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Il live di Bombino e Adriano Viterbini è un’esperienza catartica

Tra il Niger e i Castelli Romani, tra il deserto delle tende tuareg e il laghetto di Villa Ada, i due musicisti ci ricordano che ogni tanto bisogna fermarsi e vivere momenti come questo

Foto: Nadin Cherkat

Un mescolarsi di note, corde e culture quello andato in scena sabato 10 Luglio a Villa Ada. Bombino e Adriano Viterbini hanno incrociato le chitarre regalando un concerto intenso, un rito catartico che ci ha portato in un luogo altro lontano da pandemie e problemi mondani. Nigerino di etnia tuareg uno, italiano dai Castelli Romani l’altro, la lingua musicale che parlano è in realtà simile e poggia alla lontana sull’espressione afroamericana per eccellenza: il blues.

Entrambi hanno bisogno di poche presentazioni: Bombino è ormai da anni un musicista di spicco della contemporanea scena musicale africana e più nello specifico della musica tuareg. Una cultura sempre più rappresentata sullo scenario internazionale, con gruppi come i Tinariwen, Les Filles De Illighadad, gli Etran Finatawa e artisti come Mdou Moctar e lo stesso Bombino, diventati quasi “pop”. Una presenza fissa nei festival di mezzo mondo – brandizzati proprio come “bluesmen del deserto”. È difficile non riscontrare l’influenza delle loro sonorità ipnotiche su formazioni che oggi suonano un certo tipo di musica strumentale, ad esempio gli americani Khruangbin. Ma anche su quella fetta di elettronica dall’orecchio aperto ai suoni del mondo – in Energy, l’ultimo disco degli inglesi Disclosure, uno dei singoli è proprio il brano featuring gli Etran Finatawa.

Adriano Viterbini negli anni si è costruito una credibilità internazionale come pochi altri musicisti italiani: dagli esordi grunge-blues con i Bud Spencer Blues Explosion, passando alla carriera solista fatta di una ricerca meticolosa del puro linguaggio blues (con due dischi bellissimi), per arrivare all’afrobeat-punk degli I Hate My Village e alle collaborazioni proprio con artisti maliani e tuareg: Rokia Traoré e lo stesso Bombino. Raffaele Costantino (in arte Khalab, produttore e storica voce di Rai Radio 2) lo ha addirittura definito «l’unico chitarrista tuareg che abbiamo in Europa».

Insomma le premesse ci sono tutte e il giardino di Villa Ada accoglie con un bel fresco e tante persone pronte a godersi lo spettacolo. Prima dell’entrata sul palco dei due però c’è spazio per un breve video che racconta il progetto di accoglienza SAI AIDA Roma, dedicato ai rifugiati. Voci di inclusione usa le voci delle donne protagoniste per raccontare cosa ha significato per loro il percorso di inclusione costruito all’interno del progetto. Un video realizzato per la giornata mondiale del rifugiato (il 20 Giugno), giorno in cui sarebbe dovuto originariamente andare in scena il concerto, poi rimandato per lungaggini burocratiche molto italiane.

Il palco che subito dopo accoglie Viterbini e Bombino è completamente spoglio, c’è spazio solo per quattro chitarre e due sedie; l’ingresso è silenzioso, il pubblico ci mette qualche secondo a realizzare il loro arrivo. Bombino è alto e magro, reso ancora più slanciato dalla tipica tunica tuareg a righe verticali; i capelli neri ricci da eterno ragazzo uniti al volto asciutto gli tolgono come minimo una dozzina d’anni dai quarantuno dell’anagrafe. Viterbini sfoggia una barba da lupo di mare che in qualche modo si addice tantissimo al suo percorso, quasi la manifestazione fisica della sua crescita: da prodigio con i Bud Spencer Blues Explosion a riferimento italiano (anche Europeo) della chitarra blues e non solo.

Non c’è spazio per le parole, il concerto inizia subito con l’intreccio ipnotico delle note di due chitarre acustiche – a circa metà esibizione saranno sostituite da due elettriche, il vero strumento d’elezione per entrambi. Dopo qualche arpeggio la voce di Bombino irrompe come un’entità aliena atterrata all’improvviso sul palco: un lamento meraviglioso in cui possiamo ascoltare un guazzabuglio di influenze diverse, dalla tradizione dell’Africa occidentale a quella medio-orientale per arrivare al blues afroamericano. Il taglio delle luci del palco li isola da tutto il resto illuminandoli di una luce calda, tra l’ocra e l’arancione. Sembrano sospesi in un non-luogo immaginifico, un deserto senza coordinate geografiche invaso dal barlume di un tramonto lontano. Le luci ogni tanto colpiscono la superficie satinata della chitarra di Bombino dando vita a lampi improvvisi, spade di luce che viaggiano solo per un attimo nella nutrita platea. È ormai sempre più raro assistere ad un concerto in cui i protagonisti sono solo due uomini con le rispettive chitarre, ed è una versione inedita anche per lo stesso Bombino, di solito accompagnato da una band tutta elettrica. Contribuisce ad una sensazione di irrealtà, di magica sospensione del tempo. I due sono molto affiatati e i virtuosismi impressionanti di Bombino sono sostenuti in modo eccelso da Viterbini, qui per lo più in un’inedita veste di accompagnatore svolta in modo impeccabile e con grande umiltà.

Il lirismo che emerge dalle chitarre è impressionante, sembra di ascoltare un coro di voci più che due chitarristi. Il concerto dura a lungo, sfiorando le due ore. La sensazione è che i due siano completamente a proprio agio e che potrebbero continuare all’infinito. Quando si esaurisce anche il bis richiesto dal pubblico, all’improvviso l’aria è priva di quelle vibrazioni che per la loro natura ipnotica ci erano entrate sotto pelle quasi senza che ce ne accorgessimo, rilassando i muscoli come un massaggio invisibile. Torniamo alla realtà, ma ci rimane dentro una musica senza tempo così efficace da riuscire a placare perfino la frenesia di questo periodo, un monito per noi stessi. Tra il Niger e i Castelli Romani, tra il deserto delle tende tuareg e il laghetto di Villa Ada, Bombino e Adriano Viterbini ci ricordano che è importante fermarsi e vivere momenti di catarsi come questo: uno spazio di riflessione personale ma anche e soprattutto di puro e semplice sollievo scevro dal rumore di fondo delle nostre vite.

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