In un mondo di ‘Sesso e samba’, scegliete il Punkt | Rolling Stone Italia
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In un mondo di ‘Sesso e samba’, scegliete il Punkt

Siamo stati al festival norvegese dove la musica è centrale e non c’è alcuna distanza tra artisti e pubblico. Tre giorni che diventano una boccata d’ossigeno dall’industria musicale ammalata del mainstream

In un mondo di ‘Sesso e samba’, scegliete il Punkt

Arve Henriksen in concerto con Jan Bang

Foto press

Una cosa che ho imparato negli anni di militanza dentro e fuori (ma anche di lato) l’industria musicale è non credere mai ai comunicati stampa. E soprattutto all’uso di parole come unico, singolare, peculiare. O ancora sperimentale e sperimentazione. Peggio ancora, comunità e famiglia. Nulla mi vogliano gli uffici stampa e i reparti marketing, ognuno prova a vendere quello che può in un’epoca di bombardamento di informazioni e post verità, ma semplicemente certe parole, termini e concetti hanno perso – o stanno perdendo – di valore (se mai, alcuni di essi, ne abbiano mai avuto nella sfera musicale).

Il fatto che attorno al Punkt (che significa punto), festival norvegese che gioca sul filo sottile tra jazz, avanguardia e elettronica, i termini sopracitati siano utilizzati, piuttosto che dalla comunicazione del festival in sé, dai giornalisti e dai musicisti che ne hanno preso parte nei suoi vent’anni di storia, è qualcosa di raro. Andare a osservare queste balene bianche è dunque doveroso.

Così con paio di aerei sono arrivato a Kristiansand, una delle città più a sud della Norvegia (da non confondere con Kristiansund che dista quasi 900 metri più a nord) dove i coraggiosi fanno ancora il bagno a settembre anche se il mare ha la temperatura pungente dei ruscelli di montagna, per capire se la creatura dei due musicisti locali Jan Bang e Erick Honoré – qui nella doppia vesta di organizzatori e performer – era davvero un oggetto unico nel panorama dei festival estivi europei. Spoiler: sì, lo è.

Alva Noto e Nils Petter Molvær live. Foto: press

Cosa ci porta ad andare a un festival? A volte è un nome su un cartellone. Altre la specialità geografica o estetica delle location. Altre ancora l’atmosfera. Chi si avventura fino a Kristiansand, ad esempio, va in particolare modo per quest’ultima ragione, alla ricerca di un’oasi. Certo i nomi intriganti in programma ci sono, come Alva Noto, uno dei grandi dell’elettronica contemporanea, celebre sia per i suoi lavori come solista che per le sue collaborazioni (una fra tutte quella con Ryuichi Sakamoto che portò a 6 album collaborativi e 3 album live oltre alla colonna sonora del pluripremiato Redivivo di Alejandro Iñárritu, che valse alla coppia le nomination ai Golden Globe e ai BAFTA), o David Toop, musicista d’avanguardia, ricercatore sonoro e grande firma della saggistica musicale (il suono Oceano di suono è un cult della letteratura sonora), o Nils Petter Molvær, il trombettista norvegese (quest’anno artista in residenza del festival) che con il suo album Khmer, in quest’edizione del Punkt risuonato per i suoi 25 anni, ha venduto oltre 250 mila copie nel mondo; ma il vero core del festival non è il cartellone – non c’è bramosia di una line up pirotecnica – ma il rapporto tra musicisti che si crea in quello che ben presto scopriamo essere un ecosistema musicale libero che del jazz mantiene solo una certa inclusività.

Le prime due mattine del festival si parte con i seminari, in collaborazione dall’Università di Agder, curati da David Toop: tre performance/talk a giorno di artisti del mondo dell’avanguardia che aprono la scatola nera del proprio processo creativo. Tra il pubblico: curiosi, studenti, ma anche alcuni degli altri musicisti in programma, come lo stesso Alva Noto. Ogni seminario è seguito da una breve pausa dove davanti a un caffè ci si scambiano idee, informazioni, intuizioni. Perché il Punkt è soprattutto questo: scambio.

