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Ieri sera Ariete ha cantato per 7000 amici

La cantautrice di ‘Specchio’ ha portato al Carroponte il suo romanticismo popolare, il registro confidenziale, il rapporto empatico coi fan, un’idea di musica che è «amore, vita, libertà»

Foto: Simone Biavati

Dovessimo davvero ripartire, per andare chissà dove, comunque andare, nell’Arca di Noè progettata da Elon Musk farei entrare solo il pubblico che ieri illuminava con i suoi telefoni il cielo di Sesto San Giovanni, ragazzi bellissimi e troppo spesso invisibili con il passato scritto in qualche tatuaggio, il futuro nascosto nel doppio fondo degli zainetti di tela e il presente che corre, chi arriva primo si prende un posto in prima fila sotto palco. Qualcuno è lì già dalla mattina, con i libri di scuola aperti a ripassare per gli esami di maturità, stando attenti a non farci cadere sopra la cenere delle sigarette. Gli altri, alla fine saranno 7000, iniziano a riempire il Carroponte alle sei e mezza, il concerto inizia tre ore dopo.

Sono qui per Ariete, cantante di vent’anni, che sembrano abbastanza da reggere il peso delle decine di articoli che la vorrebbero “portavoce di una generazione”. La cosa – penso sempre quando leggo uno di questi pezzi di sociologia da bar – magari le starà pure sul cazzo: «Sì, abbastanza», dice, quando la incontro per una veloce chiacchiera nel backstage all’aperto, l’audio della registrazione dell’intervista si mixa con i primi cori a cappella del pubblico, attore protagonista di tutte le canzoni, perché, come tiene a precisare l’artista, «non racconto la mia generazione, sono un’esponente della mia generazione». Già, e doveva arrivare a Milano da Roma qualcuno che liberasse per qualche ora la città dall’accelerazionismo capitalista bling bling tutto Birkin e Design Week e dal maschilismo tossico di drill e trap, portando quel romanticismo popolare che ha radici antiche – mi viene in mente Baglioni – e un linguaggio nuovo, non solo musicale, tradotto in dischi dall’etichetta Bomba, da Calcutta agli Psicologi, passando per Giorgio Poi.

È la prima data di un lungo tour estivo, ma è anche il recupero di due date sold out che doveva fare all’Alcatraz a marzo, annullate poco prima per il Covid. L’anno scorso Ariete era qui al Carroponte con 1500 persone sedute e «security bella pesante che non si poteva alzare nessuno». Ed è così che racconta questo nuovo inizio: «Stasera è finalmente la volta buona e la preparazione del live è stata un mix di adrenalina tipo non ce la faccio più e la consapevolezza che è il primo tour davvero grosso e quindi devo farlo bene, con la band e il management abbiamo pensato un sacco alla scaletta, alle luci, ai visual».

Foto: Federico Melzi

L’impatto, già dal primo pezzo, è impressionante, tocca di nuovo fare i conti con l’età perché la sua naturalezza, la gestione della voce e delle emozioni, il feedback emotivo col pubblico farebbero pensare a una lunga gavetta. Ma è l’intenzione a vincere, non l’esperienza, come quando poche settimane fa, al Concertone del Primo Maggio si era presentata da sola, chitarra e voce: «Di solito in quelle occasioni si pensa di fare una cosa colossale per stupire, e con i ragazzi di Bomba Dischi abbiamo pensato di fare il contrario, non perché siamo speciali, ma perché chitarra e voce è l’anima di questo progetto, quindi abbiamo fatto come quando tutto è nato in camera mia».

In scaletta ci sono i pezzi del nuovo album Specchio e le canzoni che l’hanno fatta conoscere prima come 18 anni e Pillole, molte sono state scritte pensando a persone della sua vita, amori iniziati e finiti, ma «ora sono solo canzoni, anche se ce ne sono alcune che mi emozionano di più, tipo Spifferi che stasera farò da sola piano e voce e quel magone che avevo alle prove me lo porterò anche sul palco». Sotto palco invece ci si bacia, si sorride, qualche lacrima c’è altrimenti cosa si è giovani a fare (parola di boomer che scrive). Nel backstage Fedez e Tananai seguono l’onda karaoke che travolge tutti. «Sentire le persone che cantano mi fa impazzire, ancora non la realizzo, mi dico ma come è possibile che sta succedendo questo?».

Succede, e le chiedo se riesce di farmi un identikit di queste persone che sanno tutti i testi a memoria: «Ci sono tante ragazze coetanee che sposano la mia idea di quello che è l’amore, la vita, la libertà, persone a cui piace essere libere, non avere etichette, non giudicare gli altri. Voglio che i miei concerti siano un momento non solo divertente ma anche per riflettere su determinati argomenti. Ci saranno ancora di più oggi e in questo tour dei momenti precisi in cui vorrò dire delle cose, non perché sono un’icona LGBT italiana ma perché è una cosa che ho a cuore da anni, da quando andavo in terza liceo e facevo i corsi sul Gay Pride». E allora eccola avvolta in una bandiera arcobaleno che dice «siete sempre liberi di essere voi stessi» prima di iniziare a cantare. O di nuovo che invita a salire sul palco quattro ragazze del pubblico a caso; una di loro, Marta, racconta dell’amica Alice che sarebbe dovuta venire con lei al concerto e ora non c’è più. Niente tv del dolore, qui si gioca un altro campionato: «Molti trentenni e quarantenni mi dicono che gli sarebbe piaciuto avere, quando erano giovani, qualcuno che gli parlasse in questo modo».

Foto: Federico Melzi

Le chiedo chi, prima di tutto questo, è stata la sua Ariete: «Shawn Mendes soprattutto per l’atteggiamento col pubblico, con i fan. Perché anch’io sono stata fan, di lui. Tra i 13 e i 16 anni sono stata in fissa, ogni volta che veniva a Milano salivo da Roma sia che fosse un concerto o che andasse ospite a X Factor. E il modo di rapportarmi col pubblico, che è molto confidenziale – mi fermo sempre per foto, video, abbracci, che siano cinque o duecento – l’ho presa da lui, perché da fan mi sono sempre sentita riconosciuta da parte sua. Nel 2016 avevo 14 anni e lui suonava al Fabrique, sotto il suo hotel eravamo in 30 e si è fatto le foto con ognuno di noi, poi nel 2017 sotto l’hotel eravamo in 200 e lo stesso ha dato retta a tutti, e questa cosa l’ho interiorizzata». Potenza dell’empatia.

Ore 19 e 20, due ore al live, le chiedo se non sta impazzendo di ansia: «Un botto, ma appena salgo sul palco e vedo che al posto di 7000 sconosciuti ci sono 7000 amici… allora stiamo bene così e ci abbracciamo».
Ore 23, concerto finito e gli abbracci si fa fatica a contarli.

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