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La settimana poco santa dei Mötley Crüe a Los Angeles

La band s’è fatta scaricare da un camion della nettezza urbana di fronte al Troubadour per dare il via al primo di tre concerti speciali a Hollywood (prezzo 19,81 dollari: dice qualcosa?). Miglior cartello: “I’ll show you my dick for your stick”. Ah, c’è stato anche un battesimo metal. Noi c’eravamo

Foto: Enzo Mazzeo

All’indomani del primo dei tre concerti speciali che i Mötley Crüe hanno fatto a Los Angeles in questo inizio di ottobre, i commenti che girano in rete sono essenzialmente riconducibili a tre tipologie di persone: quelle che si limitano a riportare i fatti, quelle che sono fondamentalmente invidiose di non esserci state e quelle che, invece, guardano qualche video amatoriale e fanno la solita analisi tecnico-etico-sociologica della serata. «Vince Neil cantava male già nel 1985», «ma non si erano ritirati?», «usano tracce pre-registrate», «John 5 è un bravo chitarrista, ma rivogliamo Mick Mars».

Tra i presenti al Troubadour, invece, l’eccitazione è palpabile e del concerto se ne parla in termini trionfalistici. Ci sono gli immancabili nostalgici dell’hair metal di ogni età, i curiosi desiderosi di provare l’ebbrezza di godersi una band di grossa fama in un piccolo locale e ovviamente familiari e amici della band. Vedo addirittura una coppia che entra con un neonato. Il pargolo si chiama Crue (o Crüe, non sono sicuro della presenza dell’umlaut). L’esagitato papà, posizionato nelle prime sudatissime file, a più riprese lo alza di fronte al palco, cercando di attirare l’attenzione della band, finché un incredulo John 5 lo prende in braccio e lo battezza sull’altare del rock.

Soltanto qualche settimana prima, sui pali della luce delle strade qui intorno comparivano manifesti dalle grafiche rétro con le linguette ritagliate, quelli che ai tempi d’oro del Sunset Strip servivano a pubblicizzare i concerti delle band che si autopromuovevano. “Mötley Crüe Höllywood Takeöver” si leggeva su sfondo rosso, blu o giallo, per altrettanti locali leggendari: Whisky a Go Go, Roxy, Troubadour, nomi ricorrenti per chi mastica rock, soprattutto quello più bombastico e indissolubilmente legato agli anni ’80, di cui i Mötley sono stati tra i padri fondatori.

In breve tempo quei manifesti sono diventati materia di collezionismo, la gente li strappava dai pali, il passaparola si diffondeva e l’hype saliva a dismisura. I Mötley Crüe stavano per tornare a Hollywood e la parola d’ordine era una sola: esserci. Ma quando? E come?

 

Foto: Enzo Mazzeo

Il 10 settembre la band ha annunciato finalmente le date di questo atteso mini-tour losangelino: Troubadour il 7 ottobre, Roxy il 9 e Whisky l’11. Una settimana all’insegna dei bad boys californiani, con i biglietti messi in vendita qualche giorno dopo, sabato 14 settembre alle 10 del mattino, alle casse dei rispettivi locali. Il prezzo? 19,81 dollari precisi, un chiaro tributo all’anno di fondazione della band. Inutile dire che le file per accaparrarsi i preziosi tagliandi sono state epiche.

Per un biglietto dello show del Whisky c’era gente accampata fuori dal locale già dalle prime luci dell’alba del giorno prima: ombrelloni, tavoli, sedie, scorte di viveri e via. La sera del venerdì le strade della zona erano invase di giovani e meno giovani, fan accaniti e anche qualcuno intenzionato a specularci. Centinaia di persone accampate tutta la notte che nemmeno avevano la certezza di riuscire ad acquistare un biglietto, visto che nessuno sapeva quanti ne avrebbero venduti. Un centinaio? Duecento? Trecento? Le capienze già ridotte dei tre locali (circa 500 persone in condizioni normali) sarebbero state messe a dura prova dall’ingombro della strumentazione stessa della band e da una guest list che si preannunciava corposa.