Anche durante le tre serate del festival lo scambio, inteso come collaborazione, influenza, ispirazione è il tema principale. Un’altra unicità del festival, infatti, sono i Live Remix. Provo a spiegarveli. Sul palco principale si ha il concerto nella sua forma originale. Durante la performance i suoni vengono registrati e mandati, in diretta, a dei musicisti in un altro palco. Appena terminato il concerto originale, il pubblico raggiunge i remixer nell’altro stage per ascoltare una versione “rivista” del live. La libertà per chi remixa è totale, dalle tecniche scelte di rielaborazione al livello di fedeltà con quanto accaduto main stage. Così i musicisti del palco principale, appena terminato il concerto, scappano a vedere come la loro musica verrà ripensata, rivista, remixata. L’effetto? A fine serata il bar del teatro in cui avviene il Punkt è un proliferare di piccoli nuclei intenti a discutere e conversare su quanto appena avvenuto. E sì, ci sono i musicisti, i remixer, il pubblico. Nessuno è escluso dalla conversazione.

David Toop e Alva Noto in conversazione. Foto: press

Se i musicisti sono diventati, sempre più, qualcosa con cui possiamo confrontarci in modo unicamente unidirezionale, il Punkt propone un approccio completamente diverso, paritario, ul cui risultato è un pubblico di persone, giornalisti, musicisti. Non ci sono aree vip, backstage esclusivi, pit e super pit. Nessuno è avvantaggiato, o privilegiato, o, se vogliamo vederla in altro modo, tutti lo sono. E così ci si può trovare a scambiare opinioni sulla musica elettronica con uno che sul tema ha qualcosa da dire come Alva Noto o a filosofeggiare sulla musica in sé con qualcuno che ne ha fatto la sua vita come David Toop. O ancora a conversare sul tema della comunità e della connessione tra musicisti con chi questa macchina l’ha fatta partire 20 anni fa, Jan Bang, che sorridente afferma che «la musica è prima di tutto una questione umana, di persone».

In un certo senso fa strano vedere in un festival dal respiro internazionale, per quanto poi ristretto nei numeri, questo senso di comunità. E ve lo dice qualcuno che, solamente quest’estate, è stato in una decina di festival estivi, enormi o minuscoli che fossero. Il fatto che il Punkt sia organizzato da due musicisti e, aggiungiamo, da musicisti rispettati nell’ambiente (qui, per affetto, stima e collaborazione, sono passati anche Brian Eno, Laurie Anderson, David Sylvian), è probabilmente la chiave. Il Punkt è infatti un festival per i musicisti, più che per il pubblico. E questo lo si percepisce dalla presenza dei musicisti che travalica le loro performance («Laurie Anderson non se ne perse uno; né un seminario, né un live remix, né un concerto», mi racconta Jan ancora emozionato), ma anche da un’esperienza festivaliera ridotta al minimo indispensabili (si compra il biglietto, si guardano i concerti; niente più, niente meno). Ma questo, per paradosso, diventa un surplus anche per l’audience che non solo si gode concerti con contaminazioni e collaborazioni uniche, ma ottiene anche l’opportunità di confrontarsi a tu per tu con gli artisti, entrandoci in relazione e conversazione.

Il seminario di Tomoko Hojo. Credit: press

La collaborazione è una caratteristica fondamentale nella musica, ma soprattutto negli ultimi anni il modo in cui noi ne usufruiamo non è forse il più virtuoso. Il mondo del mainstream, quello che oggi raccoglie pop, trap (o urban in generale) e una certa elettronica (EDM), ad esempio, ha una chiara visione di questo concetto. Lo si è visto nel recente biennio con un’infilata di album collaborativi, ma anche e soprattutto una serie di dischi (in particolare nel pop e nell’urban) che sembrano più delle compilation per la quantità di featuring presenti. E se l’ingenuità potrebbe far credere che ci sia un grande spirito umano in queste scelte, la realtà è spesso più brutale e la collaborazione non è che un tentativo di moltiplicare gli stream unendo diverse fanbase.

In altri ambienti, come il jazz, l’avanguardia, l’elettronica “colta”, il sostrato sonoro del Punkt, collaborare ha un altro significato. Significa esserci, supportarsi, contaminarsi. Ma anche aprirsi, condividere informazioni all’esterno, divulgare un’arte al di fuori della propria cerchia. Così abituati all’approccio economico della collaborazione, respirare un clima di reale complicità musicale come quello del Punkt ha un effetto di riconciliazione con un sistema sempre più ammalato. Il Punkt non è, e per dimensioni non può essere, il rimedio a questo veleno, ma è una finestra aperta per ricordarci il potere della musica sia a livello culturale, che umano e comunitario.

In un mondo di Sesso e samba, scegliete il Punkt.

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