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Le due facce di Jamie xx

All’Alexandra Palace di Londra per vedere in azione l’uomo di ‘In Waves’ e ‘In Colour’. Mette d’accordo tutti, il pubblico dei club e quello dei festival, i fanatici dell’elettronica e gli amanti dell’indie pop

Foto: Alasdair McLellan

Sulle stradine in salita che portano verso Alexandra Palace, tra il verde delle colline di Wood Green affacciate sullo skyline di Londra, a centinaia si muovono a passo svelto alla ricerca di riparo dall’immancabile drizzle, la tipica pioggerella fitta e incessante che da queste parti è norma ben prima che il calendario segni il ritorno dell’autunno. Oltre che per trovare rifugio dall’umido della serata londinese la trepidazione è motivata dal fatto che si tornerà a vedere all’opera Jamie xx, durante la prima delle due notti che lanciano ufficialmente In Waves, atteso ritorno discografico dopo il debutto In Colour distante ormai quasi dieci anni.

Insieme al successo dei The xx con Romy e Oliver Sim, quella di James Smith è una storia sorprendente per la musica alternativa dell’ultimo decennio. Diciamo, più precisamente, per quella che tra Coachella e Primavera Sound mette d’accordo un po’ tutti, dagli avventori abituali del dancefloor agli amanti delle nuove scoperte indie pop in qualche pub di Camden.

In Colour ci aveva fatto scoprire un gioco perfettamente in bilico tra nostalgia anni ’90 e freschezza pop: nel rischio (calcolato, cercato, sapientemente usato) di fondere dance e sonorità più intime, Jamie xx era riuscito a creare un sound capace di parlare alla generazione-festival, una caratteristica dell’xx-pensiero sin dagli inizi. E il fatto di aver collaborato, tra gli altri, con pesi massimi da classifica come Frank Ocean, Miley Cyrus, Tyler, the Creator e remixato artisti come Radiohead e Florence + The Machine non è stata che la riprova di quanto stava accadendo. E d’altra parte, non si ottiene una nomination ai Grammy così per caso.

Questa sembra essere anche la caratteristica di In Waves, dove il producer londinese, pur cercando di sperimentare più lateralmente rispetto a quanto fatto in questi anni, trova rifugio sicuro in alcuni dei colori sonori che ormai ne identificano lo stile. Nell’album le tonalità eurodance di Life (in featuring con Robyn), Still Summer e Falling Together giocano con le ritmiche house di Baddy on the Floor in una giostra di Jamie xx-ismi perfetti. È il suo marchio di fabbrica, è quello che ci aspettavamo, difficilmente fallisce. Succede anche ad Alexandra Palace, quando poco dopo aver preso posto in console Smith alterna in maniera chirurgica i suoi picchi più dancelfoor come Kill Dem, Idontknow, Loud Places a classici pop-dance come It Feels So Good di Sonique e un cult trance della primissima ora come The Age of Love (dell’omonimo progetto, il cui brano venne tra l’altro co-scritto da Pino D’Angiò).

In meno di un’ora dentro un posto gremito di gente a saltellare, smartphone alla mano, c’è tutta l’essenza del successo di Smith, sancito da chi, dalle parti di Londra, Parigi e New York, ha scelto cosa è sufficientemente hot da ballare, ma non vuole farsi esplodere i timpani. Durante le due ore di set, Jamie xx prova a più riprese a spingersi oltre la sua dote innata di scrivere melodie da chart – come in Waited All Night con la voce di Romy o Dafodil con Panda Bear, Kelsey Lu e John Glacier (in cui spunta persino un sample vocale di Touching You di Astrud Gilberto) – arrivando a spasmi dubstep e UK-bass.

La residency The Floor, nata la scorsa primavera come teaser dell’album durante dieci notti al Venue MOT, nel sudest di Londra, era di fatto testimonianza di quanto la natura trasversale di Jamie xx non rappresenti un problema ma, a conti fatti, la fotografia del suo successo. Da Daphni (alias Caribou) ai 2ManyDJs fino a Charli XCX, il parterre di invitati alle serate che anticipavamo l’album era una cartina di tornasole di un percorso fatto di musica da club, sì, ma con un sentimento non esattamente underground rispetto alle origini, quelle con cui Smith ha cominciato a strimpellare sui sequencer.

Perdendoci nei synth che marciano lungo i quattro minuti di All You Children, nel featuring con gli Avalanches, viene spontaneo pensare che in un certo senso quella di In Waves è musica scritta da un Re Mida dell’elettronica: tutto ciò che Jamie xx tocca diventa una certezza per il club e per la radio, e riesce a soddisfare le sue due anime. Ad Alexandra Palace il dj set finisce prima con Whole Lotta Love dei Led Zeppelin in versione remix e poi con le voci sincopate che si mischiano alle balbettanti ritmiche garage di Girl, che chiudeva anche In Colour. Tutto suona giusto, come nell’album, e i sorrisoni tra il pubblico lo confermano.

A quasi dieci anni di distanza dal fortunato debutto con il progetto da solista, Jamie xx sembra aver trovato la formula che soddisfa la sua gente: da una parte il pubblico del Primavera Sound e dei festival in Europa e America, dall’altra il target molto più ristretto di chi vuole capire come si fa fortuna crescendo con il suono nato a Londra, rendendolo poi una scienza esatta per gli immensi speaker dei palazzetti in giro per il mondo, dall’alto di una console.

Jamie questo l’ha capito. In Waves conferma l’intelligenza di un artista capace di muoversi tra diverse dimensioni senza attaccarsi particolarmente all’una o all’altra. Forse manca, anche stavolta, la voglia di rischiare oltre alla consueta e maniacale ricerca di campioni, di sample persi nel tempo, di espedienti sonici per riesumare il passato e citare una dance che non esiste più, e che Smith cerca di tenere in vita. Se il risultato continuerà ad essere sempre così buono potrà dircelo solo il futuro.

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