Dopo solo due canzoni dei Green Day, headliner del debutto dell’Hella Mega Tour al Globe Life Field di Arlington, Texas, Billie Joe Armstrong ha chiesto ai tecnici di accendere le luci, così da vedere meglio le 35 mila persone in sala. Era il pubblico più grande di un concerto rock dall’inizio della pandemia, e il frontman voleva godersi lo spettacolo.
«Guardatevi intorno», ha detto. «Questo è contatto umano. Non ci rinchiuderanno più. Dobbiamo stare insieme».
Era un sentimento condiviso da tutti i musicisti saliti sul palco nelle cinque e ore e mezza dell’evento che ha ospitato gli Interrupters, i Weezer e i Fall Out Boy, abbastanza da farci dimenticare che la variante Delta sta facendo impennare il numero di casi in tutta l’America, che le mascherine obbligatorie stanno tornando e che il futuro sembra di nuovo incerto. Il pubblico, molto giovane, non sembrava granché preoccupato: non più di una persona su 300 indossava la mascherina.
Covid a parte, lo show è stato incredibilmente divertente, abbastanza per dimenticare i quasi due anni passati dal primo annuncio. La scaletta è sembrata un iPod del 2005 in riproduzione casuale, da Sugar, We’re Going Down a Beverly Hills, fino a Wake Me Up When September Ends. E visto che nessuno degli artisti è stato in tour nell’ultimo anno e mezzo, tutti avevano l’energia di un cavallo da corsa ai cancelli di partenza.
Dopo l’apertura degli Interrupters, band ska di Los Angeles che ha conquistato il pubblico con una versione unica di Bad Guy di Billie Eilish, è arrivato il turno dei Weezer. Per qualche istante è stato difficile riconoscere Rivers Cuomo che si è presentata con un look con baffi, mullet e giacca di pelle, la dimostrazione di quanto prenda sul serio il revival di Van Weezer.
La prima parte del set è stata heavy, con pezzi nuovi come Hero, All The Good Ones e The End of the Game, una scelta coraggiosa per un concerto in uno stadio. Poi, le prime note di My Name Is Jonas hanno dato il via a una valanga di classici come Undone – The Sweater Song, Surf Wax America e Island in the Sun. Non importa quante volte le abbiano suonate nel corso degli anni, funzionano sempre.
El Scorcho ha scatenato il boato più potente della serata, grazie a un verso che parla di invitare una ragazza a un concerto dei Green Day, e poco dopo è arrivata l’inevitabile Africa. Cuomo ha confuso un po’ il testo nella parte di “I stopped an old man along the way”, se l’è cavata con un “blah blah blah”. Forse ha realizzato che la più grande hit dei Weezer degli ultimi anni è una cover di un pezzo dei Toto del 1982. Il pubblico l’ha aiutato cantando al suo posto e lui ha recuperato con il ritornello. Dopo il debutto live di California Snow, hanno chiuso il set con Say It Ain’t So e Buddy Holly.
I Fall Out Boy erano l’unica band in cartellone a non aver sfondato su MTV negli anni ’90 ed è stato perciò strano vederli su quel palco. Pete Wentz ne ha parlato a metà set: «Immaginate che momento assurdo sta vivendo la nostra band», ha detto. «Siamo incredibilmente influenzati da questi musicisti, stare in tour negli stadi con loro è sconvolgente. Ma bisogna sognare in grande, no?».
Di sicuro l’hanno fatto con la scenografia con più fuoco di un concerto dei Kiss, tra cui una fiammata partita direttamente dal basso di Wentz durante The Phoenix. Poi, quando Patrick Stump si è seduto al piano per cantare Save Rock and Roll, anche il suo strumento ha preso fuoco. Si è vista anche una video introduzione dell’attore Ron Livingstone, una sorta di omaggio al Rod Serling di Ai confini della realtà.
Nel set c’è stata solo una canzone da Mania, l’album del 2018 (The Last of the Real Ones), e una lunga serie di hit, sia più recenti come Uma Thurman e Centuries, sia vintage come Dance, Dance e A Little Less Sixteen Candles, a Little More Touch Me. Nel pubblico, i ragazzi cantavano tutti i pezzi, i più anziani bevevano birra e guardavano il palco con rispetto.
Quando hanno conquistato i teenager del 2005, i Fall Out Boy non sembravano destinati a una lunga carriera. Dopo la pausa iniziata nel 2009, era facile immaginarli prendere la brutta china dei Gym Class Heroes. E invece la loro seconda vita è stata una delle più impressionanti della storia del rock e forse questo tour è l’inizio della terza, quella in cui diventano classic rock. Chi l’avrebbe immaginato?
Quando i Green Day sono saliti sul palco, il sole era già tramontato e il pubblico era pronto al piatto forte della serata. Lo show è iniziato con un’esplosiva American Idiot, e l’energia è aumentata ancora con Holiday e Know Your Enemy. Father of All…, il loro ultimo album, è uscito poco più di un anno fa, ma non è stato inserito in scaletta. La band ha preferito i classici come Longview, Welcome to Paradise e Brain Stew, una tirata che ha scatenato un gigantesco mosh pit nella zona vicino al palco, un momento degno del 1994. Un gruppo di ragazzi si è addirittura strappato le magliette e ha iniziato a pogare, trasformando Dookie in uno sfogo collettivo dopo 18 mesi di lockdown.
Tutto il set è stato puntellato dai brani di American Idiot, tra cui l’epica Jesus of Suburbia e una commovente Wake Me Up When September Ends. Sono canzoni scritte durante l’era di George W. Bush, eppure non sono sembrati relitti di un’epoca passata. In questi anni siamo diventati sempre più idioti e ora quei pezzi sono inni senza tempo.
Verso la fine è arrivata Still Breathing, uno dei brani dal sottovalutato Revolution Radio del 2016. È un pezzo che parla di trovare un senso nei momenti più difficili e il Covid gli ha dato nuova forza. “Sono come un soldato di ritorno a casa dopo tanto tempo”, canta Armstrong. “Ho schivato un proiettile, camminato sulle mine / Oh, sono ancora vivo”.
Cantare quelle canzoni è stata una vera gioia, così come vivere il rock’n’roll in uno stadio dopo tutto questo tempo. Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi mesi, ma almeno per una magnifica serata abbiamo ripreso a cantare.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.