«Ho una casa, ho i soldi, ho una missione» legge Madame da un foglio nell’ultimo di (ben) cinque monologhi nell’arco di un’ora e quaranta che scandiscono gli atti in cui è concettualmente diviso il suo concerto. Esplicita, come la sua poetica ci ricorda spesso: «Mi chiamo Francesca, ho 21 anni, sono un’artista. E sono una donna potente e libera».
Avere vent’anni è bellissimo perché solo a quell’età si possono avere delle certezze inamovibili. Gli ideali, i sogni e – soprattutto – l’arroganza di averceli e di poterli raccontare senza vergogna. E Francesca, 21 anni, da Vicenza, è forse l’artista più arrogante del music business italiano ad oggi. Alt, non prendetela (e nemmeno tu Francesca) come un’offesa, qui il senso vuole essere tutt’altro. Non si parla dell’arroganza stereotipata del trapper e della trap (genere che ha dato i natali a Madame e che è stato un po’ bistrattato durante il suo concerto di ieri al Teatro Arcimboldi di Milano), bensì del coraggio di disinnescare le paure e le ansie del giudizio personale e altrui per mostrarsi pubblicamente per quello che si è, in modo così carnale, fino all’osso. Chiamatela, se volete, faccia tosta.
Disordinata e confusionaria, caotica e sgraziata, Madame è riuscita in pochissimo tempo – ricordiamo che la ragazza ha 21 anni, ha esordito a 16 e si è presentata a Sanremo per la prima volta a 19 – a raccontarsi senza vergogna e senza filtri facendo delle sue caratteristiche più stridenti i suoi punti di forza. E il suo show, proprio come lei, è così, disordinato e confusionario, caotico e sgraziato. La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria. Prendere o lasciare.
A poco più di un mese dal suo primo Forum, l’artista vicentina è tornata a Milano, ma questa volta a teatro (e che teatro), per continuare il tour in supporto del suo ultimo album L’amore. Se la scelta della location potrebbe far pensare a un concerto differente da quello al Forum, magari una rivisitazione in chiave acustica o più orchestrale, Madame interpreta la serata in modo diametralmente opposto, come se si trovasse all’interno di un live club, con full band rock e pochissimi momenti intimisti. Dopo un’ora e quaranta di show, venti brani (di cui sette da L’amore) e cinque monologhi, è chiaro che sia proprio questa giovanilistica arroganza il fil rouge che tiene insieme il caotico disordine di Francesca. E questo, citando uno dei brani meglio riusciti dell’artista, oggi più che mai meno trapper e più cantautrice, è il bene nel male di questo spettacolo.
Partiamo da questo bene. Madame – e qui non ci sono cazzi, per usare una parola che ritorna molto nel suo vocabolario – il palco se lo mangia: la sua presenza scenica è unica, un magnete che disorienta la bussola. Movimenti, espressività, dialoghi: tutto è così inusuale, fuori dalla norma, così personalmente sbagliato da creare una sorta di perverso cortocircuito che lega artista e pubblico, un magnetismo da personaggio di un film di Harmony Korine. Madame è il mainstream (so che è un concetto vecchio, ma seguitemi) che caga sul mainstream parlando di cazzi, di clito, del sentire “l’amore del mio uomo solo se mi sventra”, ovvero tutto ciò che un talent o una casa discografica vorrebbero estirpare dalla bocca di ogni artista giovane o emergente. E invece Madame è là, a 21 anni, a urlarci senza vergogna dei suoi amori, delle sue scopate, dei suoi pensieri sulla vita difendendo forte la sua opinione, poco importa quanto ingenua e didascalica o impopolare e fuori dai canoni.
Lo show è presto un’estensione di lei, del suo pensiero, del suo corpo. E a vent’anni bisogna davvero essere arroganti per essere così sicuri di sé da portarsi con questa totalità annichilente su questi palchi. E per fortuna Madame lo è davvero, giganteggiando tra la concorrenza di coetanei stereotipati e addomesticati.
