“Luce guida” doveva essere e “luce guida” alla fine è stato. È proprio Guiding Light, tratto dall’ultimo disco della band, Delta, ad aprire il concerto di Milano. E l’idea di una luce superiore in grado di condurre “anche quando non ci sono stelle in vista” guida l’intero set del Mediolanum Forum in un percorso che da Sigh No More a Delta fa emozionare, saltare e a tratti anche commuovere. Si inizia alle 21.30 in punto, quando Marcus, Ben, Winston e Ted salgono sul palco. “Circolare come quello dei Metallica”, si sente commentare in parterre, ed è vero, anche se sarà il primo – e unico – punto di contatto tra le due band.
Quindi via con Guiding Light appunto. Poi arriva Little Lion Man, manifesto del loro primo album, come a dire: “Ehi, siamo ancora noi, siamo ancora quelli del 2009”. C’è già chi è contento così, come sempre il confine tra passione e culto è labile, ma il meglio deve ancora venire.
Pur non essendoci traccia di leziosità scenografiche, alla vista l’ambaradan risulta decisamente piacevole: ad accompagnare la band solo enormi plafoniere che alternano le tinte e la distanza dal cielo con lo scopo di aumentare i giri o al contrario rendere più intima l’atmosfera. È la volta di Holland Road, The Cave e Beloved. L’avvicendamento dei brani prende il largo, toccando l’intera discografia in un turbinio infinito di violini, violoncelli, chitarre e, ovviamente, il tanto amato banjo, meno dominante nei brani più recenti ma sempre chiave di volta per incendiare i cuori e liberare mani e piedi.
Su Lover of the Light, l’aria si colora di rosso e la passione per la musica divampa. Marcus torna al suo primo amore: la batteria. E dimostra, per l’ennesima volta, la sua poliedricità. La temperatura è quindi abbastanza elevata per Tompkins Square Park. Si balla. Poi il Forum “fornisce le luci” (quelle degli smartphone) per Believe: si sale e si scende, ci si accende e spegne, si ascolta e si canta.
Ditmas fa il miracolo. A metà brano, sempre Marcus – voce e frontman del gruppo – si lancia in mezzo alla sua gente che lo tocca, stringe, bacia. Canta a pochi centimetri dal suo viso. Lui corre, sale le scale, corre ancora, poi riscende. Torna sul palco dopo il bagno di folla: il trentaduenne inglese nato in California è ancora uno a cui piace fare quel che fa.
Il set prosegue: la scelta ricade su Slip Away, Picture You e Darkness Visible. I brani di Delta invece sono più intimi ma non trascinano. Non del tutto almeno: convincono a metà nonostante la contaminazione tra generi sia forte e apprezzata soprattutto dai fedelissimi.
Poi, arriva The Wolf. E sembra che sia tutto lì. Ma non è così. I Mumford & Sons tornano sulla scena che li ha visti protagonisti e regalano Blood, cover dei The Middle East, insieme ai Gang of Youths. Segue una Forever da brividi: i quattro sono al centro – la percezione è che i loro piedi siano incastonati sul mediano del mondo – un centro dal quale si propaga una voce leggera ma potente e il suono inconfondibile del pizzicato di corde. Dopo Awake my Soul, una saltellante I Will Wait – il pezzo che mette sempre tutti d’accordo – e Delta, è ora di levare le tende.
Ciao Mumford, ciao Sons. Che la luce sia con voi.