigua allo sradicamento» e «annichilisce la multiforme varietà del vivere».

Moltitudine in cadenza, percuotendo è anche l’incontro di due unicità. Da una parte Ferretti, che sta spesso seduto e qualche volta in piedi dietro a un leggio. Per riempire la scena gli bastano le parole. Dall’altra Beneventi, che ha apparecchiato un grappolo di campanacci di varia intonazione, un vibrafono midi con pedaliera da organo che gli permette di tirare fuori qualunque suono da barre e battenti, una lastra di metallo saccagnata, una cassa che pende da una corda di basso in tensione che vibra all’occorrenza come un violoncello, creando strani armonici. In orizzontale sta un basso elettrico da percuotere, più avanti un tamburo che ricrea il suono delle campane di legno dei monaci ortodossi. E poi un tamburo arabo percosso col pedale, una chiave inglese, fogli di alluminio che fanno una “sciac” tipo vecchia drum machine. È tutto perfettamente intonato alla poetica di Ferretti.

Foto: Roberto De Biasio

Foto: Roberto De Biasio

Finito il tour dei CCCP, Beneventi ha arrangiato per uomo-orchestra e all’occorrenza rumorista le canzoni, tratte dai dischi dei C.S.I., dei PGR, solisti, selezionando le versioni da cui partire, dissezionandole, ricostruendole (vedi set list sotto). Si è incontrato con Ferretti a Cerreto Alpi solo due settimane fa per mettere assieme tutti i pezzi della rappresentazione. L’hanno fatto in tre giorni. Il suono è meraviglioso, artigianale e assieme sofisticato, primitivo, solo percussioni e quale loop azionato da Beneventi. Per ora non sono previste repliche, ma scommetto che arriveranno.

Il finale è per la nostra Europa «miracolosa d’arti, cultura, ingegni, pluralità di lingue, di riti, ordinamenti e tradizioni, piccole a grandi patrie». Ma è «un ciclo finito, irrimediabilmente finito». Le luci s’abbassano e Ferretti intona il Te deum scacciando l’amarezza con la bellezza e la dolcezza. È un canto per gente confusa, ma non in eterno. Infine un bis potente e cupissimo, Intimisto. Uscendo da teatro dopo un’ora e mezza ci si sente però stranamente leggeri. Tanto il futuro, come dice Ferretti al suo cavallo, non tocca a noi deciderlo.

Scaletta:

Finisterrae (C.S.I., versione dei PGR di Montesole)
A tratti (C.S.I., Ko de mondo)
Brace (C.S.I., versione di Noi non ci saremo vol. 2)
S’ostina (PGR, D’anime e d’animali)
Inquieto (CSI, In quiete)
Del mondo (CSI, La Terra, la guerra, una questione privata)
Contatto (GLF, Codex)
Cronaca montana (PGR, arr. Battiato)
Cavalli e cavalle (PGR, arr. Battiato)
Cadevo (GLF, Codex)
Pons tremolans (GLF, Saga)
Te deum (CSI, Noi non ci saremo vol. 2 / GLF, Bella gente d’Appennino)

Bis:
Intimisto (CSI, versione di Noi non ci saremo vol. 1)