«Ho una domanda per voi: l’hip hop è vivo?». Il pubblico esplode in un grande grido collettivo: l’hip hop questa sera a Milano è vivo, eccome.
Era da un pezzo che non l’hip hop non era così vivo a Milano, verrebbe da dire. Il Fabrique infatti è bello pieno per l’unica data italiana di Nas che quest’anno sta celebrando in tour i 30 anni del suo disco d’esordio – nonché pietra miliare del genere – Illmatic. L’introduzione, in un cortocircuito temporale, è un video che mostra la scritta Illmatic – 30 anniversary sulla grafica della serie tv Stranger Things, un escamotage un po’ furbetto per mettere d’accordo i b-boy e le fly girl della vecchia guardia con il nuovo e più giovane pubblico della generazione successiva.
La tripletta iniziale di brani però cattura tutti, senza distinzioni di età: N.Y. State of Mind, Life’s a Bitch e The World Is Yours sono Illmatic allo stato puro. Milano per un momento respira l’aria della New York del 1994 e l’hip hop ritorna a risplendere come nella sua golden age. Sul palco, oltre a Nas, solo un dj (Dj Green Lantern) e un batterista, sullo sfondo alcune immagini di repertorio (dalle copertine dei dischi alle foto d’epoca della Grande Mela o del rapper, da piccoli visual alla grafica della mano con microfono sulla conclusiva One Mic). Niente di elaborato o particolarmente studiato: minimalismo, come la vecchia scuola ci ha sempre insegnato.
La classe non invecchia; Nas è in forma, è carico, il fiato tiene (si concederà solo un brave intermezzo di riposo per firmare magliette e vinili alla prima fila). Ma è anche visivamente stupito, stupito del fatto che finalmente dopo le delusioni delle sue ultime apparizioni anche l’Italia sia oggi pronta a incoronarlo come uno dei rapper più grandi della storia (Top 3? Top 5?). Rappa senza sosta una ventina di brani, rimanendo solido al microfono con il vigore e gli assi nella manica di un MC di 50 anni con 33 anni di carriera alle spalle (gli esordi infatti anticipano di 3 anni Illmatic, con quel demo tape – Nasty Nas – risalente al 1991). Se l’età di un pubblico la si può facilmente intuire facendo attenzione se i telefoni utilizzati per riprendere il concerto sono messi in orizzontale (boomer) o verticale (millennial o nativo digitale), in sala la platea è più giovane di quanto si possa immaginare. Quando Nas chiede chi non era ancora nato nel 1994, l’anno di uscita di Illmatic, album che ha cambiato le sorti del genere (si dice che Jay Z abbia cambiato modo di rappare dopo averlo sentito), ad alzare le mani è una metà importante del pubblico. La profezia si è avverata: l’hip hop non è solo uscito dal Bronx e dagli States, ma ha conquistato il mondo ed è sopravvissuto alle mode. E Nas ne è stato un pioniere ieri e un ambasciatore oggi.
«Questi sono i momenti che si vivono solo una volta nella vita, non si ripetono», fomenta Nasir al microfono mentre il concerto si trasforma sempre più in una jam hip hop. Ogni testa in sala dondola su e giù a tempo così come le mani si alzano e si abbassano allo stile dei maneki neko, i gatti della fortuna cinesi. In sala si vedono magliette di Jay-Z e J Dilla e la quantità di cannoni girati è quella da concerto all’aperto. In un mondo di trap, di concerti esclusivamente per ragazzini con artisti incapaci di tenere un palco, vedere almeno due generazioni a confronto che palleggiano il capo sugli stessi beat infarciti di rime in modo squisito è una vittoria per l’hip hop. La persistenza ha avuto la meglio: You don’t stop, you don’t quit, ripete Nas al microfono citando l’intro della sua My Way.
Nonostante l’anniversario, rispetto ad altre date del tour questa sera Nas non è fedele alla scaletta di Illmatic, ma gioca con la propria discografia trovando spazio anche per i classici più amati come la storica collaborazione con Lauryn Hill di If I Ruled the World (Image That) e brani che ne hanno segnato la carriera come Nas Is Like, The Message, Get Down. Il pubblico risponde presente, sempre. Si finisce, come detto, con One Mic con Nas che ripete ossessivo un mantra che è alla base dell’hip hop: “tutto ciò di cui ho bisogno è un microfono, due piatti, e voi”.
Con queste parole il rapper di New York lascia il palco. La profezia si è avverata, Nastradamus aveva ragione: one mic, one love, Nas ha salvato l’hip hop ancora una volta.