Coldplay, la recensione del concerto allo Stadio Maradona di Napoli | Rolling Stone Italia
Nu buono guaglione

La sostenibile leggerezza dei Coldplay a Napoli

Da ‘Viva la Vida’ a “oi vita, oi vita mia” il passo è breve. Musica, effetti scenici, sensibilizzazione ambientale, Chris Martin che celebra lo scudetto e canta Pino Daniele: ecco come gli inglesi hanno conquistato il Maradona

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Chris Martin coi Coldplay a Napoli

Foto: Loredana Desiato

Di spettacolo ce n’è stato parecchio, negli ultimi tempi, sul prato dello stadio Diego Armando Maradona. Guidati dai balconi ostinatamente azzurri e aggettanti sulla strada che dalla tangenziale conduce a passo d’uomo a Fuorigrotta, si fa fatica a pensare di essere diretti lì per un altro tipo di festa. Eppure l’evento musicale di questa primissima estate partenopea ci parla anche e soprattutto di questo, un’occasione cruciale per saggiare quello che il sindaco Manfredi ha definito «un ritrovato appeal internazionale», volano di sviluppo economico e culturale per tutta la città. Un’occasione per guardare oltre la comfort zone di certe immagini stereotipate e per reclamare lo status di centro nevralgico europeo.

Per chi scrive, una sfida a rinunciare ai luoghi comuni e alla narrativa del miracolo e del riscatto. In fondo si tratta di entertainment, non è la mano di Dio. Ma è entertainment di altissimo livello; deve riconoscerlo anche chi non si professa fan dei Coldplay e anzi si chiede a gran voce, alternando autoradio e navigatore: valeva la pena venire a sfidare la sorte alla ricerca di un parcheggio?

Tutto sommato sì, valeva la pena. Perché senza assistere al primo dei due live napoletani di Chris Martin & co. non si coglierebbe il senso di una Festa della musica che proprio attorno a questo evento è imperniata. Perché l’impatto scenografico è di prim’ordine, tanto da farci reimmaginare in senso multimediale lo spazio circostante del vecchio San Paolo. Infine, perché seppur relativamente deboli dal punto di vista della scrittura, i brani dell’ultimo Music of the Spheres acquistano energia proprio dalla performance dal vivo.

Di energia rinnovabile, del resto, parla l’intero concept dello show che dopo l’apertura di Laila Al Habash e degli scozzesi Chvrches di Lauren Mayberry viene introdotto dal video con cui la band cerca da tempo di sensibilizzare il pubblico sull’ecosostenibilità del live: riecco il generatore alimentato con olio fritto riciclato (qui resistere al parallelismo gastronomico è davvero arduo), le batterie ricaricate con il solare e l’eolico, le power bikes e i kinetic floors con cui gli spettatori producono energia durante il concerto, i braccialetti luminosi di materiale compostabile. Tra i 47 mila presenti qualcuno scorge Aurelio De Laurentiis e Rania di Giordania, Niccolò Fabi e Pierfrancesco Favino. Altri giurano e spergiurano di aver visto anche mister Spalletti, ormai ex.

Foto: Loredana Desiato

Alle 21.35 arriva finalmente il momento dell’ingresso in campo per i Coldplay e per la loro Music of the Spheres. Come d’abitudine, il brano di apertura dell’album dà avvio anche alla scaletta, tenendo fede alle promesse — anch’esse energetiche — del titolo: Higher Power. I braccialetti luminosi si accendono a tempo e Chris Martin si lancia nella sua prima corsa verso la pedana centrale, rientrando saltellante sul palco principale al momento del refrain. Da lì inizia a sfoggiare il suo B1 in lingua napoletana: «Buonasera uagliù!». Poco più tardi amplierà la sua esposizione: «Ve vulimm’ bene! Abbiamo sognato da tanto tempo di cantare a Napoli e ci siamo allenati per venticinque anni!». Qualcuno lo apostrofa come chiachiello (controllare sul vocabolario partenopeo), ma è sovrastato dal boato.

