Federico Fiumani gira coi suoi Diaframma dal 1980: quasi quarant’anni, un’era geologica. Da sempre suona per tutta Italia al ritmo di – boh – 80 concerti l’anno (una media in difetto fra stagioni iper-impegnate a livello di appuntamenti, in cui rimboccarsi le maniche persino a Natale, e altre più magre), sgomitando nelle bettole di provincia come nei locali più fighetti.
Senza fare troppe moltiplicazioni, converrete con me: tanti, tantissimi i concerti in archivio. E converrete anche con me che, secondo questo calendario stakanovista, un suo live è diventato quasi una situazione ordinaria, “normale”. Insomma, se ci tieni, puoi sentirti i Diaframma facilmente, quando vuoi: non servono code chilometriche, prevendite strappa-capelli, hype a duemila o eventi “irripetibili”; aspetti, e prima di quanto tu possa immaginare loro passano dalle tue parti.
Eppure, nonostante una routine di fondo, Fiumani è una rockstar vera, sicuramente una delle ultime che ci rimangono in Italia dopo così tanto tempo. E non è il reietto di un’altra epoca, un Peter Pan fuori tempo massimo: era giovane e contemporaneo negli anni Ottanta, e ora che ha il ciuffo grigio e sulla soglia dell’abisso (come lui stesso ha definito il sei-zero) è, parafrasando Nanni Moretti, un “bellissimo sessantenne”. Lo vedo al Monk di Roma, un posto di punta del “giro giusto” della capitale, e il concerto e le atmosfere sono le stesse che sarebbe in grado di garantire da un locale dimenticato ai bordi della periferia di chissà quale provincia. Merito dello zoccolo duro dei fan – mai tantissimi, ma fedeli e partecipi -, ma indubbiamente anche del suo approccio immortale e testardo alla musica.
Punkettone ora come da ragazzino, sale sul palco senza fronzoli o effetti speciali, si fa persino da sé il soundcheck e poi attacca sparato. Non si nasconde, non perde tempo: lo fa perché suonare, da sempre, è la sua vita, come rispondere a un istinto primordiale. In un live semplice e asciutto, da situazione quasi spartana, tocca la chitarra con quella violenza che ha fatto scuola, aggredisce il microfono con la grinta consapevole del pugile esperto e ancora appassionato, mentre tiene a mente i suoi riferimenti ancestrali, dai Marquee Moon a De Gregori. Senza risparmiarsi un attimo. Rockstar ostinata, appunto: il resto – il cantautore, il poeta, lo scrittore, il donnaiolo, l’autobiografismo spinto dei suoi testi – sono tutte sfumature essenziali e complementari del suo universo in costante espansione.
In scaletta, come pronosticabile, c’è L’Abisso, l’ultimo disco dei Diaframma che sembra una sorta di raccordo (comunque solido, altroché) fra un tour e un altro, ma ovviamente anche tutti i classici dell’enorme repertorio della band, rigorosamente in ordine sparso – “senza progettualità”, spiegherà lui più avanti. Apre la nuova Leggerezza, probabilmente il più rappresentativo (e potente) dei brani a battesimo, e poi si cammina sospesi fino all’impatto con la sacralità di Siberia: lì si alzano i primi smartphone, e il resto viene da sé. Come fossimo in un garage, Fiumani le passa tutte in rassegna in chitarra-basso-batteria: come da tradizione, per l’ennesima volta. Urla, si dimena, fa a cazzotti col mondo. E i brani vivono, pulsano. L’odore delle rose, Verde, Amsterdam, Labbra blu – ci sono tutte. Poi L’amore segue i passi di un cane vagabondo, e diventa quasi impossibile non soffrire il contatto con l’asfalto ruvido della realtà. Intorno ci si emoziona, rockettari della prima ora e studenti di lettere si abbracciano; quando il ciuffo di Federico si impenna in tanti pogano, qualcuno limona duro. Su Gennaio l’urlo diventa liberatorio, poi arriva addirittura una cover di Vita spericolata.
Tirato il fiato: il “solito” concerto à la Fiumani, fra pietre angolari e novità che dal vivo fanno egregiamente il loro compito, come il cane di razza che non molla l’osso. Una serata testarda alla fine, orgogliosa e senza compromessi, come da quarant’anni a oggi e chissà ancora per quanti. Ma è proprio nella sua straordinaria ordinarietà, nella messa in scena essenziale e reiterata, l’unicità e la potenza anacronistica dei live dei Diaframma. Per i prossimi weekend, c’è da scommetterci, magari la band sarà in qualche locale sperduto, davanti a meno della metà del pubblico che ha appena finito di celebrarli. Salire, suonare e ripartire, senza effetti speciali. Non importa dove, non importa per quanti: conta solo farlo. Il rock è roba da ordinaria amministrazione, per uno come Fiumani.