Il king della trap sbarca all’Arena di Verona e l’antico anfiteatro romano diventa la culla di una nuova civiltà che, dopo la rivoluzione, si è presa il suo posto nell’olimpo della musica. Una sommossa verso il precedente star system partita da Cinisello Balsamo e che ha portato un adolescente con “nelle tasche solamente le mie mani fredde, qualche sogno infranto e le sigarette” a trovarsi di fronte, pochi anni dopo, tutte le proprie aspirazioni materializzate plasticamente. Tanto da poter affermare, ormai senza che nessuno lo possa accusare di presunzione, di essere diventato quella Rockstar cantata nel brano che ha sdoganato il fenomeno trap in Italia nel 2018.
Ben prima del live di Sfera Ebbasta in città si respirava un’aria diversa, con i classici turisti culturali, interessati a monumenti e musei, soppiantati dai ragazzi in preparazione all’evento (saranno due le date, la seconda stasera). Per lo più giovanissimi, non ancora maggiorenni, corredati da immancabili jeans o tute portati a vita bassissima, felpe e cappuccio in testa. Tutti affamati di vedere dal vivo il loro beniamino, ma anche di riempirsi la pancia per scatenarsi nelle oltre due ore di concerto che li aspetta. E così il popolo di Sfera ha cominciato la preparazione prendendo d’assalto le focaccerie di via Daniele Manin, per poi accamparsi di fronte ai vari ingressi all’area dove, in tantissimi, erano seguiti dai genitori. «Tieni nelle tasche davanti il cellulare», consigliava una madre premurosa alla figlia. «Attento alla zaino, mettilo davanti», diceva un padre, con alle spalle ben altri concerti, al pargolo che, incurante delle indicazioni, chiedeva agli amici con insistenza: «Ma è vero che c’è anche Madame?». Non era vero, ma il brano Tu mi hai capito, scritto a quattro mani con il protagonista della serata, sì.
Arriva il momento di entrare. Il pubblico prende posto e noi giornalisti ci rifocilliamo all’hospitality sul retro palco. Qui c’è tutta la famiglia allargata di Sfera, fra entourage e tecnici. Il clima è disteso e non sembra neppure di assistere alla sua prima volta nella venue più ambita in circolazione. Ogni tanto in un walkie talkie gracchia una voce metallica e uno degli addetti risponde: «Ok, tutto chiaro. Ehi, ti cercano ai camerini». Non c’è via vai, non c’è la frenesia che di solito si respira nel dietro le quinte. Fra le panche sotto i gazebo, mimetizzata tra gli addetti ai lavori, anche la mamma dell’artista, Valentina, che rilassata fuma una sigaretta e intanto, cuore di nonna, racconta di quanto sia bello il suo nipotino Gabriel: «Devi vederlo che gambotte, ti viene da mordicchiarle». Un barboncino si aggira per i tavoli, qualcuno si avventura a mischiare nello stesso piatto lasagne, costolette e pasta al pomodoro e, in men che non si dica, l’altoparlante annuncia l’inizio dello spettacolo.
Quando tutti si aspettano l’uscita del numero uno della discografia italiana – per il secondo anno consecutivo artista più ascoltato su Spotify Italia – a fare capolino è invece DrefGold, che per una buona mezz’ora scalda un pubblico per niente infreddolito dal venticello tutt’altro che primaverile che soffia su Verona. E colpisce che, a dispetto di quel che accade solitamente a chi ha il compito di aprire, gli venga riservata una accoglienza da vera star. Tutti cantano i brani a memoria e nessuno mugugna per l’attesa ulteriore. Di contro, il rapper si muove sulla scena come se fosse in uno dei tanti club ai quali è abituato, non in un tempio che ha fatto tremare le gambe a più di un big. Ma è un po’ il leitmotiv dell’intera serata.
