Lo Square Festival non è il solito divertimentificio spersonalizzante | Rolling Stone Italia
Suoni atlantici

Lo Square Festival non è il solito divertimentificio spersonalizzante

Si tiene in quattro cittadine a 50 chilometri da Porto questo festival diffuso che mette al centro socializzazione e musica tutta da scoprire, in un cortocircuito tra estetiche e suoni diversissimi. Macrotema: l’Atlantico

Lo Square Festival non è il solito divertimentificio spersonalizzante

Asmâa Hamzaoui & Bnat Timbouktou

Foto: Lais Pereira

Si parte con il botto. Anzi, con il fumo: una bella evacuazione dall’albergo subito dopo colazione (causa cortocircuito in cucina) e la mattinata parte con sprint. Buttati fuori al freddo vento dell’Atlantico, con addosso solo i vestiti indossati al momento dell’allarme, non c’è altra possibilità se non quella di socializzare e iniziare a vivere lo Square Festival. Solo dopo la consumazione nervosa del secondo caffè, della terza sigaretta e di un pastel de nata a chiusura.

D’altronde una delle due protagoniste della prima edizione di questo ambizioso festival portoghese è proprio lei: la socializzazione. In quattro giorni pubblico, addetti ai lavori e musicisti hanno ascoltato, mangiato, camminato per le stradine portoghesi di quattro cittadine – attraversando un numero incredibile di venue diverse. Sempre spalla a spalla, a un caffè di distanza da una stretta di mano e una nuova conoscenza. Dal momento che i festival sono sempre più divertimentifici spersonalizzanti, questa è stata la prima grande scommessa, vinta, di un festival dalle premesse ambiziose. La seconda ovviamente è stata la proposta musicale: di ricerca, qualità e soprattutto dallo spettro ampissimo — con artisti dai quattro angoli del mondo e i generi più disparati.

Un passo indietro: lo Square Festival è andato in scena dal 29 gennaio all’1 febbraio 2025 a Braga, graziosa cittadina portoghese a cinquanta chilometri da Porto. Una prima edizione organizzata dall’etichetta musicale Lovers & Lollypops, attiva da vent’anni sul territorio e organizzatrice anche del festival Tremor. «Ci siamo concentrati sull’area coperta dall’associazione Quadrilátero, che coinvolge Braga, Barcelos, Famalicão e Guimarães», spiega Marcio, uno degli organizzatori. Da qui anche il nome del festival e il focus territoriale imprescindibile. «Abbiamo riflettuto su cosa si potesse aggiungere alla scena dei festival nazionali, già abbondante e diversificata, lasciando al contempo un impatto duraturo sulla regione. Questa è un’area con una notevole produzione musicale: ci è sembrato il teatro perfetto per un evento con queste caratteristiche».

Da mercoledì a venerdì, le giornate si sono aperte con la proiezioni di film curate, in ordine, da Cosmos (la comunità curatoriale del festival Le Guess Who), il giornalista americano Joshua Minsoo Kim e dal festival stesso. In contemporanea, dalle 10 fino alle 13, tre conferenze al giorno: qui sono state sviscerate tematiche per lo più inerenti al concetto di margine e di sostenibilità: conversazioni stimolanti tra artisti, giornalisti e professionisti del settore.

Jadsa. Foto: Sergio Monteiro

Dal primo pomeriggio in poi, via alle danze. Mercoledì 29 tutti sul bus direzione Guimarães, per una serie di showcase dislocati in tutta la città. Tra le sorprese più liete sicuramente la brasiliana Jadsa: una classe commovente per un pop infuso di melodie e ritmi carioca. Quel tipo di alchimia magica, tra dolcezza e virtuosismo, che sembrano sapere sintetizzare solo gli artisti brasiliani. La meraviglia è prolungata dal duo Arianna Caselas y Kauê, divisi tra infanzia in Sud America e presente in Portogallo. Suonano un folk ipnotizzante che abbraccia questo ponte tra sponde dell’Atlantico: corde, percussioni e una voce ultraterrena. Nessuno aveva preventivato di passare, in una manciata di minuti, dal delicato folk iberico ascoltato nel confort di un moderno teatro all’italiana a del violento synth punk suonato sotto un antico arco romano all’aperto. Il contrasto funziona, il duo inglese comfort, fratello e sorella, inietta energia liquida nell’aria freddissima, soprattutto grazie alla presenza scenica di lei. La giornata continua e c’è spazio anche per le sonorità più votate al club, con la dj brasiliana King Kami e lo show elettrico nella notte di Susobrino, direttamente dalla Bolivia via Bruxelles.

Braga e Guimarães sono due città piccole e belle. Insieme ai compagni di festival riflettiamo su quanto ricordino dei set cinematografici, più che città abitate da esseri umani. Sembrano quasi essere state affittate apposta per noi avventori. Non c’è una cartaccia per terra, non vola una mosca; sono pochissime le persone che passeggiano per le strade, tra queste praticamente nessuno sotto i trent’anni; locali e negozi sono aperti, ma fin quando non schiacciamo il naso sulle vetrine sembrano chiusi. Siamo in mezzo alla settimana ma è comunque ironico che un festival di questa portata, con l’esplicita missione di unire continenti e culture, vada in scena in questa sorta di non luogo. D’altro canto svolge benissimo il ruolo di tela bianca.

