Immaginatevi un festival dove non ci sono code. Né all’ingresso, o ai bar (ce ne sono venti con almeno 6 persone di staff l’uno), ai bagni. L’acqua è gratis e ci sono fontanelle con rubinetti multipli sparse in diverse zone. Non viene servita carne rossa o pollame e ogni stand culinario dei 40 presenti ha almeno una scelta vegana, puntando principalmente su menù a basso impatto ambientale, con scelte vegetariane e prodotti locali. NON-CI-SONO-TOKEN; si paga con carta e il drink è servito. Le lattine hanno un extra costo di un euro che viene restituito alla riconsegna della lattina vuota, il che fa sì che si crei un sistema di auto-pulizia della location che – nonostante ospiti 30 mila persone al giorno – a fine giornata si presenta in uno stato di ordine quasi totale. La raccolta differenziata è praticamente ovunque. I tappi per le orecchie vengono regalati per sostenere i dignitosissimi volumi dei 9 palchi presenti in loco. Pensate che tutto questo sia impossibile? Allora forse dovete segnarvi un nome: Flow Festival.
Trovare un festival dove siano presenti – in contemporanea – tutte le condizioni presentate nell’introduzione (e tutta una serie di reali interventi sul piano dell’ecosostenibilità) è quasi utopico. Lo sa qualsiasi persona che vive i festival, e anche tutte quelle che li organizzano. Ma il Flow Festival riesce nell’impresa di trasformare quella che noi normalmente consideriamo utopia in realtà. Non solo un sistema di infrastrutture che funziona nella sua totalità – anche grazie alla scelta di una location eccezionale, una ex centrale elettrica vicino al centro città raggiungibile con metro e autobus che dispone anche di un enorme parcheggio pensato per le biciclette -, ma anche una cura al dettaglio che garantisce a chi frequenta questa tre giorni di metà agosto (quest’anno è stato dall’11 al 13 agosto, il prossimo sarà dal 9 all’11) un’esperienza di confort che altrove è semplicemente impensabile. Viene così a crearsi un clima di umanità e comunità solidale in cui non ci sono spintoni, gomitate nello stomaco, mancanza di spazio umano in cui viversi i concerti o i dj set: il festival diventa luogo ideale anche di civiltà, lasciando all’esterno delle proprie mura tutto ciò che non funziona per ricordarci, anche solo per tre giorni, che come specie siamo ancora in grado di convivere gioiosamente.
Ma cosa è successo sui nove palchi – quattro dedicati ai concerti, quattro ai dj set e uno alla pura sperimentazione sonora – del Flow? Ci sono stati i Blur che hanno presentato The Ballad of Darren, Wizkid che ha fatto twerkare chiunque e una Lorde in grandissima forma. Tove Lo, Caroline Polachek, Shygirl, 070 Shake, Christine and the Queens e Kelela ci hanno messo ben in chiaro che il futuro del buon pop ricercato è al sicuro. I Nu Genea – gli unici artisti italiani in line-up – hanno conquistato i cuori finlandesi riempiendo il terzo palco più capiente del Flow nonostante nello stesso momento ci fosse il live di Pusha T. Il palco curato da Resident Advisor è stato una certezza con i dj set – tra i tanti – di Eris Drew & Octo Octa, Nene H, Jyoty, Louie Vega, Chaos in CBD, mentre il Balloon 360 (il palco icona del festival, una piccola arena con palco al centro su cui si appoggia un pallone aerostatico illuminato come copertura) ha tenuto i concerti più jazzy e afrobeat come quelli di Nala Sinephro, Domi e JD Beck, Meshell Ndegeocello e Arp Frique. Per i ricercatori di nuovi sound, l’unico palco al chiuso (denominato The Other Sound) ha proposto un universo di installazioni artistiche tra ambient e modulari con Arushi Jain, Maya Shenfeld, Claire Rousay e molti altri, mentre l’X Garden ha garantito una costante atmosfera queer e festosa.
Certo, tutto bello, ma quanto costerà mai tutto questo in Finlandia? Paradossalmente, con gli aumenti che abbiamo vissuto in prima persona anche solo nei festival italiani, la distanza tra i costi finlandesi e i nostri si è drasticamente assottigliata negli anni. Per intenderci il costo di entrata per l’edizione 2024 ad oggi – in early bird – è 199€ e salirà a 219€ in seconda release (per intenderci il Primavera di Barcellona costa 255€ alla seconda release), un prezzo totalmente in linea con la media europea. Anche i drink sono stati pareggiati dai festival italiani e gli 8 euro per una birra e i 12 per un drink sono oramai una norma anche ben al di sotto dei paesi nordici. Solo che qui non ci sono token, soldi persi in braccialetti che non verranno rimborsati o costi dell’acqua folli (ricordiamo: al Flow è gratis e il pubblico viene incentivato a portare la propria borraccia in controtendenza rispetto ai divieti italiani).
Per chi ama i festival andare al Flow è vivere il meglio possibile di quell’esperienza perché non ci sono grandi festival europei cittadini capaci di funzionare in tutte le proprie appendici in modo così fluido. In tre giorni non si è presentato alcun problema (avendovi recensito decina di festival solo quest’estate possiamo garantirvi che in tutti abbiamo trovato problematiche più o meno grandi, più o meno stressanti per il pubblico) o se c’è stato è stato risolto in maniera così rapida che nemmeno siamo stati in grado di accorgercene. Certo, il sistema Finlandia è un sistema che funziona in sé e questo sicuramente facilita, ma il Flow Festival è un case study su come organizzare un festival. Se volete capire come si dovrebbero fare, le date le sapete: dal 9 all’11 agosto, direzione Helsinki.