C’è una linea che collega la Germania e l’Adriatico: questa volta non si tratta della leggendaria e discutibile passione dei romagnoli per le turiste tedesche nelle estati italiane anni ’80, ma della chiara ispirazione berlinese della ventunesima edizione dell’Indierocket Festival.
Pezzo di storia pescarese, in un classico esempio di necessità che diventa virtù il festival si presenta in un’inedita veste al chiuso, negli spazi del porto turistico di Marina di Pescara, dove una volta sorgevano gli storici mercati ortofrutticoli. Colpa della destra al governo – l’Abruzzo è stata una delle prime regioni a fare i conti con il fenomeno Fratelli d’Italia – e di Telemeloni, lamentano tra i denti gli organizzatori: anziché sovvenzionare iniziative come questo storico festival, si preferisce dirottare i fondi su eventi filosoficamente ai suoi antipodi come La Notte dei Serpenti, la cui seconda edizione è andata in onda sulla Rai lo scorso 23 agosto con l’obiettivo dichiarato di celebrare la cultura popolare, con la guida del maestro Enrico Melozzi.
E così, con i fondi pubblici pressoché azzerati, gli organizzatori – sulla scena da un quarto di secolo – hanno deciso di dare una nuova veste al festival, paradossalmente rendendolo unico e interessante probabilmente più di quanto lo fosse nella sua versione estiva all’aperto. Uno spazio semi industriale, gestito a livello di scenografia con un approccio minimale e dark, con macchine del fumo da cosplay della Pianura Padana e luci “epilettiche” che valorizzano molto di più di quello che avrebbero fatto la luce del giorno o il cielo notturno il carattere oscuro e profondamente radicato nella cultura club underground della line-up del festival.
Allo stesso tempo si respira un’aria di militanza provinciale figlia degli anni ’90 e dei centri sociali – senza eccessi di romanticizzazione – che passa dagli stand di radio locali antifasciste al fatto che lo staff sia composto interamente da ragazzi e ragazze volontari del posto, che hanno l’aria – e le parole – di chi non potrebbe non essere lì per un senso di appartenenza e gratitudine a una realtà che rende la piccola Pescara un posto che ha una connessione con il mondo e una vitalità internazionale.
«Una parte della città ci considera un covo di sovversivi», spiega Paolo Francesco Visci, direttore artistico del festival, «mentre per tanti altri pescaresi siamo un punto di riferimento e di contatto con il mondo, non solo per quanto riguarda il festival in sé, ma anche per le varie stagioni concertistiche. Dal canto nostro ci sentiamo militanti rispetto alle nostre idee, ma facciamo di tutto per non essere strumentalizzati dalla politica di qualunque fazione che cerca di etichettarci in un modo o nell’altro. Quando abbiamo iniziato nel 2004 avevamo deciso di chiamarci “indie”, quando ancora non era una parolaccia, proprio per questo motivo. Vogliamo diffondere innanzitutto un’idea di cultura musicale: in questo Pescara è una città che, per quanto di provincia, si è spesso dimostrata ricettiva. Io stesso sono cresciuto circondato da una scena rap gloriosa negli anni ’90».
E così l’Indierocket è quel posto dove la cilena Domingæ, leader del progetto Föllakzoid, spiega a un ragazzo di 22 anni la Vortex Math di Tesla e il concetto jungiano di logos disegnando simboli sul retro del piatto di carta su cui poco prima aveva mangiato degli arrosticini cucinati direttamente nel backstage da un volontario del festival, a pochi minuti da una performance che racconta di femminilità, sudamericanità, elettronica sperimentale che incontra il post punk, da qualche parte tra Lingua Ignota, Arca e i Placebo.
A livello artistico le proposte sono tantissime, con l’unico filo conduttore della frequentazione anche parziale, da parte degli artisti in line-up, di luoghi sperimentali del vasto mondo della musica elettronica. La prima sera ad esempio a fare da headliner c’è un Lorenzo Senni in grande spolvero con un set composto, dosato, per buona parte inedito e con un approccio quasi casalingo e “camerettistico” per quanto riguarda atmosfere e scaletta. La seconda sera l’onere dell’headlining spetta invece ai Mouse on Mars, da trent’anni riconosciuti e stimati punti di riferimento della scena elettronica tedesca che oltre alle consuete commistioni tra trance e idm e ammiccamenti vari alla gloriosa scena kraut rock anni ’70, si fanno notare per i visual: una specie di videogioco arcade giocato in diretta da uno dei volontari del festival. Oltre ai già citati Föllakzoid, il main stage della prima serata è completato dal nu jazz elettronico e convincente di Maria Chiara Argirò, da 3Phaz e dal dj set del giapponese – di Osaka – ¥ØU$UK€ ¥UK1MAT$U.
La seconda serata è introdotta da Cemento Atlantico e da Coca Puma, quest’ultima sempre più una garanzia, in grande crescita anche per quanto riguarda gli spettacoli dal vivo. Poi Om Unit, e dopo lo show dei Mouse on Mars il dj set di Forest Swords. Nella tradizione – questo sì – del festival il terzo giorno, la domenica, si svolge invece in diurno tra gli ulivi di Pollinaria di Civitella Casanova, in un clima da sagra e con le esibizioni di Disangro, Bassolino e Joshua Idehen, poeta e musicista britannico di origini nigeriane che mescola l’elettronica allo spoken word da qualche parte tra un locale di slam poetry, un secret club e una black church protestante.
Il festival si conclude poco dopo il tramonto e lascia di sé la stessa impressione delle campagne abruzzesi attraversate dagli sterrati: chi ha gli occhi adatti ne può cogliere il vissuto e l’universalità laddove chi non li ha vede terreni dissestati e isolamento. In ogni caso, lunga vita (e più fondi) all’Indierocket Festival.