Impressioni che vengono in parte smentite il giorno dopo, quando ci si sposta nella città di Barcelos. Si parte infatti dalla piazza del mercato, piena di persone del luogo incuriosite, con la piacevolissima disco-dub suonata dagli Housepainters, trio di base ad Amsterdam. Poco dopo il duo spagnolo Caamaño & Ameixeiras ci ruba il cuore, con un concerto che è anche performance e che fonde il folk della Galizia con pulsazioni contemporanee. Menzione d’onore per uno dei momenti più surreali del festival: la band hardcore punk Hetta, veri e propri local heroes portoghesi, si scatena per 45 minuti al fulmicotone dentro un centro commerciale nella via principale della città. Un cortocircuito divertentissimo tra estetiche e suoni completamente diversi.

Siamo in un magnifico frullatore di suoni. Neanche il tempo di mangiare due uova a colazione, che il terzo giorno siamo in una nuova cittadina: Famalicão. Senza dubbio è il giorno più debole per gli showcase pomeridiani, che fanno fatica a decollare – eccezion fatta il live tra Lisbona e Capo Verde di Fidju Kitzora. Il suo è un mix tra samples e bassi saturi, con chitarra e batteria acustica: un groove monolitico a cui è difficile sfuggire. La giornata si anima veramente quando torniamo a Braga. Si scaldano i motori con il mix divertentissimo tra yemeni folk e pop degli El Khat e poi, nella suggestiva cornice di un ex cinema abbandonato, tripletta micidiale lato soundsystem: la bubbling del fenomeno olandese (famiglia Nyege Nyege) De Schuurman; la bass music globale del fortissimo Antconstantino, tra i dj più in ascesa in Brasile; chiusura con i ritmi organici e ipnotizzanti del marocchino Guedra Guedra.

Caamano & Ameixeiras. Foto: Lais Pereira

Il giorno dopo alzarsi è una bella impresa. Lo facciamo sapendo che non ci sono conferenze: possiamo dedicare la mattinata ad assorbire la sbornia e cercare un posto dove mangiare. Finiamo in un ristorante delizioso, dal forte sapore di osteria italiana, dove due calici di vinho verde ci rimettono al mondo. Qualche ora di stacco era necessaria a raccogliere idee ed energia. Questo formato itinerante tra città e venue è stato molto interessante: non ci si è fermati un attimo, si sono visti altrettanti luoghi rispetto agli artisti ascoltati. D’altro canto è un tipo di fruizione che assorbe tantissima energia: gli eventi sono talmente tanti che basta fermarsi un secondo per una birra per rischiare di perdersi metà del concerto successivo.

È con un sospiro di sollievo e un pizzico di malinconia quindi che affrontiamo l’ultima maratona musicale, tutta concentrata tra le vie (questa volta animate, l’effetto del weekend) di Braga. Si parte con una leggenda come l’inglese Meggie Nicholson, che regala uno show intimo dentro un meraviglioso museo/palazzo privato. Dalle sue eteree improvvisazioni vocali ci spostiamo a fare headbanging in tempi dispari con la newyorkese Gushes, accompagnata dal compagno di vita Matt Evans, batterista fenomenale. Il duo regala un concerto tra art/math rock, post punk e progressive, con elementi di pura performance e suoni ricercati. Sulla scia del rock alternativo veniamo conquistati da Maria Reis, un’altra artista locale di culto, che ricorda da vicino colleghe come Nilüfer Yanya e Ana Frango Electrico. Camminiamo cinque minuti e di colpo siamo in Marocco con Asmâa Hamzaoui & Bnat Timbouktou, strepitoso ensemble di musica gnawa. Ultime esibizioni da sottolineare quelle della libanese Liliane Chlela, con i suoi suoni elettronici post-tutto e il dj set adrenalinico del messicano DJ Fucci.

Hetta. Foto: Lais Pereira

Gli artisti citati sono solo quelli che hanno colpito di più il sottoscritto: neanche la metà delle esibizioni avvenute. Insomma partiti con il fumo, alla fine abbiamo trovato l’arrosto. Dopo quattro giorni possiamo sostenere con tranquillità di avere la pancia pienissima (quasi troppo), le stelline negli occhi e due cornucopie di suoni al posto delle orecchie. Oltre a una voglia matta di non smettere mai. Il macrotema dell’Atlantico ha funzionato bene nel dare ampio margine agli organizzatori, lasciarli liberi di fare scelte a volte azzardate ma che per lo più hanno premiato, incontrando il gusto eclettico degli avventori e tessendo connessioni inaspettate. L’organizzazione è stata perfetta, gli orari rispettati in modo maniacale; la vivibilità assoluta delle location e delle città e prezzi bassissimi della vita hanno messo tutti a proprio agio. Chiunque abbia partecipato è tornato a casa con tanti album salvati da ascoltare, stimoli da approfondire e l’agenda piena di nuovi contatti: due cose che dovrebbero essere alla base di tutti i festival ma che sempre più non lo sono. Grazie quindi Square Festival: speriamo di vederci anche l’anno prossimo.