Quando avevo 16 anni sono andato da Milano a Torino per una notte, per vedere un concerto, chissà di chi. Mi ricordo poco di quella serata, ma mi ricordo benissimo dell’albergo che avevo preso: quello che costava meno (Booking.com non c’era, o se c’era era cosa per pochi), incastonato al terzo piano di un palazzo in centro a Torino. Lo gestiva una vecchia signora, molto gentile, molto orgogliosa del quadro dietro il banco della reception, che la ritraeva con il marito e il gatto. L’albergo era, forse, una stella. Aveva la moquette e una tappezzeria verde con dei gigli dorati. In un angolo era rotta, mostrando le mura giallognole. Era terribile. Era bellissimo.
Franco126 ha deciso di utilizzare la stessa tappezzeria di quell’albergo a una stella di Torino. E la stessa atmosfera. Un divanone sul palco, dei lampadari “della nonna”, un paio di cartelloni luminosi. La sua stanza singola assomiglia parecchio alla mia. Con tanto di neon rotti, lampeggianti, e divanoni della bisnonna.
Da quando, un po’ sottovoce, ha pubblicato Frigobar, il primo singolo del suo percorso, Franco si è messo su un percorso diverso: ha aperto una finestrella su uno schermo, ha acceso il proiettore e si è messo a srotolare pellicole vecchie e impolverate, proiettando per i pischelletti di oggi dei film dalla colonna sonora sgangherata. O forse ha soltanto acceso il televisore della sua stanza singola, ha preso tutto quello che poteva dal bar ed è finito su un canale notturno di serie C.
Sta di fatto che in questa stanza ha portato tutti, al suo concerto. Con una band guidata da Ceri (che si conferma tra i più presenti della scena, tra Franco e Frah Quintale), racconta tutte le sue paranoie, le sue storie sbagliate, d’amore e d’amicizia, ormai affogate nella nostalgia. La gente canta tutto, accompagna Franco a scoprire gli angoli scrostati della tappezzeria, accompagnandolo per ogni singola nota, tra una vodka e Schweppes e l’altra, fino alle tre bire di Noccioline (che con Solo guai e Sempre in due riprende Polaroid per un attimo).
La gente che è qui ammira Franco, quello che ha fatto, perché ha dato forma a delle nostalgie. Non va tutto bene, no, e adesso si può anche cantare. E lo cantano le ragazze, che abbozzano delle coreografie a ogni strofa. E lo cantano le mamme, affascinate, dagli echi di una cosa che conoscono bene e che qui torna in una forma contemporanea, ma non troppo. È un po’ tutto storto sul palco, un po’ sbiascicato, un po’ stonato. Ma è quello che è Franco e che tutti amano di lui. Si vede.
Sale Venerus sul palco per Senza di me (“Prendimi a pugni il cuore se ritorno di nuovo da te”, che fa il pari con “Stammi vicino e tienimi lontano”, una richiesta d’aiuto disperata, per quando c’è bisogno di allontanarsi). Poi smette di cantare e accende la radio della sua stanza. Partono due canzoni di Califano, chitarra e voce, che fanno venire i brividi ai milanesi, figurati a quelli dal cuore più caldo.
Si tira dritto fino alla fine, fa Frigobar, dice che è finita qui, che non ha altre canzoni e non mente. Il bis è un bis vero, di canzoni già fatte. Già sentite, ancora da cantare. L’abat-jour si spegne, un dito di Smirnoff e si può andare.
P.S.: Prima del live, si sentono Non succederà più di Mori/Celentano e Minuetto di Mia Martini (scritta da Califano, tra l’altro). Con un amico ci guardiamo e apprezziamo il coraggio. Di solito non si mettono canzoni così imbattibili prima del live. Franchi’, bel coraggio.