Fast forward e torniamo alla serata del Troubadour: già molte ore prima del concerto, davanti al locale ci sono i fortunati possessori dei biglietti, quelli che cercano di acquistarli da chi ne ha da vendere e altri che stazionano lì intorno sperando di sbirciare qualcosa. Mi imbatto in un biker del Colorado atterrato a Los Angeles quella mattina senza biglietto e ne ha appena comprato uno da un tizio in fila. «Mi è costato una fortuna, ma volevo esserci».

A un certo punto la scena che nessuno si sarebbe aspettato, nemmeno da una band che alle mosse eclatanti ci aveva già ampiamente abituati: pochi minuti prima dell’inizio del concerto arriva un camion della nettezza urbana e si posiziona davanti al locale, si apre il portellone posteriore e cadono sull’asfalto quelli che sembrano sacchi dell’immondizia. Dai sacchi però spuntano Tommy Lee e poi, a seguire, John 5, Vince Neil e Nikki Sixx. La band entra nel locale dalla porta principale. Applausi.

Lo show comincia sulle note di Primal Scream e, a seguire, vecchi cavalli di battaglia come Too Fast For Love e Looks That Kill, hit come Dr. Feelgood, Girls, Girls, Girls e Kickstart My Heart e anche i nuovi singoli Dogs of War e la chiacchierata cover di Fight for Your Right dei Beastie Boys. La scaletta è in realtà piuttosto prevedibile, inclusa la medley di cover: Rock and Roll, Part 2 / Smokin’ in the Boys Room / Helter Skelter / Anarchy in the U.K. / Blitzkrieg Bop. Rispetto alle ultime performance del gruppo, c’è più coinvolgimento da parte di tutti. Ci sono i soliti cali di voce di Vince, qualche sbavatura, ma sembra non importare a nessuno: il Troubadour è un catino rovente e c’è l’atmosfera delle grandi occasioni. La gente salta, si dimena, canta e mi arrivano in faccia anche un paio di birre. Si nota un calo di intensità (prevedibile) solo durante Gods of War, il resto è delirio puro.

 

Foto: Enzo Mazzeo

Sixx suona ma soprattutto intrattiene, e di tanto in tanto racconta aneddoti: «Io, Tommy e Vince vivevamo in un appartamento vicino al Whisky a Go Go. Un giorno loro due entrarono in casa mentre io suonavo questo brano alla chitarra acustica, e mi chiesero cosa stessi facendo. Risposi che cercavo di rubare gli accordi di All the Young Dudes dei Mott the Hoople. Due giorni dopo ci saremmo esibiti proprio qui al Troubadour». Tommy, dal canto suo, è straordinariamente composto. Pesta sui tamburi e si limita a quello. Non viene davanti nemmeno per il suo solito siparietto, quello in cui incita la popolazione femminile in sala a denudarsi. Un ragazzo sventola per tutta la sera un cartello con una proposta inequivocabile, rivolta proprio al batterista: “I’ll show you my dick for your stick”. Tommy non coglie. O forse fa solo finta di niente.

Quando leggerete queste righe la band avrà già portato a termine anche il concerto del Roxy e si appresterà a chiudere in bellezza venerdì al Whisky, il locale che forse più di tutti la rappresenta e dove tutto era iniziato. Proprio quest’anno si festeggia il 35esimo anniversario di Dr. Feelgood, e nel video di uno dei brani più rappresentativi di quel disco, l’intramontabile Kickstart My Heart, i Crüe vengono accolti in trionfo proprio al Whisky, dove arrivano a bordo di una limo guidata da Sam Kinison.

Nel frattempo, le celebrazioni continuano: il Rainbow Bar & Grill ospita un pop-up store aperto tutto il giorno e la catena di pizzerie Prince Street Pizza offre una combo 4 gusti, ognuno dedicato a un membro della band. E poi ancora la residency di Las Vegas annunciata in questi giorni e programmata per marzo e aprile 2025. Altro che pensionamento. Questi pare che facciano sul serio.

Foto: Enzo Mazzeo

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