Poi il basso corposo di Guy Berryman scuote la tribuna stampa. Adventure of a Lifetime (da A Head Full of Dreams, 2015) è il primo di un grappolo di classici che in pochi minuti ci conduce a Viva La Vida, con il suo ritornello da stadio a timbrare il cartellino anche nell’agone del San Paolo. Cui spetta il coro responsoriale al collega San Pietro citato dal testo e sorretto dai colpi di timpano di Will Champion, che insieme a Buckland e Berryman ha raggiunto il frontman a centrocampo lasciando il main stage a un gioco di fiamme non esattamente frugale.

Lo scambio di energia tra pubblico e performer stuzzica il lato piacione di Martin. Dal pubblico gli porgono una maglia di Maradona e una sciarpa azzurra: è il preludio al consueto gioca jouer del fan chiamato sul palco. Stavolta Chris pesca bene, e il giovane partenopeo si rivela degnissima spalla canora su Songbook, con tanto di falsetto. Ovvio, a quel punto, che i braccialetti si colorino di azzurro.

Il terzo dei quattro atti in cui è divisa la setlist è certamente il più confuso, e i suoi escamotage scenici — il duetto di Chris con l’aliena-pupazzo Angel Moon, i video in stile Roger Waters, le teste da extraterrestri — hanno palesemente la funzione di far tirare il fiato alla band. Si ritorna, senza che il pubblico ne abbia sentito più di tanto la mancanza, ai brani dell’ultimo album, rappresentato da People of the Pride e My Universe, prima di un altro teatrino su Sky Full of Stars, per la quale Martin chiede al pubblico di riporre i propri telefonini. «Ci avete fatto sentire come quattro Maradona», conclude ringraziando l’omonimo stadio per poi guadagnare il backstage mentre partono i fuochi d’artificio.

Foto: Loredana Desiato

I cori dalla curva al rettangolo di gioco sembrano sfruttare l’onda lunga di una stagione calcistica spiccatamente sonora, dimostrandosi particolarmente convincenti nel richiamare la band. Dapprima riproponendo il refrain di Viva la Vida, ma non è abbastanza. Parte un altro ritornello, un po’ più autoctono, “Oi vita, oi vita mia…”, e quasi dispiace vederlo interrotto dalla ripresa della band. Dopo Sunrise il bis prosegue con un capovolgimento di fronte, quando i Coldplay si dirigono verso un terzo palco dal lato opposto del campo, inseguiti da un discreto numero di spettatori.

Mentre percorre per l’ennesima volta il tragitto verso il main stage, Martin si accompagna in fingerpicking con la sua acustica. «Congratulations for winning the Campioni d’Italia», esulta in quello che ormai è quasi un grammelot, annunciando un tributo finale alla città: Napule è. L’omaggio stavolta non ha nulla di ruffiano e l’interpretazione del brano di Pino Daniele è rispettosa e curata, finanche nella pronuncia. Al confronto, gli ultimi tre brani del bis — Humankind, Fix You e Biutyful — passano quasi inosservati. Sipario, e altri fuochi d’artificio, sempre per restare frugali.

L’impressione generale è che dopo i due live di Cardiff e la lunga pausa seguente, la band sia ancora leggermente contratta, e alla lunga un po’ sfibrata dai continui spostamenti da un palco all’altro. Ma dal punto di vista atletico il gruppo è in chiaro progresso, tanto per restare alle metafore calcistiche, del resto particolarmente invitanti pensando al match di ritorno di stasera e alla trasferta di domenica a San Siro.
Tecnicamente, lo show funziona alla perfezione. Anche meno, verrebbe da dire per alcuni eccessi che ne mettono in dubbio l’effettiva ecosostenibilità così tanto sbandierata. Ma è questa la cifra estetica dei Coldplay di Music of the Spheres e del loro entertainment di alto livello. E tutto sommato, per i 50 mila accorsi al Maradona, valeva la pena.

Foto: Loredana Desiato

Set list

Act I: Planets
1. Music of the Spheres
2. Higher Power
3. Adventure of a Lifetime
4. Paradise
5. The Scientist

Act II: Moons
1. Viva la Vida
2. Hymn for the Weekend
3. Songbook
4. In My Place
5. Yellow

Act III: Stars
1. Human Heart
2. People of the Pride
3. Clocks
4. The Lightclub
5. My Universe
6. A Sky Full of Stars

Act IV: Home

1. Sunrise
2. Sparks/Don’t Panic
3. Napule è
4. Humankind
5. Fix You
6. Biutyful

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