L’ambizione è uno dei principali motori della musica. O l’Utopia, per stare in una citazione a metà tra Tommaso Moro e Travis Scott. Immaginare qualcosa che non è stato contemplato o realizzato fino a quel momento, creando uno spazio temporale, creativo, di pensiero in cui agire, è la matrice necessaria per seminare e diffondere cultura. Che sia un artista, tramite dischi e tour, o chi invece l’arte la vuole divulgare attraverso, ad esempio, i festival.
Pensare, ad esempio, di portare un festival che mischia jazz, elettronica e ritmi africani ad Agrigento, all’interno della splendida Valle dei Templi, l’area archeologica della provincia siciliana patrimonio UNESCO, è a suo modo un’utopia, un po’ per la location in sé, un po’ per la difficoltà burocratica di far accedere la musica stessa in luoghi protetti. Solo che qualcuno in questa idea ci ha creduto molto e ci ha lavorato davvero, tanto che con una certa dose di ambizione, coraggio e – soprattutto – voglia di lottare contro le istituzioni locali ha trasformato un’utopia in realtà che ha il nome di Festivalle.
Festivalle – a cui abbiamo partecipato lo scorso weekend dal 3 al 6 giugno – si fonda su due cose molte chiare: un cartellone che fa ricerca nell’universo jazz e afrobeat e una serie di location che non hanno simili nel mondo. Il privilegio di assistere ai live di grandi artisti (c’è il discendente diretto dell’afrobeat Seun Kuti con gli Egypt 80, la band di suo padre Fela, il pioniere della techno Jeff Mills, ma anche il padre dell’Ethio Jazz Mulatu Astatke, primo studente africano al Berklee College of Music) all’interno di un parco archeologico in cui sulla Via Sacra che divide la città di Agrigento dal mare resistono templi dorici del periodo ellenico e opere idrauliche come il giardino della Kolymbetra (bene di proprietà del FAI) è unico. I templi diventano scenografia architettonica da una civiltà precedente mentre nell’aria risuonano generi che per l’occasione escono dalla nicchia per incontrare un buon pubblico eterogeneo. Sarà per la location, sarà per il periodo (i primi di agosto), sarà per la suddetta ambizione, ma la risposta di pubblico per questo boutique festival è importante (circa ottomila presenze totali) e eterogenea; ci sono i più giovani in piedi, sotto al palco, a vedere artisti culto che si muovono lontani dai circuiti mainstream e i più avanti d’età, seduti in santa pace, a godersi i concerti, in un clash transgenerazionale che funziona.
Non solo i concerti incorniciati dal Tempio di Giunone però, ma anche un after seguitissimo in spiaggia (dovevano essere due ma ci si è messa la pioggia), due concerti al tramonto sullo sfondo del Tempio dei Dioscuri, un paio di talk e una follia che raramente vedrete in un altro festival al mondo: un musical (Al passo coi templi) all’alba tra la Via Sacra e il Tempio della Concordia.
Ci sono, certo, ancora degli aggiustamenti da fare (una migliore comunicazione su come raggiungere le location e certe code importanti – al bar, ai bagni, per il musical – da smaltire), ma sono tutte cose facilmente aggiustabili, soprattutto se le istituzioni locali venissero maggiormente incontro al festival, anche solo proponendo un altro momento della stagione estiva per non sovrapporre la manifestazione al picco di turisti in città che, eventualmente, costituisce un problema di afflussi in una località in cui strade e mezzi pubblici sono problematici.
Per la sua settima edizione (ambizioso non è solamente la creazione, ma anche la resilienza), il Festivalle dimostra di essere un boutique festival unico nel suo genere in cui è possibile ascoltare una line-up ricercata che diverge dal copia-incolla della maggior parte delle manifestazioni italiane in una location che ogni persona dovrebbe visitare almeno una volta nella vita. E allora perché non farlo proprio a Festivalle?