È così pieno di musica e festival musicali in Puglia d’estate perché c’è tanta gente, o c’è così tanta gente in Puglia perché d’estate è pieno di musica e di festival musicali? Ci vorrebbe una ricerca demoscopica seria, per venire a capo di questo interrogativo. E forse nemmeno quella basterebbe – perché le variabili in campo sono troppo ampie. Ma una cosa è sicura: la Puglia è diventata una delle capitali d’Europa per la musica estiva, punto. C’è tanto, di tutto, in qualsiasi momento. La cosa davvero interessante però è: c’è tanto, e tanto di questo è fatto con criterio. Davvero con tanto criterio. Criterio, gusto, visione, capacità di guardare in avanti.
Sembra infatti preistoria il momento in cui ci si doveva affidare quasi solo al pittoresco (e spesso sconfortante…) network degli eventi-in-piazza-del-sindaco, parate da Strapaese doveva furoreggiavano sul palco bollitissime (ex) stare sanremesi e televisive. L’alternativa erano i grandi nomi del pop e del rock che venivano a fare la loro puntata estiva e poi, da fine anni ’80 e soprattutto negli anni ’90, la progressiva giamacainizzazione del Salento, lu reggae ovunque, concerti degli Africa Unite da diecimila persone come se piovesse, dancehall illegali fra le dune e le rocce. Oltre, naturalmente, all’esplosione della pizzica, world music per le masse turistiche in cerca di tipicità pronto-uso.
Sarà per i soldi intercettati dall’Unione Europea (e usati molto per musica e cultura, e non per forza la musica che piace a Franceschini), sarà per l’istituzione conseguente di Puglia Sounds, sarà soprattutto perché cambia il mondo, ma ora il panorama è molto, molto, molto più sfaccettato e raffinato. Ad esempio, andando a restringere l’obiettivo sulla musica che più e meglio rappresenta oggi l’ascoltatore giovane e medio-giovane sofisticato e attento, ovvero quella galassia che nasce attitudinalmente dalla club culture (un tempo la dance elettronica era Gigi Dag e i calcinculo, oggi è un multiforme esperanto che attrae tanto i tamarri quanto i più snob e gli chic, unendoli), il 2022 è stata una manna dal cielo. La storica rassegna Locus (un po’ festival concentrato in pochi giorni, ma soprattutto rassegna spalmata su più di un mese) ha tirato fuori un programma ricchissimo; ciò che è nato da una sua costola, Viva! Festival, ha tirato fuori la sua edizione migliore di sempre sotto tutti i punti di vista (e qui ora ne parliamo per bene); il festival più danzettaro, Polifonic, con la sua ricetta di unire ricerca nel dancefloor, vip fighetti della moda e massa bruta danzante, ha sbancato nei numeri (e questo lo ha portato a subire vari disservizi logistici, ma sono crisi di crescita che si risolveranno); e poi c’è anche un reticolo di festival minori per dimensioni ma molto significativi come contenuti e come coraggio artistico (Sparks, Fuck Normality, Clubintown). Senza contare l’infernale imbuto Gallipoli, che a Ferragosto e dintorni ospita tutti i dj più attira-folle e vendi-biglietti del mondo in campo techno e house. In questo panorama rigogliosissimo, l’esempio per tutti dovrebbe essere Viva! Festival in questa edizione anno 2022. Chi c’era, sa: è stato un festival perfettamente organico. Ha dato, a chi c’era, una sensazione di benessere che poche volte ci è capitato di incontrare negli anni. Liberatosi dalla partnership benefica ed al tempo stesso ingombrante col torinese Club To Club (che imprimeva forte il suo marchio intellettual-sabaudo), la line up ha assunto colorazioni musicali più calde, aperte e meno concettuose o snob-sofisticate: i Moderat sono il gruppo di elettronica-da-stadio che però non vuole suonare negli stadi per non diventare retorico (e fa bene: resta umano), centrando sempre l’obiettivo di fare felici le persone; la Cinematic Orchestra suona sempre lo stesso concerto da quindici anni, ma accidenti se è bello; Floating Points e Jon Hopkins in versione dj pestano ben di più di quando fanno i producer, ma non perdono in classe e capacità di emozionare. Questi sono i nomi che la frangia più avant degli appassionati di elettronica taccia ormai di eccesso di paraculitudine, ma la realtà dei fatti è che oggi sono il punto di equilibrio e di caduta migliore per l’intersezione fra ricerca e comunicatività, capacità di coinvolgere. Punto. E a Viva! l’hanno dimostrato eccome. Eccellente il supporting cast: dagli italiani Bluem e LNDFK, ammalianti entrambi, a quella bomba di energia (l’unico momento fuori controllo) di Slowthai, da fuoriclasse del deejaying come il vecchio maestro Gilles Peterson al non-più-giovane Hunee, in grado di suonare ogni genere ballabile possibile immaginabile, all’accoppiata sugosissima Alfa Mist e Kokoroko. Unica concessione alla presammale è stata Tirzah (infatti sembrata in parte fuori contesto, anche se interessante), mentre dell’ennesimo bidone di Mos Def aka Yasiin Bey – che due giorni prima del concerto ha dato forfait per “Motivi famigliari” manco fosse uno studente delle superiori che si firma le giustificazioni da solo, col suo dj che era già arrivato al festival e il suo management che continuava a fare richieste tecniche e logistiche – non se n’è accorto quasi nessuno.