Ma c’è un ma, anzi, un grande ma che aleggia sullo show. Se Madame fa dell’onesta e brutale trasparenza il suo punto di forza, non possiamo che rivolgerci al suo live nella stessa forma. Partiamo quindi dalla parte meno a fuoco: la band. Non ce ne vogliano i cinque musicisti che storicamente accompagnano Francesca, ma a questo livello (e su questo palco) non sembrano a proprio agio. Tra momenti non proprio allineati nell’esecuzione e scelte al limite del kitsch – qualcuno ha detto keytar? (ok il LOL e il meme, però dai) – gli arrangiamenti in chiave profondamente rock dei brani (power chord distorti, synth presettoni, un assolo di batteria nei primi 10 minuti di show) appiattiscono gran parte del repertorio di Madame spiattellandone il suono (già stancato dalla scelta di un utilizzo davvero insistente e tirato dell’Auto-Tune), denudandolo di ogni possibile modernità e freschezza.
Se, in particolare, gli americani ci hanno mostrato che suonare dal vivo certa musica urban ha il vantaggio di evidenziarne le venature ritmiche e sensuali (tema ricorrente nella poetica di Madame), la scelta di filtrare le canzoni attraverso la lente sonora del r(u)ock è un autogol di frequenze e intenzioni che ci riporta drammaticamente alla combo Finley/Mondo Marcio. Non a caso la prima metà dello show, in cui tutto questo è molto evidente, è molto debole, a tratti totalmente insensata soprattutto in un contesto come quello teatrale. Al contrario, invece, la seconda parte, più spogliata e meglio composta (sarà il traino della doppietta sanremese, del coro di sei donne a supporto in Quanto forte ti pensavo e della versione piano e voce di Sciccherie), funziona decisamente meglio.
In aggiunta – ma questo è un problema abbastanza diffuso che riappare ciclicamente sui palchi italiani – il fatto che i componenti della band si presentino vestiti singolarmente a caso (per usare un eufemismo) è un bel pugno nell’occhio, in particolare all’interno di uno stage privo di scenografia. La cura passa anche da qui, dal prendersi quei cinque minuti in più anche solo per decidere cosa indossare come gruppo (quando entra il coro tutto al femminile di bianco vestito, infatti, il colpo d’occhio è decisamente di un’altra categoria). Il resto, se no, è a rischio sagra. Sono quei cinque minuti – applicati per ogni piccolo dettaglio che forma uno spettacolo – a trasformare un live in un concerto di un certo livello. E in questo live, e in questa band, quei vari e differenti cinque minuti non sono spesso stati presi in considerazione.
Il risultato è un concerto che sta in piedi (e in cui si sta in piedi a ballare, ma sul posto, come ci ricorda Francesca) perché Madame è una fuoriclasse. Attorno invece sarebbe da ripartire quasi da zero, con una direzione artistica più a fuoco, dimenticandosi dell’entusiasmo di un pubblico che giustamente ama la sua paladina a prescindere dalla messa in scena. Perché se – come dice Madame stessa – lei ha una missione, questa missione deve necessariamente andare oltre l’autocompiacimento scontato da completamente sold out. La frustrazione del partecipare con spirito critico a questo concerto deriva proprio da questo: Madame in questo ambiente è un unicorno, la celebre una su milione, un’artista con tutte le carte in regola (e molte altre che scoprirà in futuro e altre ancora che si ritroverà nelle maniche senza saperlo) per portare il game ad un altro livello. Madame è troppo importante per la ripetitiva industria musicale italiana perché ci si permetta di dimenticarsi di prendersi quei cinque minuti in più ogni volta che quel tempo è necessario per garantirle uno step in avanti. Come diceva De Niro in Bronx, «la cosa più triste della vita è il talento sprecato»; ecco, peggio ancora se a sprecarlo è la superficialità con cui (non) si affrontano certe scelte.
Alla fine, comunque, Madame è un’artista più forte anche di questi sbagli. Questi Forum e questi prestigiosi teatri, in fondo, non sono che la sua gavetta ed è giusto e lecito che prestino il fianco ad errori e ingenuità. Al di là dei concerti in sé, che possono essere lavorati, migliorati, smantellati e ricostruiti, resta fondamentale vedere che nel suo pubblico ci sono tante ragazze e ragazzine che in lei hanno visto qualcosa che fino ad ora il mercato italiano non aveva mostrato. Madame è un modello, una figura di riferimento, un’apripista. Una donna potente e libera. Una possibilità. E questo è fondamentale. Ora il passo è costruire attorno a lei una dimensione live che alzi ulteriormente il livello per poter far sì che questa rappresentazione, o meglio, che questa missione diventi solida e inattaccabile. E qui l’arroganza di Madame tornerà davvero utile.