Quando la primavera è alle porte, mi sa che non esiste un posto migliore del quartiere Garbatella per provare a essere felici. Per chi non ha mai avuto la fortuna di passeggiare per le vie uniche del quartiere storico di Roma e volesse recuperare novantanove anni di storia, può iniziare dal giretto panoramico che fa Nanni Moretti in Caro diario. Invece per tutti quelli che sono riusciti ad accaparrarsi i biglietti già andati a ruba, non c’è occasione migliore per farsi guidare da un altro che di Roma e dei suoi quartieri se ne intende: Francesco De Gregori, che da oggi fino al 27 marzo sarà al Teatro Ambra alla Garbatella con Off the record per venti date che sarebbe più corretto chiamare appuntamenti, come quelli tra pochi amici intimi.
Il teatro Ambra, uno dei due teatri del quartiere, è quello in cui è più facile ricreare un’atmosfera intima, perché il palco è piccolino e attaccato al pubblico e infatti si instaura subito un legame tra i musicisti e i 230 posti a sedere, come se la presenza delle chitarre e del piano fosse casuale e già che son lì, perché non improvvisare qualche pezzo? Tant’è vero che la scaletta del concerto è variabile e sarà diversa ogni sera: proprio come le cene che finiscono con una strimpellata.
È questo l’obiettivo principale di Off the record e durante le prove generali Francesco De Gregori si esercita proprio a stimolare questo sentimento di vicinanza con il proprio pubblico, sveste i panni “ufficiali” del performer – cappello e occhiali scuri –, dialoga con le prime file, deride gli assoli “cafoni” di Paolo Giovenchi – che lo stesso De Gregori ha richiesto – e racconta i retroscena delle prove, lascia le luci accese «le preferisco così» in un clima molto disteso. È proprio questo sentimento di vicinanza forse il vero fulcro di tutto lo spettacolo, difatti la preghiera è quella di evitare foto o video, via i cellulari una benedetta volta, come a dire: godiamoci questa serata fintanto che dura, ancora una volta, proprio come le cene con gli amici.
Si dà il caso che alle prove generali gli amici in questione siano Paolo Mieli, Luca Cordero di Montezemolo o Giampiero Mughini, ma questo è solo un particolare, De Gregori ci scherza tra un pezzo e l’altro: «com’è? vi sta piacendo?», «diamo un taglio alla scaletta così ce ne andiamo in pizzeria?» un tema che ricorrerà più volte durante la serata «è troppo lunga la scaletta» e ironizza anche sulla scelta di inserire molti pezzi minori, una specie di test per soli fan accaniti, molto più probabilmente il bisogno di variare: A pa’, Condannato a morte, Ma che razza di città di Gianni Nebbiosi, oltre alle recenti cover di Bob Dylan Desolation row (Via della povertà) o I shall be released (Come il giorno) che lo stesso De Gregori ha tradotto.
A proposito, sulla proposta di legge della Lega, che vorrebbe un terzo di canzoni italiane trasmesse in radio, è lapidario: «è una stronzata». Le danze però si aprono proprio su Viva l’Italia, una scelta «non casuale», in cui è accompagnato dal “Coro Popolare”. Per tutto lo spettacolo c’è il supporto della band, che oltre al già citato Giovenchi, è composta da Guido Guglielminetti al basso e contrabbasso, Carlo Gaudiello al piano e tastiere, Alessandro Valle alla chitarra e al mandolino. Un elemento, quest’ultimo, che prevale (assieme ai cori) nei momenti più bucolici de La guerra o Condannato a morte.
È difficile stabilire se per un artista la dimensione come quella del piccolo teatro sia legata a un’esigenza di ritorno alle origini o se si tratti di strappo alla regola, di chi può finalmente permettersi un po’ di calma. Probabilmente si tratta di una via di mezzo, visto che il compromesso arriva con la coda di pezzi celebri, rigorosamente chitarra acustica e armonica, come da manuale ci sono Generale, La leva calcistica della classe ’68, Rimmel, e non c’è niente da fare, sono quelle che entusiasmano di più il pubblico, giudicato scherzosamente un po’ freddo dallo stesso De Gregori – si tratta pur sempre della cinica e fredda stampa, anche se piena di amici – che poi si concede un bicchiere di vino e una chiacchierata informale quando si accendono le luci in sala, metaforicamente parlando, visto che erano già accese.
Off the records è questo, una chiacchierata informale con un pilastro della musica italiana che non vuole «parlare di politica e di me stesso», proprio perché è una serata tranquilla.
Si preannuncia tutt’altro che informale invece il tour estivo, nel quale sarà accompagnato da un’orchestra di quaranta elementi, con cui presenterà i grandi successi in chiave sinfonica, questa volta in contesti molto più ampi come le Terme di Caracalla l’11 e 12 giugno sempre a Roma, per poi girare l’Italia, dal 14 giugno a Messina, il 30 giugno a Lucca, il 9 luglio a Torino e così via per tutta l’estate.