Ok le battute sulla mascherina, il fatto che fosse (ehm) avanti già da anni; ma Myss Keta in pandemia è un cortocircuito in tutti i sensi, mica ironia. Prendete l’L 02 E Tour partito ieri da Roma: mentre molti colleghi per le restrizioni devono inventarsi concerti light, su scala ridotta, lei se ne va sul palco per la prima volta con una band, una banda come la definisce. Addio basi registrate, coreografie, ballerine; spostiamoci di lì. Anche se alle prove mi smorza dicendomi di non «paragonare questo live ai precedenti, perché non è né qualcosa in più né in meno, solo uno spettacolo diverso». Anche se poi, come tutto in questo periodo, è un concept fra necessità e virtù. Sarà, ma intanto la famiglia per certi aspetti si è anche allargata («con questo nuovo assetto ci segue pure un fonico di palco») e il live ne guadagna in complessità e profondità.
E rimane l’immaginario standard, ma arrivano i DPCM, nel senso del gruppo spalla con Giungla alla chitarra, Danila Guglielmi alla batteria e L I M al basso. Strumenti “veri”, per capirci. «È la formazione dietro Miriam, un pezzo contenuto nell’ultimo EP Il cielo non è un limite – Lato B», mi spiega la Myss. «È stato il mio primo “suonato” e l’idea ci è piaciuta al punto che abbiamo deciso di riproporla dal vivo coinvolgendo anche altri brani del passato. C’era desidero di crescere. Il lockdown mi ha bloccato le idee, era difficile anche solo incontrarsi per lavoro, mentre da settembre è venuta voglia di sperimentare, proporre cose nuove». In più mettici il momento, con i ketamini («eterogenei, fra universitari e fan di fasce d’età insospettabili», e dopo aver visto la platea di ieri confermo) anche loro per la prima volta seduti, distanziati, non assembrati. «Non mi esibisco con spettatori davanti da febbraio 2020, ergo mi va benissimo tutto. Però la versione solita dello show, quella “notturna” con sonorità da club, non mi sembrava adatta al contesto».
Quindi questo tour di ripresa e resilienza, in cui la band arrangia i classici della casa seguendo quei gruppi che sono «la bussola della vita» di Keta. Cioè? «Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena; ma anche il Brit pop». Con un risultato che, di fatto, è «molto post punk», quando non proprio pop-punk. A primo impatto fa strano; poi ci si abitua, pure perché la veste non è scopiazzata, è ben suonata e si adatta allo stare seduti a fatica. «E non che sia stato facile trovare la quadra», prosegue, «ma il bello è qui. Mi piace come ogni componente possa interpretare a suo modo le canzoni, contribuire con la propria parte. E poi riscoprire i pezzi in questa veste è un modo per riacquisirli, nonché aggiungere sfumature», come gli assolo di chitarra. Non è chiaro neanche a lei se questo sound, questa formazione e questo tipo di show possano essere la chiave di volta per il futuro. Sta di fatto che – nella sua ora e mezza scarsa di set (si poteva tirare ancora un po’?), nell’ovvia ansia da debutto – l’idea tiene bene ed è credibile, cercando l’esibizione pulita senza impennate, virtuosismi, voli pindarici.
Pure perché le coordinate restano le solite, intendiamoci. Ovvero: presenza scenica tanto al chilo, atteggiamento kitsch-divistico, allusioni sessuali prima che a soldi e droga, sensualità, pacche sul (proprio) culo, vestiti di pizzo e decolleté, riferimenti alla notte selvaggia e ai suoi codici. Solo che stavolta più che le coreografie ci sono visual (fra videoclip già visti e inediti con la Myss versione cartoon) e un muro di suono a volte in zona Sonic Youth (la capofila Miriam), prossimo alla simil-psichedelia del reboot di un totem come Le ragazze di Porta Venezia, e più spesso vicino al punk rock delle nuove versioni carro armato di Una donna che conta e GMBH. Chiaro, si cerca di costruire un martello omogeneo che picchia duro, da battaglia, che spettini pur senza far ballare per forza e che al contempo non snaturi i brani originali (missione compiuta, eh), ma questo fa anche sì che le provocazioni a cui ci abitua ogni tanto si perdano nella ricerca dell’impatto (unico limite).
Eppure va detto che dall’altro lato compensano inedite variazioni sul copione come il momento «più intimista» in duetto con la chitarra di Giungla (in Mortacci tua), perfetto per stare seduti, o gag tipo “il gioco della busta” in cui uno spettatore è chiamato sul palco a metà live per scegliere a busta chiusa una canzone fra quattro, di cui il resto della platea invece conosce già i titoli. Il ketamino di ieri ha scelto Xananas, che al contrario degli altri in scaletta – e insieme solo a due instant classics come In gabbia e Pazzeska – è stato proposto senza band, con le basi e la sola Myss sul palco. Un passaggio nuovo che però guarda al passato, e riduce un po’ le ambizioni di uno show pensato per esibirsi con la band, lasciando l’esperimento in favore di una breve trama collaudata, per quanto altro sintomo di varietà, di sfumature che non perdono il focus.
Non che la gente non apprezzi e non interagisca, anzi forse è un regalo a chi per due anni ha atteso la solita formula e alla fine si ritrova un qualcosa di diverso nella forma. Non nel contenuto: il concerto alla fine rimane il solito, solo con meno coreografie e più sfumature a livello musicale e scenico. Tant’è che prima di salire sul palco mi aveva detto che ai suoi live «si cerca soprattutto divertimento, rispetto per esempio a un ascolto attentissimo» e che «tanto più in un momento del genere può aver senso così». E confermo che, per quanto distanziati, lo spirito è quello: qualcuno si alza e balla sul posto nonostante i suoni da club siano limitati al minimo, tutti cantano fino al bis di rito di Milano Sushi & Coca in veste post punk (la rivisitazione migliore), in parecchi si rivedono nelle sue provocazioni inclusive. Del resto, mi racconta, «in questo momento della pandemia vedo un Paese un po’ malinconico, che ha voglia di sfogarsi e spero che ciò si trasformi in energia positiva».
La stessa che, insieme alla voglia di sperimentare, le ha fatto mettere in piedi uno show diverso dal solito. Che per ora, ad ascoltarla parlare dei suoi progetti, è un passo di lato che non cerca paragoni col resto. Chissà che, allargando il gioco ad altri brani, recuperando le ballerine e magari pensando a un disco in onda post punk tutti insieme, non possa diventare un passo in avanti.