Il senso di Slash per il blues: siamo stati al S.E.R.P.E.N.T. | Rolling Stone Italia
Preaching the Blues

Il senso di Slash per il blues: siamo stati al S.E.R.P.E.N.T.

Saul predica ai non convertiti. A Los Angeles per assistere al festival itinerante voluto dal chitarrista che, lontano dagli stadi, suona cover scontate per gli appassionati, ma non per i fan dei Guns N’ Roses

Il senso di Slash per il blues: siamo stati al S.E.R.P.E.N.T.

Slash dal vivo al Greek Theatre di Los Angeles

Foto: Enzo Mazzeo

Non si capisce bene cosa faccia Slash per avere tutta quell’energia a quasi 60 anni. Non si ferma mai. Se consideriamo soltanto gli ultimi otto anni di vita, chiunque altro si sarebbe accontentato di essere fra i principali protagonisti di una delle reunion più redditizie di tutti i tempi. Lui no. E infatti tra una pausa e l’altra del tour dei Guns N’ Roses (che riempie stadi ininterrottamente dal 2016) ha rispolverato a più riprese il progetto Slash ft. Myles Kennedy & The Conspirators e con loro ha pubblicato un paio di album.

Terminato l’ultimo ciclo di concerti con questi ultimi (che a loro volta erano partiti appena i Guns avevano archiviato un altro giro del mondo), Slash che fa? Pubblica un nuovo album solista (Orgy of the Damned uscito pochi mesi fa ed entrato nella top 5 di alcuni Paesi europei) insieme a gentaglia come Brian Johnson (AC/DC), Steven Tyler (Aerosmith), Iggy Pop, Billy F. Gibbons (ZZ Top), Paul Rodgers e via discorrendo. Il disco ha poi ispirato un altro progetto che il chitarrista aveva in mente da tempo: un festival che celebrasse la sua grande passione per il blues.

Il Greek Theatre di L.A. Foto: Enzo Mazzeo

 

Foto: Enzo Mazzeo

Ecco dunque prendere forma il S.E.R.P.E.N.T. Festival, ovvero Slash e la sua Blues Ball Band (Johnny Griparic al basso, Teddy “ZigZag” Andreadis a tastiere e voce, Michael Jerome alla batteria e Tash Neal a chitarra e voce) e una manciata di star del rock-blues e non solo: la Warren Haynes Band, Keb’ Mo’, Christone “Kingfish” Ingram, Robert Randolph, Samantha Fish, Eric Gales, ZZ Ward, Jackie Venson e Larkin Poe. S.E.R.P.E.N.T. sta per Solidarity Engagement Restore Peace Equality N’ Tolerance, un richiamo alle tante belle iniziative benefiche alle quali verrà devoluta una parte degli incassi del tour.

La formula di ciascuna delle date in cartellone è la medesima: aprono alcune star del blues accuratamente selezionate da Slash stesso, chiudono lui e la sua band. A Los Angeles, allo storico Greek Theatre, salgono sul palco nell’ordine Eric Gales, Samantha Fish e Warren Haynes (raggiunto sul finale da Slash per un’infuocata versione di Soulshine degli Allman Brothers). Tra il pubblico noto gente di ogni età, tra cui ovviamente una corposa rappresentanza di fan dei Guns N’ Roses che non sembra troppo in confidenza con il repertorio proposto.

Lo stesso Slash non concede alcun richiamo al passato. E a parte Metal Chestnut, uno strumentale in cui il chitarrista sfodera il suo inconfondibile stile da sempre votato al blues, tutti gli altri brani in scaletta sono cover di altrettanti artisti leggendari. Spiccano Killing Floor di Howlin’ Wolf, primo singolo del disco in cui Slash duettava con Brian Johnson e Steven Tyler, che qui viene riproposto con un groove pazzesco da una band micidiale, Papa Was a Rolling Stone dei Temptations (forse il brano in scaletta più conosciuto dal pubblico generalista) e soprattutto Cross Road Blues (o Crossroads) di Robert Johnson, che su disco veniva eseguito con Gary Clark Jr. mentre qui vive grazie alla classe e al talento dei musicisti sul palco.

Slash con Eric Gales. Foto: Enzo Mazzeo

Slash con Warren Haynes. Foto: Enzo Mazzeo

Teddy “ZigZag” (vecchia conoscenza di Slash, suo collaboratore da decenni, già tastierista dei Guns N’ Roses dell’era Use Your Illusion) e Tash Neal, un vero portento, si dividono le parti vocali. Quest’ultimo, in particolare, spicca in quanto a stile. Anche visivamente, ricorda un Lenny Kravitz indemoniato. Eric Gales viene richiamato sul palco per una versione di Stone Free di Jimi Hendrix pazzesca, ma la vera sorpresa della serata arriva quando viene annunciato Chris Robinson dei Black Crowes. Il cantante originario di Atlanta, da anni trapiantato a Los Angeles, canta e suona l’armonica nel brano di apertura di Orgy of the Damned, ovvero The Pusher di Hoyt Axton. «He blew my fucking mind», annuncia Slash presentandolo. E al Greek Theatre si ricrea la stessa magia.

Slash, che ha sempre detto di aver cominciato a suonare la chitarra per nascondervi la sua timidezza, parla pochissimo, quasi per niente. Lascia al ben più esuberante ZigZag il compito di dialogare col pubblico. Il corpulento tastierista/armonicista introduce le canzoni, svela piccoli aneddoti e racconta come è nata questa band: «Io e Johnny Griparic suonavamo sempre alle jam del mercoledì sera del Baked Potato (storico jazz club di Los Angeles, nda) e Slash di tanto in tanto veniva a farci compagnia sul palco. L’idea di mettere insieme questo progetto nasce allora».

Il set si chiude con Shake Your Money Maker di Elmore James, eseguita con l’apporto dell’armonicista Les Stroud: la sintesi perfetta di una serata senza orpelli e senza una singola nota fuori posto.

Slash e Chris Robinson. Foto: Enzo Mazzeo

La Blues Ball Band. Foto: Enzo Mazzeo

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