C’era qualcosa nei Parcels che all’inizio mi sfuggiva. Li ho visti suonare per la prima volta qualche mese fa all’Ippordomo di San Siro, in apertura agli MGMT e ai Justice. Era la loro prima volta in italia, quindi per prima cosa non ci siamo fatti scappare l’occasione di intervistarli e fargli qualche foto lì, sul prato curatissimo che normalmente funge da pista dei cavalli. Giusto perché, in quanto esordienti, non sei mai sicuro di quando e se sarebbero tornati da queste parti. E senza esagerare, il loro stato uno dei migliori opening che abbia mai visto, ma tipo che hanno completamente oscurato gli MGMT che suonavano poco più tardi—impossibile che succedesse lo stesso coi Justic. Loro si portano dietro dei tir di scenografie led e il risultato è uno spettacolo grandioso. Per cui ripeto è impossibile farsi oscurare dall’opening act.
Comunque, mentre suonavano ‘sti cinque australiani appena ventenni non solo mi sono reso conto di ballare vistosamente a mia insaputa e di avere stampato in faccia un sorriso da ebete, ma che non ero l’unico. Eravamo tutti così, rintontiti alla vista di questi giovinastri che suonavano funk e canzoni che più orecchiabili non si può, e lo facevano con una naturalezza assurda. Erano come dei musicisti navigati, dei mostri da palcoscenico con decenni di esperienza alle spalle, che però stavano nel corpo di ragazzi, sorridenti, eleganti ma non ingessati nei movimenti, tutt’altro. Ma per quanto avessi più o meno individuato allora i loro punti forti, c’era ancora qualcosa che mi sfuggiva di loro. Ecco, ci sono arrivato ieri sera, finalmente.
Anziché essere un piccolo slot dove suonare al massimo 6 pezzi prima del live di altri pezzi più grossi, i Parcels ieri sera hanno avuto il Magnolia di Milano tutto per loro. È stata la prima vera data in Italia, in un locale nella periferia est di Milano, immerso nella nebbia e nel gelo ma nonostante ciò impacchettato di gente. Strapieno. Avendo quindi carta bianca, casa libera, i Parcels hanno potuto mostrarsi per quello che sono. Delle perfette macchine da spettacolo. Ma perfette nell’accezione più cinematografica del termine.
Mentre Jules e i suoi suonavano, alcuni vestiti eleganti e altri con una semplice t-shirt bianca, sembrava quasi di stare nel bel mezzo della sequenza di un film. Quando lui e lei arrivano al concerto e c’è una scarrellata di inquadrature sulla band, che ovviamente è stata messa in piedi da degli sceneggiatori: quindi i suoi membri sono solo giovani, belli, la scenografia dietro è minimale ma elegantissima (proiettori 70’s piazzati davanti a una tendona di tulle glitterato, si ringrazia la Fashion Editor di Rolling Stone per la descrizione della tenda) e soprattutto la band suona chirurgica, il suono è perfetto come manco su disco e la gente è letteralmente infiammata di entusiasmo. Dai, quelle cose che succedono solo nei film e che quando le vedi sullo schermo o al cinema pensi: “Seh, ci vediamo nella realtà”.
Ecco, ieri sera, parola mia, il film si è fatto reale. Avete presente i Crescendolls? Quella band che nel film-cartone animato dei Daft Punk, Interstella 5555, diventa super famosa ma viene sfruttata da un perfido produttore discografico? I Parcels mi hanno ricordato loro. Anche i Daft Punk avranno trovato un’analogia fra gli australiani e il cartone. Ma, a differenza del malvagio businessman della discografia, i due robot parigini si sono limitati a produrgli un singolo, Overnight, e poi lasciarli andare per la loro strada. E posso assicurare che, di strada, i Parcels ne faranno molta.