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Macché profanatore, Paolo Conte è entrato alla Scala da maestro di stile

Le polemiche che hanno preceduto il concerto di ieri sera si sono dissolte nella musica. Lieve, solenne, elegante. Con un fuori programma, ‘Dal loggione’, e la certezza che il vero lusso oramai sia ascoltare musica in purezza

Foto: SteBrovetto

Di Paolo Conte alla Scala di Milano avrei potuto scrivere anche solo immaginandolo, ché il binomio mi sarebbe bastato per sollecitare (e solleticare) la migliore immaginazione. Ma poi è accaduto davvero. È successo che ieri sera si è esibito nel tempio della musica colta – oltre che della più esclusiva mondanità meneghina – e vade retro alle polemiche sterili perché sì: lui in quel tempio ci può entrare e può farlo senza profanare nulla. E senza alcun precedente creare. Siamo seri.

E comunque. Io c’ero (un’emozione, a dire il vero), e quindi ecco il racconto di quel che è stato. Che poi è quello che importa, in effetti.

Poche pellicce. Signore ingioiellate ma con parsimonia. O quanto meno con disinvoltura. Molte cravatte, qualcuna sbagliata. Ma tant’è. La gente in attesa ben prima che il santuario aprisse le sue porte. Pochi i giovani a dire il vero, e non che il fatto stupisca, in effetti, ma che peccato. Madame, c’è Madame si mormora. E in effetti c’è Madame. Riccia e sorridente e tutta in denim scuro. Rilascia qualche dichiarazione alle telecamere nel foyer. È alta!

E poi c’è anche Caterina Caselli Sugar, la Signora della musica italiana. Risplende. È stata lei a dire il vero a credere fin da subito nell’artista astigiano. Ed è anche grazie a lei, dunque, se questa serata è stata possibile. Filippo Sugar, figlio di Caterina e Piero e amministratore delegato del gruppo Sugar. Pochi giornalisti, molti fan. Si potrà dire fan di quelli che vanno a vedere Paolo Conte alla Scala?

Ore 20. Pronti, via. Una voce dice no ai cellulari. No video, no foto, no stories, ché godersi lo spettacolo è diventato il vero lusso. E che lusso, in effetti. All’inizio tutti ligi, ma poi in pochi resistono alla tentazione di riprendere – seppur con un certo pudore – qualche secondo della hit del cuore. Si potrà dire hit del cuore delle canzoni preferite di quelli che vanno ad ascoltare Paolo Conte alla Scala? Vittorio Sgarbi in platea non molla un attimo lo smartphone. Ma lo perdoniamo visto che ha difeso fin da subito questa serata con sagge parole: «La Scala è un tempio in cui non può essere ammessa musica contemporanea, se non noiosa. Berio sì, Conte no». E che gli vuoi dire? Fra gli astanti, altri illustri: Vinicio Capossela, Isabella Ferrari, Giuliano Sangiorgi elegantissimo, Motta, Paolo Sorrentino, Biagio Antonacci.

Più o meno illustri a parte, comunque, la musica. Veniamo alla musica. Che poi è quello che importa, in effetti.

Il jazz contiano irrompe lieve ma solenne tra le mura scaligere. Un pubblico composto lo accoglie trepidante. Elegantissima l’orchestra che incornicia l’avvocato rigorosamente di nero vestito seduto davanti al pianoforte a coda, protagonista insieme a lui di un palcoscenico che non svelerebbe una sola sbavatura se non fosse per le telecamere che nell’ombra gli girano intorno. Pare che l’ambaradan diventerà un film e un album dal vivo pubblicato da Sugar.

Ma – meno male – tutto sa svanire nelle note del Maestro e della sua orchestra. E se chiudi gli occhi puoi persino volare in mondi lontani, misteriosi, tropicali in cui Paolo Conte soltanto sa catapultarti con la sua musica di ruggine e le immagini nitide costruite da poche parole. I ragazzi scimmia del jazz, dopo la verde milonga inquieta. L’applauso è scrosciante. Qualche «vai Paolo!». Potranno dire «vai Paolo!» quelli che vanno a sentire Paolo Conte alla Scala?

La Scala durante il concerto di Conte. Foto: SteBrovetto

L’uomo camion riporta a terra i presenti con quel “siamo nudi e soli” che ti proietta fra notti e ghiacci con la sua radiolina. E che nostalgia. «Sei il numero uno!», osa qualcun altro. Applausi. Forse un cenno del capo del Maestro. Lui non aprirà bocca se non per cantare, e per presentare i suoi musicisti uno ad uno. Eccezionali, in effetti. Con quella faccia un po’ così – e i suoi 86 anni appena compiuti, chapeau – lascerà cadere le lusinghe e le intemperanze della sua gente.

Dal loggione è il fuori tema che non ti aspetti. Non annunciato dalle scalette. Si potrà dire scalette per far riferimento alle locandine col programma del concerto alla Scala? Comunque l’orchestra scompare. E mai location fu più adatta per accogliere questo pezzo: “Lampi / Fuori nel buio temporale / E lampi / Qui nel Teatro Comunale / Lampi sulle signore ingioiellate / E lampi / Su legni e trombe lucidate”.

La gente si alza, applaude forte. Sipario.

Una versione struggente di Gioco d’azzardo, poi Gli impermeabili un po’ placida scivola sulla gente entusiasta. E poi Madeleine. Applausi e ancora applausi. E lui che non si scompone mai. L’ultima è Il Maestro. Grande assente della serata, Hemingway. Ma, chissà, forse avrà avuto da fare all’Harry’s Bar e preferito lasciare noi ad assistere allo spettacolo d’arte varia, in un tempo sospeso fra il sogno e la realtà.

Niente bis. Si può dire bis se Paolo Conte esce dopo la chiusura del sipario alla Scala? Anzi, uno piccolo. Sulle note di Via con me. Per poco. Ma generoso a dire il vero in tal senso Paolo Conte non lo è mai stato, e la sua coerenza a oltranza fa persino simpatia. E comunque per chi lo ama va bene così.

E quindi grazie infinite per tutto, Maestro. Per la serata che non si può scordare. Per essere stato il primo cantautore al Piermarini. Per le polemiche che non hanno conosciuto risposta se non quella delle sue note. Per lo chic e lo charme. Senza tempo. Per le sue canzoni affondate nell’aria di quel mondo adulto che se si sbaglia lo si fa da professionista, ma questa volta non si è sbagliato. Anzi. Ma già lo sapevamo.

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