Risultato finale di tutto questo, una edizione da record: 15mila presenze dicono gli organizzatori, forse in realtà un paio di migliaia in meno ma numeri delle edizioni precedenti letteralmente polverizzati. Qui arriviamo al punto fondamentale: questa crescita numerica è stata assorbita benissimo. È qui che Viva! ha vinto davvero. I Moderat avrebbero potuto portare ben più delle 5000 persone che hanno portato, gli spazi della Masseria Grofoleo dove è montato il palco del festival avrebbero potuto infatti accoglierne il doppio, ma si è scelto appunto di essere organici. Viva! è il festival della gente adulta, dell’appassionato di musica e di elettronica trenta-quarantenne che vuole un’esperienza educata e di qualità, in un luogo di grande bellezza (avere Locorotondo sullo sfondo, guardando il palco, è un’esperienza a metà tra il mistico e il favolistico). Ha senso quindi limitare la capienza. Tolta qualche fila per sulla viabilità ordinaria per accedere nel primo giorno (con un paio di aggiustamenti, poi tutto è filato liscio), Viva! è stata per tutti un’esperienza rilassante e comoda come non mai. C’erano solo serenità e sorrisi, in giro; e c’era pochissima ansia di apparire ed instagrammarsi, un cancro silenzioso che invece sta rovinando la vibe di moltissimi eventi legati all’elettronica nell’ultimo quinquennio, da quando il mondo della moda ha scoperto quanto è bello e strafare. A Viva!, no. Qualche vip c’era (ad un certo punto qualcuno dice di aver avvistato perfino Damiano dei Måneskin, ma non è importato a nessuno fosse vero o no), qualche influencer c’era, ma la cosa non era in alcun modo percepita come rilevante e, soprattutto, non c’era modo di salire sul palco o in qualche privé in bella vista, per far vedere quanto si è vincenti&importanti.
È stato davvero rigenerante, Viva!. Ponendosi come festival sofisticato ma non elitario, gioioso ma non euforico, sereno ma non radical-chic, dance ma non troppo, da dj ma anche da live, ha toccato davvero le corde emozionali giuste. Lo si poteva capire anche dall’atmosfera che c’è stata nel giorno extra, la domenica, quando in un party ad accesso riservato Nicola Conte, Tiger&Woods e l’ottimo eroe locale Z.I.P.P.O. hanno creato festa vera, ristretta ma vera; e lo si è capito anche dalla sorprendente partecipazione, per numero ed attenzione, ai talk ad ora aperitivo per quattro giorni di fila. Così come, per chi ci lavorava dentro (da artista, da conferenziere, da sponsor), è stato bello trovare una forza lavoro preparata, disponibilissima, sorridente, al tempo stesso mai snob e pretenziosa. Insomma, sono tante le Puglie festivaliere possibili: da quella di Kalkbrenner al Parco Gondar dove s’ammucchia l’universo a quella dei vip della moda che ballano dance sperimentale dilatandosi le pupille e le Stories di instagram. Ma la Puglia elettronica-ma-non-troppo di Viva! è forse davvero la più calibrata, se cercate una esperienza a trecentosessanta gradi e non (solo) la folla, o le nicchie, o l’esclusivo, o la ricerca, o il caravanserraglio.