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Esagerato, sproporzionato, iperbolico: Geolier si è preso il Maradona di Napoli

Con alle spalle tante aspettative, il live del rapper allo stadio partenopeo non poteva che essere sovradimensionato, e così è stato. Due ore e mezza di concerto, ma ancor di più un perfetto condensato di tutte le strade che l’urban è in grado di percorrere, se dosato sapientemente

Foto: Giuseppe Caggiano

Esagerato, sproporzionato, iperbolico Geolier. Eppure funziona. Come l’amore che Napoli è in grado di donare ai propri santi e ai propri eroi. Emanuele Palumbo però, questo il vero nome del 24enne che ha riempito ieri lo stadio Maradona di gente – e lo farà anche stasera e domani avendo già venduto 145mila biglietti – che ha cantato per due ore e mezza (smodato anche nella durata) ogni sua canzone a memoria, non sembrava voler aspirare a diventare né un santo né un eroe («i miei sogni erano più piccoli, non immaginavo questo», ammette dal palco), eppure una comunità intera ormai ripone in lui ben più della speranza che possa farla semplicemente cantare.

Così, adesso che è al centro del villaggio, benché cerchi di ridurre questo fardello lanciando segnali distensivi alla propria gente («noi artisti non abbiamo responsabilità, raccontiamo quello che succede. A noi la musica ha salvato la vita»), in fondo sembra essersi rassegnato a quello che, a volte, è soltanto il destino. Ma lo affronta alla sua maniera, cioè con l’unica arma che ha sempre saputo usare: il rap. E dopo averlo ascoltato in 34 pezzi di fila senza sosta è chiaro il motivo, nonostante il dialetto napoletano, di come sia riuscito a prendersi un pubblico vastissimo in Italia e sia il rapper italiano con più respiro all’estero: perché Geolier è un puzzle di tutto ciò che esprime la cultura napoletana. Prima di tutto dal punto di vista umano. È cresciuto e continua a vivere nel rione Gescal, nonostante si parli dell’acquisto di una villa a Pozzuoli. Tiene i piedi per terra, vestendo completi Prada durante il concerto ma concedendosi per 12 ore ai fan durante il firmacopie, come a Nola l’altro giorno.

Foto: Giuseppe Caggiano

Sincero verso chi lo supporta, persino quando si tratta della vita privata: si lascia con la fidanzata Valeria e prima di intonare Si stat’ tu racconta che «gli amori finiscono, ma in fondo non finiscono mai», confermando il gossip ma con grande rispetto per quello che c’è stato tra i due. Con questo atteggiamento, anche la musica che esprime è un frullato di tutto ciò che la città gli ha trasmesso dal passato e gli mette di fronte agli occhi nel presente. Tanto che, a un certo punto, mentre canta Dio lo sa una collega si gira verso di me ed esclama: «Addirittura Mario Merola?». Sì, l’hip hop di Geolier riesce a contenere dalla sceneggiata alle sonorità neomelodiche, dalla malinconia di Massimo Troisi alla ferocia di Gomorra, dalla melodia di Pino Daniele alle immagini rarefatte dei film di Paolo Sorrentino. Con in più street-cred e flow che sono colpi da fuoriclasse del popolo come Diego Armando Maradona. È l’unico modo per spiegare i numeri monstre della sua carriera, in sintesi: nessuno prima aveva realizzato tre sold out allo stadio di Napoli. E dopo meno di sei anni di attività, Geolier ha collezionato 65 dischi di platino e 30 dischi d’oro, oltre a una vittoria sanremese sfumata per un soffio.

Foto: Giuseppe Caggiano

Con alle spalle tante aspettative, il live al Maradona non poteva che essere sovradimensionato, e così è stato. Due ore e mezza di concerto, come detto, ma ancor di più un condensato di tutte le strade che l’urban è in grado di percorrere se dosato sapientemente. Non a caso, oltre ai fedelissimi producer Dat Boi Dee e Poison Beatz, si è fatto accompagnare da una band particolarmente solida e da un’orchestra d’archi al gran completo composta da 16 elementi.

Per non farsi mancare nulla, ha aperto lo show scendendo da una pedana alta quasi 10 metri sulle note di Per sempre e ha ospitato (e ospiterà) una sfilza di artisti che, in qualche modo, ha cannibalizzato (ma ai quali dimostra grande rispetto), che ieri sera erano Luché (con Già lo sai), Gigi D’Alessio (con Senza tuccà), Tony Effe e Mv Killa (con Cadillac) e Mavi (con Emirates), oltre ai già annunciati, tra oggi e domani, Mahmood, Gué, Rose Villain e Lazza. Nel mezzo è stato capace di surfare agevolmente dalla lettera d’amore L’ultima poesia, dove tutte le coppie allo stadio si guardavano negli occhi teneramente, all’oscura Nu parl, nu sent, nu vec e alla mitragliata di rime incandescenti di Campioni d’Italia. Di concedersi il lusso di poppizzarsi con la sanremese I p’ me, tu p’ te e risultare ancora credibile quando torna alle proprie radici e fa salire sul palco alcuni bambini per cantare la gangsta P Secondigliano, in un’immagine che è apparsa come una sorta di passaggio del testimone.

Foto: Giuseppe Caggiano

Di fronte più di un pubblico, una famiglia. Perché nonostante un caldo asfissiante (34 gradi registrati, 150 percepiti) ha ondeggiato con lui fino all’ultimo brano sull’hip hop classico di Give you my love. Prima di chiudere, per aggiungere esagerazione a esagerazione, ha annunciato che il 25 luglio 2025 terrà un grande evento all’Ippodromo di Agnano (i biglietti in vendita dalle 12 di sabato 22 giugno). All’uscita, mentre scorre la fiumana di ragazzi – e tra i maschi spicca la nuova moda dei capelli ingellati all’indietro e i baffetti un po’ retrò come i suoi – viene da pensare cosa gli si possa chiedere di più. Non certo un miracolo, per quelli Napoli ha già San Gennaro. Forse è meglio fargli un augurio: «Non ti disunire mai, non te lo puoi permettere».

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