Cosa rimane di un musicista dopo la morte? Una o più canzoni, se è stato sufficientemente bravo da imprimere il proprio nome nella memoria collettiva. È il caso dei fratelli Abbott, gli amatissimi Dimebag e Vinnie, chitarrista e batterista, membri fondatori dei Pantera, tra le band più leggendarie della storia del metal. Dimebag è stato ucciso a colpi di pistola su un palco mentre stava suonando, Vinnie stroncato – diversi anni più tardi – da una cardiomiopatia nel sonno. Eppure ieri sera, per una sera, alla Unipol Arena di Bologna, il vuoto lasciato dalla loro scomparsa è stato colmato. Non solo da due musicisti altrettanto eccezionali, Zakk Wylde e Charlie Benante, ma soprattutto dai fan che sono stati teenager negli anni ’90 e che hanno tributato ai fratelli Abbott un omaggio fatto di sudore, sangue e ossa rotte.
Che la serata sia all’insegna del ricordo lo si capisce subito: quando si spengono le luci, prima che venga giù l’immenso telone con sopra scritto il nome della band, i maxischermi proiettano video dei ragazzi texani dei bei tempi che furono. L’effetto VHS aggiunge un fascino vintage, poi il tendone viene giù e si comincia a fare sul serio. «Ogni canzone che suoniamo è per Dimebag e Vinnie», annuncia al termine dell’iniziale A New Level il frontman Phil Anselmo, come di consueto a piedi nudi. E così sarà, con fotografie dei fratelli che compaiono un po’ ovunque, dalle casse della batteria al gilet di Wylde, passando per un paio di action figure che li ritraggono, piazzate chissà dove sul palco. E poi ancora video d’epoca, soprattutto durante la splendida Floods.
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Foto: Giuseppe Craca
Anselmo è in forma: quando canta in modo pulito, si fa per dire nel suo caso, la voce esce un po’ impastata, ma non è facile stabilire quanto sia un problema suo e quanto invece si perda nell’acustica del palazzetto. Ma fortunatamente questi sono i Pantera, per cui il cantante passa buona parte dei 90 minuti del concerto a urlare come un indemoniato e questo, va detto, gli riesce ancora un gran bene. I due nuovi ingressi in formazione non tradiscono dal vivo ma, su questo, nessuna persona sana di mente ha mai avuto dubbi: Wylde è un fenomeno (anche se la sua chitarra forse meritava più volume) e Benante sovrasta letteralmente ogni cosa con la sua batteria gigantesca. Chiude il quartetto lo storico bassista Rex, l’altro sopravvissuto della line up classica della band, che non ha mai rubato la scena e continua a non farlo.
La scaletta è una sorta di greatest hits, con la band che pesca a piene mani dai due album più noti Vulgar Display of Power e Far Beyond Driven inanellando classici come Becoming, Mouth for War, I’m Broken, la belligerante 5 Minutes Alone e Walk, a mani basse una delle canzoni più pogabili della storia. This Love scatena l’headbanging anche in chi tricologicamente parlando non se lo può più permettere, e sono molti stasera. C’è spazio per qualche perla dagli altri dischi, l’amatissima Cowboys from Hell, un vero e proprio inno della band, capace di coniugare groove e ultraviolenza, la conclusiva Yesterday Don’t Mean Shit e Suicide Note, Pt 2, annunciata da un gigioneggiante Anselmo che già pregusta l’inferno che da lì a poco si scatenerà di fronte a lui. Un viaggio nella memoria accompagnato da effetti pirotecnici, fuoco e fiamme come se non ci fosse un domani.
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Foto: Giuseppe Craca
E se invece ci fosse un domani? È la domanda che scatta nella testa quando Anselmo inforca le ciabatte e lascia il palco. Ci sarà la volontà da parte di Phil e soci di spostare lo sguardo dal retrovisore per provare a vedere dove possono arrivare? Il tour, che di fatto è iniziato nel 2023 e non si è ancora interrotto, si è dimostrato un successo e ha provato che ci sono moltissimi fan che hanno ancora voglia di Pantera, perché sono cresciuti assieme a loro o perché, invece, se li son persi negli anni d’oro. A Bologna il pubblico era formato perlopiù da quarantenni, e questo non stupisce, ma c’erano anche dei ragazzini – che magari hanno sentito raccontare le leggendarie gesta di questa band dai padri o dai fratelli maggiori – e questa è una bella notizia. Un ideale passaggio di testimone della torcia metallica, ossa nuove da rompere.
Che questo entusiasmo raccolto in giro per il mondo possa trasformarsi in un nuovo album? Se ne parla, sottovoce, da mesi: è improbabile, ma non impossibile, soprattutto in tempi di vuoto pneumatico come questi, dove la nostalgia continua a mostrarsi molto redditizia. Poi, ovviamente, ci sono i duri e puri, quelli per cui i Pantera sono morti e questa nuova versione sarebbe una tribute band. Tutto ruota attorno al fatto che i rapporti fra il frontman e i fratelli Abbott – che la band l’hanno fondata – erano pessimi al termine della prima esperienza e che quindi Anselmo non avrebbe il diritto di portare in giro una band con quel nome.
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Foto: Giuseppe Craca
Prima di chiudere il concerto, dopo la scatenata Fucking Hostile, Phil chiede al pubblico: «Verrete a sentirci se torneremo in questo posto? Ditelo ai vostri amici!». Sembra quasi rivolgersi ai detrattori, che non erano pochi dal momento dell’annuncio del tour di reunion, come a dire: visto che siamo ancora in grado di spaccare il culo? E così si chiude il cerchio e si torna alla domanda iniziale: cosa rimane di un musicista dopo la morte? Non esiste una risposta univoca: il concerto dei Pantera è stato un viaggio nella memoria per molti, un insulto a una storia grandiosa per altri, un battesimo del fuoco per qualcuno. Quel che è evidente è che per i “cowboy dall’inferno” non è ancora arrivato l’ultimo tramonto. E sì, spaccano ancora il culo.