Quando appare lui, Sfera, l’anfiteatro si trasforma in una enorme dancefloor per quello che sembra più un rito collettivo che un concerto, un amplesso amplificato per 12 mila persone. Sfera si presenta supportato da enormi ledwall dove scorrono le immagini che caratterizzano ogni suo pezzo (dai soldi alle donne, dalle auto di lusso agli artisti con i quali ha collaborato), talvolta contornato da ballerini, oppure con il supporto di ospiti come Anna, Rkomi e DrefGold, ma per la maggior parte della performance è solo: lui e la gang che lo ha portato fino alla vetta. D’altronde ripeterà spesso: «Mi volete ancora Verona?». La risposta è scontata, ma si percepisce il bisogno di sentirselo ripetere, sempre più forte, come se fosse una festa per celebrare un risultato di squadra.
La prima parte dell’esibizione è più intima, minimale, quasi confidenziale. Scorrono i brani più famosi, quelli che lo hanno consacrato, come Cupido, Mademoiselle, Ricchi per sempre e Rockstar. Ma non mancano alcuni cult che il suo pubblico accoglie con ovazioni di giubilo, tra i quali Tesla e Bottiglie privé (con tutta l’Arena illuminata solo dalle luci dei cellulari). A un certo punto, tanta è l’immedesimazione dei presenti, che in pochi si accorgono che durante Gelosa l’artista non è neppure in scena e, nonostante il brano venga diffuso dagli altoparlanti, tutti cantato e ballano come se nulla fosse. Succederà ancora, ma stavolta con Sfera che annuncia di voler mettersi alla pari della sua gente. «So che non sarebbe giusto, ma voglio appoggiare il microfono a terra e sarete voi a cantare».
Nella seconda parte dello spettacolo, invece, cambia il mood e la partenza mette subito in chiaro cosa ci aspetta. È Anna ad aprire le danze con Cookies n’ Cream e il padrone di casa la accoglie definendola «la queen dell’hip hop italiano». Trap, rap, drill, urban, reggaeton. La miscela è di difficile interpretazione appoggiandosi a una sola definizione, ma è ormai un marchio di fabbrica. E quando canta “sciroppo cade basso come l’MD” sembra parlare del proprio modo di miscelare le sonorità, ingurgitate e digerite per generare un effetto ipnotico che risulta irresistibile.
Perché i pezzi si Sfera si cantano, si ballano, ma si interpretano anche. La forma onomatopeica dei testi – “fanno bu, bu, bu, tu fai bla bla bla, faccio skrt skrt skrt” (Tik Tok), oppure “e l’ho lanciata verso di te, pshh” (Cupido) – porta i ragazzi a delinearli a gesti. Una combo che si incastra con i video che finiranno sui social e li renderanno virali. E se nella prima ora ha voluto celebrare il punto di arrivo, con i pezzi più celebri del suo repertorio, nella seconda ora ripesca tra quelli che lo hanno sostenuto «quando ai live erano in dieci sotto al palco». Adesso che sono migliaia e stipati in uno dei templi della musica, vuole individuare chi ci ha creduto fin dall’inizio: «Quanti c’erano già nel 2015?». La platea esplode, ma lui se la ride consapevole che in pochi credevano che allora ce l’avrebbe fatta. Non manca poi di godersi qualche bagno di folla, su quei brani appunto che caratterizzano le origini: “La C con la mano è da dove veniamo” e tutti alzano la mano formando la lettera C e urlando “Ciny, Ciny” dedicata a Cinisello.
La chiusura, non a caso, è affidata a BRNBQ, con l’intero l’anfiteatro recita come in una messa laica: “No, mamma non preoccuparti, esco solo a farmi un giro con i bravi ragazzi” e sui volti dei presenti, nonostante ognuno tornerà alle proprie vite non sempre di successo, sembra delinearsi un senso di rivalsa che Sfera Ebbasta, più di tanti altri, è riuscito a infondere in ognuno di loro.