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Guns N’ Roses a San Siro, come toccare sulla fronte il tempo che passa volando

Axl Rose non ha la voce di trent'anni fa, i musicisti tengono botta pur essendo invecchiati. Ma anche il pubblico lo è. Cronaca di una serata in cui i genitori di oggi si sono ricordati d'essere stati i figli di ieri

Foto: Allen J. Schaben/Getty Images

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Meglio togliersi subito il pensiero e rispondere alla domanda che più di una persona mi ha rivolto nei giorni scorsi. Dal farmacista appassionato di musica che mi ha fatto il tampone (negativo) all’amico il cui gentile invito a cena ho rimbalzato («Accidenti, domenica non posso: vado a vedere i Guns N’ Roses»). La domanda è la stessa contenuta anche nel primo commento a una foto del concerto che ho postato su Facebook: «Ma Axl ha ancora voce?». Senza dimenticare i messaggi ricevuti dopo l’annullamento del live di Glasgow in programma martedì scorso: «Per forza, Axl non ha voce!».

Ebbene, Axl la voce ce l’ha. Di sicuro, ascoltandola dal prato di San Siro, non è certo in primo piano nel mix degli strumenti. La si ascolta bene soprattutto nelle ballate, November Rain e Knockin’ on Heaven’s Door su tutte, e molto meno nei brani posti in apertura di scaletta, finché i fonici non migliorano la situazione. San Siro poi, si sa, è la Scala del calcio ma non è la Scala e basta, e l’acustica non è mai il massimo. Insomma, la voce di Axl non verrà ricordata dal pubblico di ieri sera per la sua potenza ma lui dà tutto, corre per il palco, imbocca le passerelle laterali, ogni tanto scompare nel backstage e torna dopo essersi cambiato la maglietta (anche una con i colori dell’Ucraina, gli stessi delle bandiere ai lati del palco) o la camicia da biker che un po’ gli tira sulla pancia. A proposito: non è che per caso tutte queste domande sulla voce di Axl nascono dal non vederlo più nella forma di un tempo?

Aspetto fisico a parte, anche le movenze non sono (e non potrebbero essere) quelle che ammirai allo Stadio Delle Alpi di Torino nel giugno del 1992. Era la prima volta dei Guns N’ Roses in Italia e oggi quello stadio nemmeno esiste più. Axl non ondeggia dietro al microfono come allora, ma ha il merito di non provare a scimmiottare il se stesso che fu. Pazienza se non è quello di trent’anni fa. Del resto non mi pare che al Mick Jagger del No Security Tour (1999) qualcuno abbia rimproverato di non essere più quello di Hyde Park.

I Guns N’ Roses del 2022 portano in giro per il mondo la loro storia con una scaletta in cui gran parte dei brani risalgono al quadriennio d’oro 1987-1991. Tre ore di live per un pubblico che in media viaggia sulla quarantina abbondante. Ok, il sessantenne Axl Rose non è più un sex symbol ma ho visto con i miei occhi lo schermo del telefonino con cui una fan aveva ripreso ampi stralci del concerto illuminarsi per riportare un messaggio WhatsApp che così recitava: «Hanno mangiato e li ho già messi a letto, siamo stati in giro tanto e forse erano un po’ stanchi». Insomma, anche il pubblico è cambiato e legittimamente non chiede di meglio che cantare a squarciagola Welcome to the Jungle e farsi i selfie con le corna. Un pubblico tutt’altro che sparuto: i Guns N’ Roses riempivano gli stadi italiani nel 1992 e li riempiono tutt’ora. Di quante altre band della loro generazione si può dire lo stesso?

Anche la formula non è cambiata molto rispetto al 1992. Slash ha tantissimo spazio per i suoi virtuosismi, lunghi assolo che fanno un po’ a pugni con la sua coloratissima maglietta dei Ramones, mentre quando Duff McKagan intona (si fa per dire) I Wanna Be Your Dog degli Stooges ricorda a tutti che è lui l’anima punk della band, almeno quanto Slash è quella blues. I Guns N’ Roses 2022 virano decisamente più verso il blues, come a Torino 1992 e come forse ogni tanto potrebbero evitare di fare: è proprio necessario tirare fuori un bottleneck al termine di una Rocket Queen per il resto fedele alla versione su disco? Altre volte il blues invece funziona: come quando tre chitarre acustiche (Slash, lo stesso Duff e l’altro chitarrista Richard Fortus) eseguono una versione strumentale di Blackbird, dal doppio bianco dei Beatles, che funge da introduzione a Patience. Forse perché non ci sono virtuosismi, solo la bellezza di una melodia. Quando invece in Knockin’ on Heaven’s Door ciascuno dei due chitarristi piazza un lungo assolo viene da rimpiangere la più stringata versione su disco. Quella che, così come accaduto per Live and Let Die, ha permesso ai Guns N’ Roses di appropriarsi di un classico.

Ogni tanto si sente parlare di un nuovo album in arrivo, escono interviste in cui Axl o Slash dicono che manca poco. Ieri sera hanno eseguito sia Absurd sia Hard Skool, i due brani usciti lo scorso anno. Be’, le canzoni che hanno entusiasmato il pubblico sono state decisamente altre. E poi alle previsioni di Axl bisogna sempre fare la tara. «Non in questa vita», aveva detto a proposito di un’eventuale reunion. Se un nuovo album non dovesse arrivare, il pubblico dei Guns N’ Roses 2022 se ne farà senz’altro una ragione.

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